Index   Back Top Print

[ IT ]

INCONTRO CON LA DIOCESI DI ALBANO

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 30 agosto 1964

 

Il Santo Padre inizia il suo dire con un affettuoso ringraziamento, saluto ed augurio al Signor Cardinale Pizzardo, Vescovo di Albano; ed è lieto del nuovo incontro con i fedeli della diocesi per riconfermare al Porporato alta stima e considerazione e per auspicare che il Signore ricompensi con le migliori soddisfazioni le tante e così generose fatiche.

Un cordiale benvenuto è diretto al Signor Cardinale Normanno Gilroy, Arcivescovo di Sydney, anch’egli presente all’udienza.

Il saluto del Papa va, poi, al Vescovo Suffraganeo; ai parroci e a tutti i sacerdoti, segnatamente a coloro che con solerzia attendono alla cura delle anime, e al buon andamento del Seminario; ai religiosi, il cui apostolato è aiuto tanto prezioso per il clero diocesano; alle religiose ed alle molteplici istituzioni da esse promosse e dirette; alle fiorenti associazioni di Azione Cattolica ed agli altri sodalizi suscitati dalla fede e dalla carità.

Una menzione apposita per gli insegnanti, i lavoratori, gli immigrati: e, tra tutti, per i giovani, nonché per ogni categoria di fedeli. Inoltre Sua Santità vuole rivolgere speciale saluto alle autorità civili ed amministrative, rappresentate da numerosi sindaci; alle autorità e personalità del mondo politico; a coloro, in una parola, che attendono alla prosperità delle popolazioni.

Dopo il saluto, il ringraziamento: per la presenza, tanto cospicua, dei partecipanti all’incontro; per le accoglienze festose tributate al Papa; per i filiali doni annunciati. Il Padre delle anime è felice di poter assicurare, da parte sua, il continuo interessamento, l’affetto e la preghiera, nell’intento di procurare agli individui e alle famiglie benessere e gioia.

I SEGNI DEI NOSTRI TEMPI

1. - E adesso - prosegue con affabile bontà il Supremo Pastore - alcune brevi osservazioni.

Il Signore una volta ha fatto un rimprovero a quelli che lo ascoltavano, quando ha detto loro: . . . signa autem temporum non potestis scire? (Matth. 16, 4): non riuscite a distinguere i segni dei tempi. Che cosa indicano i tempi? che cosa avviene intorno a noi? Anzitutto è da rilevare che l’interrogativo del Divino Maestro ha sempre il suo valore. Se io domandassi anche a voi, ragazzi: che succede intorno a noi? cosa è che ci impressiona di più? qual è il fenomeno più generale, più notevole da noi osservato con i nostri occhi?

La risposta è nei fatti d’ogni giorno. Se per esempio noi andassimo indietro venti anni e ci recassimo a percorrere la diocesi di Albano, sarebbe uguale lo stato di ieri a quello in cui oggi si trova? No: noi osserveremo che c’erano, allora, elementi oggi ritenuti antichi, e tanti particolari che risalgono ai tempi passati. Adesso, invece, numerose innovazioni, ieri impensate, ci colpiscono.

INNOVAZIONI NEI COSTUMI NEI PENSIERI NELLA SOCIETÀ

Si direbbe, quindi, che a novità è il segno più evidente dell’epoca nostra. Novità vuol dire cambiamento; molte, moltissime cose mutano intorno a noi, e continuamente - lo ha detto anche poco fa il Cardinale Pizzarda. Le parrocchie della diocesi di Albano erano diciannove; sono diventate quaranta; gli abitanti novantamila; sono saliti a più di duecentomila.

Faremo un ragionamento semplicissimo.

Andando intorno, si vede che tutto il quadro della nostra vita presente è trasformato: le strade, gli edifici, le scuole, i libri, la stampa . . . Ricordo, nei primi tempi della mia dimora in Roma, di aver visto in queste zone un pastore, uno dei pastori che si incontravano una volta per le colline laziali, intenti a far pascolare il gregge. Mi accorsi che aveva con sé strumenti di lavoro identici a quelli che si trovano scolpiti in monumenti romani di duemila anni or sono. Per duemila anni i medesimi strumenti sono stati adoperati dall’uomo dei greggi: il coltello, il carro, il vincastro, il secchio del latte ecc. Orbene: da trenta, quarant’anni a questa parte, l’intero materiale di uso comune è diverso: basterà accennare ai mezzi di trasporto, agli utensili per la vita domestica, talmente sviluppatisi che, nelle case, oggi quasi non si accende più il fuoco. Né basta: se profonda è la innovazione per la vita materiale, si pensi alle idee, alle correnti spirituali, ai movimenti di cultura, alle nuove esigenze, agli sviluppi della scienza, della tecnica. Anche in questo ambito si rimane meravigliati per l’incessante novità.

