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PRIMO GIORNO DI QUARESIMA A SANTA SABINA

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì delle Ceneri, 12 febbraio 1964

 

Nel rivolgersi ai Presuli e Prelati, ai sacerdoti e religiosi, e a tutti i fedeli intervenuti alla pia funzione, il Santo Padre dichiara essere opportuno raccogliere un po’ i pensieri ed esprimere alcuni dei sentimenti, che attraversano lo spirito nel sacro luogo e nel propizio momento.

Anzitutto il primo sentimento che si affaccia alla coscienza è quello di una serena letizia, che certo non discorda dall’austerità del rito e dalla severità del periodo penitenziale testé inaugurato. Tale nota gioiosa - i sacerdoti lo ricorderanno - trovasi indicata nella prima lezione del Mattutino del giorno delle Ceneri. S. Agostino la rileva così: «Manifestum est, bis praeceptis omnem nostram intentionem in interiora gaudia dirigi . . .». Anche in mezzo ai richiami più severi della penitenza, del pentimento, sarà sempre limpido e luminoso un accento di spirituale letizia.

Per il Papa, inoltre, essa è data anche dal ritrovarsi nella splendida chiesa, ove, anni ed anni or sono, ha passato momenti molto raccolti e silenziosi, e, gli sembra, anche molto uniti al Signore. Conferisce quindi particolare gaudio l’onda di tanti ricordi che l’Aventino sacro porta con sé: anche il solo elencarli non è facile. Basterà dire che intensa è la rievocazione di momenti soavissimi, segnati tutti da una intimità spirituale che caratterizza la storia del tempio di Santa Sabina.

E la soddisfazione del cuore si accresce, vedendo la folta comunità di Religiosi Domenicani con le memorie dei loro grandi Santi, dal Fondatore Domenico, al Sommo Pontefice S. Pio V: sì che spontaneo fiorisce l’augurio per il Maestro generale dell’Ordine e per quanti altri condividono con lui la gloria, la fatica del governo di una così insigne famiglia spirituale. E ancora: l’Aventino, con la zona circostante, è popolato di comunità religiose, oasi di preghiera ed apostolato: a tutte va il saluto e la benedizione del Papa, lieto di vederne le rappresentanze in questo sacro convegno che vuol essere quasi l’accensione di universale fervore. Naturalmente, poi, il pensiero va alle parrocchie, ai fedeli, alla ingente folla di persone accorse in «capite quadragesimae» col fermo proposito nel cuore di bene trascorrere la Santa Quaresima. È noto con quale studio, con quale insistenza i Sommi Pontefici, e quanti altri hanno cercato di interpretare il loro magistero e ministero, hanno incoraggiato non soltanto il ripristino e la rievocazione archeologica pura e semplice dei riti e delle memorie lontane, ma la primavera, la reviviscenza della vita spirituale romana attinta a queste radici e a queste fonti.

Il rilevare, perciò, che esse danno risultati rigogliosi è, per Sua Santità, argomento di intensa contentezza e di viva speranza. Tutti i presenti - è consolante il supporlo - hanno nel cuore il proposito di vivere in profondità ed effettiva partecipazione i riti della grande, pedagogica liturgia della Chiesa. Il Santo Padre incoraggia e benedice tali intenti, sino a voler ripetere, «ad aures», a ciascuna di queste anime fervorose il suo compiacimento, anche per il sicuro aiuto che potrà derivarne per gli altri fedeli.

A conseguire così nobile fine, il Vicario di Gesù Cristo desidera insistere sui due aspetti principali dell’incontro, già visibilmente indicati dallo stesso rito stazionale: la preghiera e la penitenza.

In ciò consiste la Quaresima. Nei due elementi fondamentali si esprime, come in sintesi, tutto il programma della vita cristiana. Dapprima la preghiera, che ci ricorda il bisogno di Dio, i suoi voleri, la sua longanimità ed assistenza; la necessità che noi abbiamo di essere uniti a Lui, vita nostra.

Quindi la penitenza, ch’è l’offerta delle nostre povere cose, dei nostri errori, delle nostre mortificazioni per essere degni del colloquio con Dio. Sant’Agostino sintetizza in una sola parola tutti gli splendori e i benefici di questo binomio: la misericordia. Può affermarsi che v’è racchiuso l’intero cristianesimo. Dio, il quale agisce su ognuno di noi, e fa piovere sul genere umano, sulla nostra storia, su ogni nostro disegno la sua bontà e il suo desiderio di venire a contatto con noi, vuole formare delle nostre anime altrettanti specchi riflettenti la sua luce e la sua bontà. È doveroso, quindi, concentrare su questi due argomenti l’attenzione e il programma delle nostre migliori capacità.

