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«MISSA IN COENA DOMINI» NELL’ARCIBASILICA LATERANENSE

OMELIA DI PAOLO VI

Giovedì Santo, 23 marzo 1967

 

OGGI CELEBRIAMO CON PIÙ VIVO FERVORE IL «MYSTERIUM FIDEI»

Venerati Fratelli e Figli carissimi!

Se vi è momento della nostra vita spirituale, della nostra professione cristiana, della nostra appartenenza alla Chiesa, nel quale dev’essere impegnata la nostra attenzione, la nostra coscienza, il nostro fervore, questo è. Momento estremamente bello e significativo, ma altrettanto intenso e difficile, contrario alla nostra abituale distrazione. È un momento di attrazione verso una Realtà presente e misteriosa, che impegna le nostre facoltà spirituali ad una singolare concentrazione. Entriamo nel mistero. Occorre essere iniziati. Diciamo semplicemente: occorre essere credenti. Noi avviciniamo, anzi celebriamo il «mysterium fidei». Abbiamo bisogno di quel supplemento conoscitivo, di quella virtù intellettiva, sorretta dal buon volere e illuminata dallo Spirito Santo, che si chiama la fede, per entrare nel segreto della Realtà, che oggi ci è preparata e per averne qualche vitale godimento. Perché oggi, e non sempre, quando celebriamo i divini misteri? Sempre, rispondiamo senz’altro; ma oggi con maggiore intensità, perché il divino sacrificio della Messa, che in altri giorni celebriamo, da questo deriva e a questo si riferisce. Qui è il mistero pasquale, quale e come a noi è dato ricordarlo, e riviverlo; e tutte le volte che ne rinnoviamo l’oblazione liturgica questo stesso mistero pasquale noi celebriamo.

CRISTO GESÙ MEDIATORE NEI RAPPORTI FRA DIO E L'UOMO

Ed entrati così nel cenacolo delle supreme divine comunicazioni, noi dovremmo rimanere silenziosi ed estatici, come chi troppo vede e solo qualche cosa comprende; e trepidando dovremmo avvertire almeno questo: che alla cena del Signore, come a nodo centrale, convergono a fascio i fili dell’antica storia della Salvezza, perché la Pasqua ebraica vi depone i suoi simboli profetici, che qui sciolgono i loro segreti e si trasfondono nella nuova forma, simbolica e profetica anch’essa, ma sostanziata di ben altra Realtà, mediante la quale forma si ha il memoriale perenne della nostra redenzione compiutasi col Sacrificio della Croce e la gloriosa Resurrezione, e ci è dato parteciparne la virtù e averne la promessa; così che dalla medesima cena del Signore un altro fascio di nuovi fili si parte, che invadono il mondo e la storia, e per ogni vivente si ramificano e arrivano, se vogliamo, a ciascuno di noi. Il linguaggio biblico è più chiaro d’ogni nostro discorso: l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento lì si toccano, e l’uno all’altro cede le intenzioni divine, anzi gli interventi divini nel sublime e formidabile disegno dei rapporti fra Dio e l’uomo, mediatore, qui pienamente, Cristo Gesù. Oceani di verità, e perciò di dottrina si aprono davanti a noi: l’Eucaristia, voi lo sapete, Fratelli e Figli qui presenti, è sintesi della nostra fede; e pertanto, dopo aver fatto uno sforzo di religiosa coscienza per astrarre i nostri spiriti da ogni circostante e differente interesse per fissare mente e cuore nel punto focale, a cui questa specialissima celebrazione è rivolta, ci sentiamo spinti a rivedere, sotto la nuova luce di questo stesso punto focale, ogni cosa: il mondo, la storia, la vita, noi stessi. Troppo, troppo, vorremmo esclamare, e con la voce dei Santi più comprensivi vorremmo anche noi balbettare: satis, Domine, basta, Signore, basta. Il che ci impone di contentarci ora d’un solo pensiero fra i tanti possibili, e di trattenere un momento la nostra attenzione sopra uno degli aspetti essenziali del mistero del Giovedì Santo, quello sul quale Ci piacerebbe far convergere ora il pensiero e la preghiera di questa santa assemblea.