Né mutano solo le cose, ma pure i costumi, i pensieri, la società. Ed ecco una domanda: con questi cambiamenti si va verso il meglio o no? Di certo verso il meglio. Si sta meglio adesso o una volta? Possiamo affermare, ringraziando la Provvidenza e quelli che hanno il merito di assecondarla: le condizioni generali sono indubbiamente migliori per una prosperità materiale, giustamente definita «di servizi». Ma, è tutto bene questo? La vita dell’uomo è più degna di quanto non lo fosse una volta? Erano più contenti gli uomini di ieri, o lo sono maggiormente quelli di oggi? I giovani ritengono senz’altro di sì; altri, invece, tornano alle frasi consuete per esaltare il passato, per dire: tempi felici, gli antichi!

AGIRE NEL MONDO CONTEMPORANEO

2. - Diamo una sintesi della realtà. Ci sono alcune novità, all’esterno, che, senza dubbio, sono buone e utili all’uomo. Ma altre pure incombono, disordinatamente, sulla vita e la mettono in pericolo, nell’incertezza, non di rado nell’angoscia. Una volta i nostri vecchi sapevano perché vivevano. Quanti, adesso, sanno rispondere alla domanda: perché siamo in questo mondo? Non pochi rivelerebbero la propria ignoranza. E sono contenti? Gli uomini del giorno d’oggi sono più infelici nell’anima e nel cuore di quelli di ieri: giacché l’insieme delle cose importanti, dei valori della vita, è compromesso, è posto in dubbio. Al punto che, rimanendo passivi, riceveremmo grande danno proprio da tutte le novità. Si pensi alla formidabile e tragica potenza distruttrice di una guerra, incalcolabilmente più micidiale, oggi, di quelle fatte con i fucili o le frecce dei secoli andati.

L’umanità è esposta alla possibile iattura d’essere minacciata, sconfitta dal suo progresso, dal suo proprio sviluppo: ecco un argomento per indispensabile riflessione. Il mondo cambia, ma questo suo evolversi costituisce, sovente, gravissimo detrimento.

Come si fa, allora, a rendere buono il mutamento, a conservare quanto di meglio la tradizione, i secoli, la storia, la civiltà hanno a noi dato, affidandoci, in attenta custodia, i valori della vita, e, primo tra di essi, la coscienza della nostra fede? L’importante problema non può considerarsi eluso, giacché ad ogni passo, si può dire, vediamo come appunto la nostra fede, la nostra religione sia compromessa dal nuovo corso delle vicende umane.

Tanti non vanno a Messa; alcuni non credono più in Cristo, molta gente si separa dalla Chiesa. Perché? Sono stati impressionati, quasi travolti dai fenomeni del mondo esterno, che ha intristito ogni moto della loro anima.

GIAMMAI TRASCURARE IL SENSO E I VALORI DELLA VITA

Dobbiamo, perciò, vigilare attentamente. Se vogliamo che quanto è prezioso, indispensabile per la nostra esistenza rimanga e viva, di che cosa abbiamo, anzitutto, bisogno? Abbiamo bisogno di agire, ci necessita l’azione. L’essere si afferma e si conserva con l’agire. Perché, ai giorni nostri, si parla tanto di lavoro? L’Italia - dichiara la Costituzione - è una Repubblica fondata sul lavoro. Ciò perché risulta evidente che se l’uomo profonde le proprie attitudini, capacità ed energie, il mondo fiorisce, .avanza, procede verso il meglio. Se invece ci si ferma, e si cede alla pigrizia, svogliatezza, incompetenza, il mondo va male.

Evidente, poi, è il nesso esistente tra la vita materiale e quella spirituale. Se vogliamo conservare ciò che per noi è la più alta ragione di vita, - a noi sacerdoti incombe specialmente tale dovere -, e cioè la nostra fede, l’adesione a Cristo, la Chiesa, non possiamo rimanere apatici, indifferenti. Il Signore ci ha fatto nascere in un tempo in cui bisogna faticare.