Alla preghiera, sia quella personale, sia quella comunitaria e cioè liturgica, ci invita, in modo speciale, il recente Documento che la Chiesa, adunata in Concilio, ha dato a sé e ai secoli venturi; la Costituzione per la sacra Liturgia. Essa, pur volendo essere, per taluni aspetti, una semplificazione, una più facile esecuzione del programma orante della Chiesa, è alto richiamo a perfezione, a pienezza di preghiera. È un arricchimento, e ci vuole tutti come alunni e discepoli, tesi alla rispondenza di questo invito della Chiesa maestra. Dobbiamo cioè imparare a trarre profitto in questi giorni santi, per pregare di più e meglio: pregare con il più acceso ardore del nostro spirito; pregare con sincerità e nel concerto delle anime che condividono con noi la grazia della vocazione cristiana; pregare, in una parola, con la comunità dei fedeli, con tutta la Chiesa, e far coro con tutta la umanità credente e fiduciosa in Cristo.

Occorre poi animare la preghiera liturgica in questo periodo con attento raccoglimento e seria applicazione personale del nostro spirito, sì da venire condotti, naturalmente, al secondo punto della partecipazione quaresimale: la penitenza. Oggi questa parola sembra quasi un termine fuori moda, una reminiscenza medievale che non trova attuazione nel tempo nostro, proteso invece ad eliminare ogni disagio ed inconveniente, e a rendere la vita come ovattata da comodità, da pienezza degli agi che le conquiste della tecnica pongono a nostra disposizione.

Nondimeno se la penitenza si sposta oggi dalla parte, diciamo, materiale a quella spirituale, dal corpo all’anima, dall’esterno all’interno, non è meno necessaria e meno attuabile. Anzitutto cercheremo di osservare la penitenza possibile - quella, intanto, che la Chiesa prescrive - con aderenza testuale e puntuale, desiderosi di dimostrare che sotto questa obbedienza c’è uno spirito e c’è una pedagogia che fa bene a ciascuno di noi. Soprattutto, però, ci studieremo di assorbire e di praticare lo spirito della penitenza, anche a cominciare da quella norma della sapienza non diciamo pagana, ma romana ed umana dell’«abstine et sustine», che può egregiamente applicarsi alla vita cristiana. Se vogliamo portare nell’intimo del nostro essere la penitenza, vediamo un vasto campo di sacrifici meritori, di rinunzie, fioretti, esercizi di dominio di sé proprio nell’abstine, cioè nel rinunciare alle molte curiosità superflue, che la vanità del mondo pone davanti a noi con una procacità quasi aggressiva. E, inoltre, quante pigrizie interiori possiamo superare, noi che siamo tutti i giorni invitati dalla scuola moderna a ritenere che il dubbio dello spirito, cioè il non aderire alla verità ma il restar sempre in sospeso, sia segno di libertà; ed è, invece, accidia spirituale che ci attarda nella penombra e nel crepuscolo delle cose incerte, mentre siamo chiamati alla luce, alla decisione, alla scelta della verità, e, per la verità e con la verità a dare, se occorre, noi stessi, le nostre cose, la nostra vita!

Abstine. Cerchiamo, appunto, di allontanare da noi queste tentazioni che indeboliscono la vita spirituale; e corroboriamo le energie del sustine e cioè del fare il bene, dell’allenarsi ad aumentare la nostra capacità produttiva di atti giusti, di azioni meritorie, che servano alla nostra migliore educazione cristiana e siano mezzo di carità esteriore. Troveremo siffatto richiamo tutti i giorni nella liturgia della Quaresima. Aumentare le opere buone: non è tanto il praticare atti particolari di culto o di astinenza, che ci migliora e ci fa santi, quanto la pratica della regina delle virtù: la carità. Fare il bene per il prossimo accresce il potenziale della nostra carità in questo periodo benedetto.

A che mira la eccelsa preparazione? Ma all’incontro col Salvatore, alla nostra perenne conversazione con Lui; a comprendere, il più possibile, i suoi misteri; ad applicare il Vangelo alle nostre anime; ad accogliere degnamente nel cuore gli splendori della Pasqua, della nostra resurrezione e rinascita in Cristo.

Nell’Inno delle Laudi del tempo quaresimale, la Chiesa ci propone la letificante prece: «Dies venit, dies tua - in qua reflorent omnia: - laetemur et nos, in viam - tua reducti dextera» .

A questa primavera delle anime, a questa fioritura d’ogni virtù cristiana ci invita ed esorta la Chiesa madre. Ecco che, con generosità, riprendiamo il necessario cammino e ascendiamo, alla scuola del Redentore, sino alla sommità del monte, donde si irradia il sublime Mistero pasquale della salvezza. Affidandoci alla mano di Dio, con la preghiera e la penitenza.

                                                   



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