LA SUBLIME REALTÀ OLTRE OGNI OSTACOLO D'ORDINE NATURALE

Quale aspetto? Quello intenzionale, quello finale, quello della «comunione». Come colui ch’è esperto di certe prodigiose tecniche moderne sa adoperare certi magici strumenti, vittoriosi del tempo e dello spazio, e sa mettersi in relazione sensibile con scene e parole lontanissime e inafferrabili della nostra immediata percezione, così noi, entrando con la fede e con l’amore nel sistema sacramentale ideato da Cristo e istituito, cioé messo in opera, da Lui nella notte stessa in cui era tradito, «in qua nocte tradebatur» (1 Cor. 11, 23), ci possiamo mettere a contatto con Lui, Cristo, sorvolando, per virtù della sua Parola, leggi ed ostacoli d’ordine naturale, di per sé insormontabili, e «fare la comunione», come siamo soliti a dire; fare la Pasqua. L’Eucaristia è il sacramento della permanenza di Cristo, ora vivente nella gloria eterna del Padre, nel nostro tempo, nella nostra storia, nel nostro terreno pellegrinaggio. «Vobiscum sum», sono con voi, dirà Gesù chiudendo la scena evangelica, e manterrà la promessa. L’Eucaristia è il sacramento della sua viva, reale e sostanziale presenza, dappertutto; dovunque è un suo ministro che fa ciò che Lui ha fatto, in sua memoria. «Fate questo - disse quella sera Gesù, istituendo insieme con l’Eucaristia il sacramento dell’Ordine, strumento umano, autorizzato, per rinnovarne il mistero e per diffonderla per tutta la terra - fate questo in memoria di me» (Luc. 22, 19). L’Eucaristia è il sacramento che moltiplica, che universalizza la presenza e l’azione di Gesù: come una sola medesima parola può essere udita da molti e acquistare efficacia logica in quanti la ascoltano e la comprendono, così il Signore, mediante l’Eucaristia, si rende accessibile per ognuno di coloro che sotto tale segno lo accolgono. L’Eucaristia è Cristo per ciascuno di noi, rivestito appunto dalle apparenze di pane per dirsi adatto e pronto a saziare la nostra fame, per farsi desiderare, avvicinare, assumere, assimilare a se stesso. L’Eucaristia è la figura di Cristo sacrificato per noi, affinché ci fosse possibile e urgente ricordare per sempre la sua Passione, parteciparne il dramma sacrificale e ottenerne l’efficacia redentiva. Diciamo questo affinché ci sia palese l’intenzione .globale di Cristo: quella di unirsi a noi: quella di ammetterci alla sua comunione. Non è possibile farsi un’idea di ciò senza ammettere un eccessivo, un infinito amore che si proietta su ciascuno di noi e che non ci dà pace finché qualche comprensione, qualche rispondenza non scaturisca anche dal nostro arido cuore. È una scuola d’amore l’Eucaristia; e, per mettere i nostri animi in fase con la bruciante e travolgente corrente della sua carità, dobbiamo almeno dire con l’Apostolo, che in quella beata e tragica sera del Giovedì Santo posò l’orecchio sul petto di Cristo e ascoltò i palpiti del suo cuore: sì, «abbiamo creduto alla carità» (1 Is. 4, 16). E qui si perfeziona la nuova vita spirituale, interiore, d’ognuno che sia così venuto in comunione con Cristo.

Se non che ciò non è tutto. La grazia che ci è offerta dall’Eucaristia non è solo in ordine alla comunione con Cristo; un’altra comunione risulta da questo sacramento; ed è la comunione con quanti fratelli nella fede e nella carità sono assisi alla stessa mensa. Notissime, ma sempre memorabili le parole di S. Paolo: «Parlo a persone intelligenti; giudicate voi di quello che dico. Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione del corpo di Cristo? Perché unico è il pane, un unico corpo noi formiamo, pur essendo molti quando tutti partecipiamo di quell’unico pane» (1 Cor. 10, 15-17).