Preminente è la forza del lavoro e la sua virtù trasformatrice. I nostri antenati erano portati dall’ambiente a starsene tranquilli; si accettava la vita anche monotona e grigia; si poteva riposare di più; v’era uniformità nelle mansioni esterne. Oggi l’azione - cattolica, religiosa, sociale; quella politica, industriale, scientifica ecc. - cioé il mettere in essere, in funzione, tutte le facoltà, di cui Dio ci ha arricchiti e i talenti da Lui donati, è divenuta la legge caratteristica del nostro tempo.

E allora? O noi saremo idonei a comportarci come si deve; vivendo, cioè, secondo i precetti del Signore; o noi perderemo il patrimonio più ricco che i tempi ci hanno trasmesso. Per noi - va ribadito - è tesoro inestimabile il senso della vita, di una vita cristiana; la dignità dell’uomo; la libertà; il fine ultimo della nostra esistenza, che trascende il tempo stesso in cui siamo. Bisogna agire; e quindi gli organismi che possediamo ed ammiriamo quale esempio di fervida operosità, istituiti, come sono, per contribuire al giusto rigoglio della entità religiosa e sociale, siano benedetti, perché hanno compreso i segni dei tempi.

L'UNITÀ DEI CATTOLICI FONDAMENTO ALLA LORO AZIONE

3. - Facciamo un altro passo avanti. Non basta agire: si impongono la scelta di metodi convenienti e la sicurezza di risultati migliori, più copiosi. Va, dapprima, definita e precisata la legge basilare dell’azione moderna. Vediamo immediatamente che la prima condizione per agire bene è il mantenersi uniti; il lavoro deve essere coordinato, svolto da tutti. L’azione è prospera ed efficace, se unitaria, organizzata, concorde. Una volta era sufficiente, per un singolo, lavorare nella sua botteguccia: adesso nasce l’azienda; una volta bastava una piccola, circoscritta scuola: ora le scuole giustamente si moltiplicano, diventano vasti centri di avviamento alla cultura. Una volta si chiedeva ai componenti la parrocchia di radunarsi soltanto per la Messa festiva; ora si esige di possedere, in modo permanente e in grado superiore, il senso della comunità.

L’unione è la grande legge per attività valida, aggiornata, meritoria. Chi non è unito si smarrisce; gli sforzi, i tentativi singoli vengono travolti dalla vasta marea dei flutti, sempre numerosi ed accresciuti, di potenze esterne e contrarie. Il fenomeno caratteristico, succedaneo, della nostra società è l’organizzazione. L’attività è fiorente, redditizia se è unitaria, organizzata, concorde. La fraternità si riconosce dalla disciplina e dal disinteresse. Se non siamo in questo modo animati, se non andiamo insieme, e non compiliamo accurati piani e non studiamo i problemi, saremo dei vinti, degli incapaci e rimarremo sommersi da altri che hanno avuto il destro e l’abilità di coalizzarsi, diventando più forti di noi. Il vecchio proverbio, l’unione fa la forza, è verissimo, e dovrebbe essere tenuto ben presente da molti italiani, - il Santo Padre è convinto che nessuno vorrà dispiacersi per l’amabile richiamo - poiché non è ancora in tutti profondo il senso di questo principio: l’obbligo, cioè, di essere più uniti. Si preferisce, spesso, rimanere individualisti, volubili, facilmente critici. Palese è la tendenza a separarsi, a far sorgere il gruppo, la corrente. Non risulta ancora abbastanza coltivata l’esigenza, la regola, l’ansia della comunità. Negli strati esclusivamente materiali e terreni, là dove tale presupposto è accettato, sorgono fenomeni di ampie proporzioni, che riescono persino a intimorire. Basta por mente a taluni aggruppamenti sociali, industriali ed economici.

DISCIPLINA SOLIDARIETÀ DISINTERESSE

E si pensi alle diverse, differenti ideologie. Un’idea, oggi, perché trionfa? Se tale vittoria dipendesse dalla sua verità, noi non avremmo più bisogno di lavorare. Noi che possediamo la verità, in maniera essenziale ed immediata, saremmo i vittoriosi per eccellenza, nel mondo. Ma - lo vediamo ogni giorno - le idee si affermano in proporzione del numero di chi le professa, non per il valore e la bontà che esse racchiudono in sé. È indispensabile, pertanto, fortificarsi mediante l’unione, la organizzazione, la vita societaria; e con ogni impegno, per mettere insieme numerose volontà, si da offrire ai popoli quel fulgore per cui la nostra dottrina può dovunque affermarsi e riuscire benefica, salvatrice, giacché tale è realmente la nostra fede.

