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DISCORSO DI PAOLO VI
AL CONSIGLIO GENERALE
DELL'UNIONE SINDACALE PROVINCIALE DI MILANO (C.I.S.L.)

Venerdì, 17 aprile 1964

          

Diletti Figli,

La Vostra presenza Ci riempie l’animo di soddisfazione, che amiamo esprimervi con paterno sentimento di gratitudine, per la felice opportunità di questo incontro. Siamo ben lieti di accogliervi, per riconoscere la legittimità e la opportunità della funzione sia morale, che sociale e principalmente economica del sindacato operaio nella moderna società industriale, per attestare ancora una volta, e pubblicamente, la fiducia e l’attesa che la Chiesa ripone nelle sue organizzazioni per i lavoratori, e per auspicare lo sviluppo della duplice, sebbene differente, collaborazione che esse devono promuovere dei lavoratori fra di loro a tutela dei loro legittimi interessi, e delle classi sociali per un giusto e progrediente equilibrio del bene comune nella libertà, nella pace e nella giustizia.

Il vedere qui i distinti rappresentanti della Confederazione Italiana Sindacati Liberi di Milano riporta al Nostro ricordo le vicissitudini e i motivi che hanno condotto alla fondazione del vostro organismo. Potemmo allora seguire, sebbene come semplici ed attenti osservatori, con vivo interesse quelle vicende, piene di tensione e di dinamismo, che hanno dato un carattere particolare a fatti veramente fecondi; sicché, il considerare ora a distanza gli sviluppi e i progressi ottenuti, e, soprattutto, i benefici risultati conseguiti a vantaggio dei lavoratori, nonostante le difficoltà ed i problemi tuttora esistenti, non può che riempire il Nostro cuore di compiacimento e di speranza. L’importanza della vostra attività, e gli stessi eventi, a cui abbiamo testé accennato, reclamerebbero una ben più lunga trattazione, di quella che Ci è consentita stamane. Vogliate comprenderci. Ma, pur nella brevità del tempo a disposizione, Ci è caro richiamarvi a due considerazioni, che stimiamo assai importanti per il retto funzionamento della vostra benemerita azione, tutelatrice degli interessi operai.

La prima è di carattere propriamente tecnico, e si richiama alle sagge e realistiche indicazioni che il Nostro Predecessore Pio XII ebbe a dare per l’attività sindacale. Parlando l’11 marzo 1945 alle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, egli sottolineò fortemente: «È giunto ormai il tempo di abbandonare le vuote frasi e di pensare con la «Quadragesimo anno» ad un nuovo ordinamento delle forze produttive del popolo. Al di sopra, cioè, della distinzione fra datori e prestatori di lavoro sappiano gli uomini vedere e riconoscere quella più alta unità la quale lega fra loro tutti quelli che collaborano alla produzione, vale a dire il loro collegamento e la loro solidarietà nel dovere che hanno di provvedere insieme stabilmente al bene comune e ai bisogni di tutta la comunità. Che questa solidarietà si estenda ad ogni ramo della produzione, che divenga il fondamento di un miglior ordine economico, di una sana e giusta autonomia, ed apra alle classi lavoratrici il cammino per acquistare onestamente la loro parte di responsabilità nella con-dotta della economia nazionale! . . .» (Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi, VII, p. 9).

Le divisioni e le antitesi, specie quando sono artatamente spinte a scavare solchi pericolosi e sterilmente ostili, non possono portare risultati costruttivi, né per i lavoratori né per i datori di lavoro. Sarà dunque dovere costante seguire, favorire e incoraggiare questa più alta unità d’azione, che sola può assicurare benessere ai singoli, progresso nella produttività, utilità allo Stato.

La seconda considerazione vuol riferirsi ai valori religiosi e morali, che non sono mai da dimenticare anche nell’urgenza di preoccupazioni economiche e pratiche. La dottrina sociale della Chiesa parte da quei presupposti, che nobilitano ogni attività del cristiano su piano individuale, familiare, civile, politico ed economico. Dimenticarli o trascurarli vorrebbe dire privare la propria azione della sua interiore linfa vitale, della sua forza, della sua efficacia. Come scriveva Leone XIII di v. m. nella Lettera Enciclica «Graves de communi», lo scopo della azione sociale è rivolto a far sì che gli operai «possano in famiglia e in pubblico liberamente soddisfare ai doveri morali e religiosi; sentano di non essere bruti ma uomini, non pagani ma cristiani; quindi e più facilmente e con più ardore si volgano a ciò che solo è necessario, vale a dire al sommo bene, per cui siamo nati...». E continuava il Nostro Predecessore: «Espressamente Noi abbiamo qui toccato dei doveri morali e religiosi. Sostengono infatti alcuni e fanno credere a molti, che la così detta questione sociale sia soltanto economica, mentre è certo che essa è principalmente morale e religiosa, e che perciò bisogna scioglierla a tenore delle leggi morali e religiose» (Enc. Graves de communi, 18 gennaio 1901; Acta Leonis 21, p. 3).

Bisognerà dunque promuovere questi principi tra gli operai, portarli alla conoscenza della dottrina della Chiesa; favorire l’azione dei sacerdoti a scopo di apostolato, di conforto, di insegnamento; eliminare quanto può significare sfiducia, o ritardo, o anche intralcio all’opera materna che la Chiesa svolge a favore degli operai.

Noi siamo certi che queste parole trovano in voi eco di aperta meditazione e di feconda applicazione; e vi auguriamo ogni più lieta affermazione nella vostra congiunta attività in un campo tanto nobile e provvidenziale, anche se seminato di difficoltà e di fatica.

La Nostra preghiera vuole invocarvi il continuo aiuto del Signore, mentre l’Apostolica Benedizione viene ad avvalorare i Nostri voti paterni, attestando la Nostra benevolenza verso di voi, i vostri cari, la vostra Associazione.

         



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