COMUNIONE CON I FRATELLI SOPRATTUTTO CON QUELLI CHE SOFFRONO PER IL SIGNORE

Ed ecco, Fratelli e Figli carissimi, che la realtà profonda e soprannaturale del mistero pasquale ci riporta nella realtà, mistica sì, ma anche visibile e sperimentale, della società nascente da Cristo, il suo corpo mistico, la Chiesa (cfr. S. Th. III, 73, 3), che vorremmo inondata, proprio in virtù di questo Giovedì Santo, dalla grazia propria di questo giorno benedetto, la grazia della comunione, la grazia dell’unità, con Cristo e con se stessa; ed a questo fine chiediamo la voi tutti il concorso della vostra preghiera, della vostra spirituale collaborazione.

Diciamo la grazia dell’unità per questa nostra Chiesa. romana, che qui ha la sua Cattedrale e che qui, negli adiacenti restaurati edifici, fissa il suo centro spirituale e pastorale. L’unità ha gradi diversi: può essere superficiale e formale, subita e non amata, consuetudinaria ed inoperante; e può essere profonda e cordiale, convinta ed operosa, tutta pervasa di mutua e santificante carità: questa unità, vivente di fede e di amore a Cristo e di sincera fraternità, Noi vogliamo infusa nell’Urbe Nostra, alla cui rapidissima ed eterogenea crescita non ha ancora corrisposto una adeguata consistenza morale e religiosa, che tuttavia Clero e fedeli vanno esemplarmente formando: Roma, unita nella viva memoria delle sue tradizioni, unanime nella fede e sempre intenta a generare vincoli ed opere di cristiana carità, Noi vogliamo; e Cristo suo maestro, suo salvatore, suo cittadino.

E aggiungiamo simile voto per tutta la Chiesa cattolica. Noi pensiamo in questo momento a tutta la nostra grande fraternità che in questa sera, disseminata in tutta la terra, compie con pari sentimento il medesimo rito pasquale; pensiamo a quelle comunità, impedite o mortificate, dove continua la Passione del Signore; pensiamo alle giovani Chiese dei Paesi in territori di missione; e a tutta questa immensa e amatissima comunione mandiamo il Nostro benedicente saluto: ave, Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica; ave, Chiesa viva di Cristo: tutti in Lui oggi siamo uno.

SALUTO ED AUGURIO ALLA ELETTA ASSISTENZA

E non dimentichiamo le tante Chiese e comunità cristiane, a cui ci uniscono lo stesso battesimo e tanti vincoli di fede e di amore all’unico Cristo Signore, e con cui ancora una perfetta, comunione non possiamo godere. Questa desideriamo, questa speriamo e invochiamo, mentre a tutte ed a ciascuna inviamo da questa Nostra Cattedrale, piena del fedele ricordo e della mistica presenza di Cristo Salvatore, il Nostro messaggio di pasquale carità.

Come, infine, non saluteremo le persone rappresentative che a questo rito sono state particolarmente invitate? Autorità dello Stato e della Città, Diplomatici e Patrizi romani, Uomini della cultura e del Foro, del pensiero e dell’azione, della Stampa e della Radiotelevisione; quanti esercitano sul corpo sociale l’influsso del loro pensiero e della loro parola: siate ringraziati e benedetti per questa spirituale adesione al rito più d’ogni altro invitante all’unità e alla interiorità degli spiriti; e sappiate che se Noi non abbiamo con la Nostra umile e popolare parola abbastanza onorato le esigenze della vostra mente e delle vostre rispettive funzioni, le onoriamo tuttavia tanto di più con la Nostra stima, con la Nostra benevolenza, col Nostro speciale augurio pasquale.

E questo sia per tutti i presenti, per l’intero Popolo romano, per tutti i Nostri figli ed i Nostri cari, con la Nostra Apostolica Benedizione.

                                    



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