Su questo, figliuoli, ognuno è invitato a meditare con profonda fermezza. Anche noi cattolici. Perché? Perché non siamo abbastanza bravi, e buoni ad andare d’accordo. La Chiesa, istituzione del Signore, ha i suoi centri, i suoi piani per conseguire perfetta conquista. Si chiamano la Gerarchia, i Pastori, i superiori. L’autorità esiste proprio per mettere insieme, per catalizzare, per fondere in unum gli elementi tutti, anche quelli disgregati, e costruire la imponente famiglia e l’unità dei molti che appartengono al corpo sociale.

RINVIGORIRE LA FEDE E L’ADESIONE A CRISTO

Ecco: noi dovremmo davvero esaminarci se siamo dei collaboratori o se, al contrario, siamo della gente pigra, che mormora, distrugge, rende difficile ogni iniziativa, si fa trascinare; ed ha bisogno di mille richiami, poiché dimentica e trascura l’onore e il vantaggio d’essere e di operare d’accordo. Non dimentichiamolo: allora soltanto vi sono problemi insolubili, quando si è divisi.

Per bene stare insieme, diciamo la grande parola che il mondo moderno non vuole quasi più udire: bisogna essere obbedienti. Ma obbedienti non per diventare macchine o numeri, che si comportano quasi automi e si lasciano trascinare. Si deve essere obbedienti per essere intelligenti, desti, alacri, nella mirabile rinascita che la Chiesa e la società cristiana sollecitano per dare nuovo volto al mondo contemporaneo. Bisogna essere più disciplinati. Così fondamentale dote va raccomandata specialmente in ordine ai problemi nuovi, che nascono sia nella comunità ecclesiastica che in quella civile. Mettetevi insieme, studiate i problemi, cercate di aiutarvi; istituite comitati, gruppi di studio, esperienze d’insieme. Non dividetevi, non opponetevi gli uni agli altri; sappiate transigere sulle cose secondarie in favore delle essenziali; abbiate convinta stima della responsabilità associata, per giungere alla unione, alla concordia, alla fusione degli animi. Arriviamo, così, al più alto, cristiano traguardo, ove è agevole ascoltare la voce di Dio: abbiate la carità.

La carità è l’amore fraterno; la carità pone gli animi volenterosi nella libertà, nella concordia, nel rispetto reciproco e nella gioia del restare insieme. Come è bella una famiglia in cui regnano l’uniformità e la pace! Ne abbiamo esempi eloquenti nelle nostre associazioni. Che gioia nel sentirsi fratelli e sorretti dall’esempio, dall’appoggio, dalla consonanza di tutti gli altri! L’azione è redditizia se unitaria, organizzata, concorde. La fraternità si riconosce dalla disciplina e dal disinteresse.

La vita sociale deve essere armonia. Può venir paragonata ad un complesso musicale, il quale allora solo risponde alla fidente attesa, se ogni componente esplica la propria parte in perfetta sincronia con gli altri. Bisogna fare concerto, bisogna operare all’unisono, compatire, perdonare, comprendere; ben distribuire le energie; saper rinunciare a tutti gli egoismi. Dobbiamo cercare la forza dell’unione, e per trovarla è insostituibile l’esercizio della virtù regina della vita cristiana: la carità.

LA CARITÀ LUCE FORZA ALIMENTO

4. - Riassumendo: per dominare i cambiamenti del nostro mondo occorre lavorare; per lavorare con rendimento prima norma è l’essere uniti; per essere uniti bisogna volersi bene. Come si fa a volersi bene? Qui risplende il segreto proprio della vita cristiana. L’animazione nostra deve essere religiosa.

Hanno voglia gli altri a ricorrere a principii sociali, economici, culturali, che sembrano adunare gli uomini: sono principii a doppio taglio. Possono, sì, in un primo tempo, agglomerare; ma ben presto, dividono. Se vogliamo, invece, che i nostri principii funzionino in una sola direzione, quella di acquisire unità, nella libertà e nel benessere di tutti, bisogna andare in fondo, attingere al segreto della vita religiosa. Se siamo uniti a Gesù Cristo, al suo Vangelo, alla sua fede, alla sua grazia, ai suoi sacramenti, alla sua dottrina, l’unione è possibile; con l’unione è la forza; con la forza il lavoro; con il lavoro la prosperità.

Allora, ecco una raccomandazione finale: cercate di dare alla vostra pratica religiosa una espressione non soltanto convenzionale, ma retta, decisa, profonda, interiore.

Anche qui il cambiamento è necessario. Non basta andare in chiesa meccanicamente. Va ricordato che la professione cristiana, se non diviene linfa dell’anima, se non è portata a un grado di pienezza intima e nuova, non resisterà. Occorre rinvigorire la nostra fede religiosa; e per questo la Chiesa ci apre oggi, con il Concilio, sorgenti e dovizie meravigliose. Ad esempio: seguiremo pienamente il nuovo orientamento didattico che la Costituzione Liturgica ci pone davanti per pregare bene, per pregare comprendendo quello che si dice, per pregare unanimiter, come Gesù Cristo ha stabilito. In tal modo, nella ricerca della sua presenza e della sua luce, la nostra divisa di cattolici non sarà più né una esigua vernice esteriore, né un peso sulle nostre spalle; non una formalità, non un’ipocrisia: sarà, invece, energia incomparabile. Sarà letizia, reale benessere durante il pellegrinaggio terreno; la promessa certa, beata, che la nostra vocazione non svanisce col tempo, ma si trasformerà in eterno gaudio trionfante.

Voi avrete la bontà di tener presenti, comprendere, spiegare, approfondire questi pensieri, rilevando la semplicità, la forza e l’impegno che li distinguono. Cercate d’essere attivi, uniti; di amarvi secondo il divino precetto della carità. Se sarete fedeli cristiani tutto andrà bene, e potrete affrontare le varie trasformazioni e le metamorfosi dell’età moderna, non solo col restare saldamente ancorati ai nostri valori ed al loro contenuto essenziale, ma godendo, anzi, del progredire, e dando impulso a questa onda di rinnovamento che anima il nostro tempo. Potremo dire, anzi, di aver ottimamente trascorsi gli anni del sacrificio e del merito, fiduciosi di ricevere dal Signore il premio assicurato al buon operaio, che ha compiuto il proprio dovere, faticando e sperando.

«LA CHIESA VI AMA E VI ASSISTE»

Il commiato del Santo Padre, al termine delle udienze, è la Benedizione.

Sua Santità tiene ad elencare i destinatari del paterno dono. Anzitutto i giovani, i fanciulli (i vari annunzi vengono sottolineati da vivaci acclamazioni). Ai piccoli il Papa vuole rivolgere la domanda che tanto di frequente essi odono, dando le più eterogenee risposte: «Quando sarai grande, che cosa vorrai fare?». Ebbene, il Padre delle anime esorta a rispondere così: «Ora e da grande io voglio essere davvero un bravo cattolico, un bravo figlio della mia patria e della Chiesa, un esemplare cittadino». Questa sarà la nota caratteristica d’ogni vita cristiana. Il Signore farà il resto e dirà quale dovrà essere la vocazione professionale e familiare di ognuno.

Ai lavoratori tutto l’affetto, la premura, l’augurio del Santo Padre. Essi sanno - e devono sempre più essere convinti - che la Chiesa sempre li segue, li ama, li protegge. E li predilige, anzi, proprio perché sono lavoratori e sono i protagonisti di quella conquista del mondo materiale tendente al profitto e alla prosperità della vita. La Chiesa è a loro vicina; ne comprende e benedice le buone aspirazioni; li segue sempre là dove c’è giustizia, ragione, possibilità. Abbiano i lavoratori, nei riguardi della Chiesa, il convincimento che Ella è Madre e Maestra, come diceva Papa Giovanni. Sempre è amica ed assiste con squisita premura e comprensione.

Agli ascritti alle Acli, che costituiscono il riflesso evidente di queste sollecitudini, il Santo Padre dice di stare uniti, sensati, di pensare bene, di essere energici, di lavorare secondo quanto è stato or ora detto. E ad ognuno l’incarico di recare a tutti e singoli i colleghi di lavoro il saluto paterno del Vicario di Gesù Cristo.

Infine, dopo un rinnovato saluto ai Signori Cardinali e ai Presuli, l’annuncio della imminente Benedizione al Clero, al Seminario, ai Religiosi e alle Religiose, alle Scuole, alle Amministrazioni Comunali, che curano il bene temporale, civile e amministrativo delle popolazioni. Come già nell’auspicio dapprima enunciato: Dio fecondi e diriga al bene le vostre fatiche; e vi ricolmi della sua grazia e dei suoi favori.

                                   



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana