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DISCORSO DI PAOLO VI
AL PATRIZIATO E ALLA NOBILTÀ ROMANA

Giovedì, 14 gennaio 1965

             

Eccellenza! Signori e Signore e Figli tutti carissimi!

Accogliamo con riconoscenza i vostri auguri, di cui si è fatto interprete il Principe Torlonia e di cui la vostra presenza Ci è chiara e cara testimonianza. Venendo da un ceto, così distinto e così significativo, quale il vostro, Ci piace ascoltare le voci profonde che dànno ai vostri auguri i loro accenti particolari: ascoltiamo in essi la voce della tradizione, la voce della storia, la voce del passato; grave, solenne, vibrante di commozione e di forza; Ci parla un linguaggio quasi incomprensibile ai giorni nostri, quello dei secoli andati, pieno di note tumultuose, ma dominate da una che tutte le fonde e le esprime: fedeltà. Sono secoli, Ci dice questa voce, che camminiamo insieme, prestandoci mutuo ausilio, anche se talvolta agitati da mutuo contrasto, ma entrambi guidati, sebbene distintamente, da una medesima idea, da una medesima sorte, quella romana. Così abbiamo insieme vissuto, lavorato, costruito, lottato, sofferto e sperato, per tanti secoli! Così Ci dice la voce dei vostri auguri; e subito fonde a questa prima, ch’è la voce dei fatti, un’altra voce, quella degli animi, la quale aggiunge: non solo la vostra storia s’intreccia con quella pontificia, ma la vostra fede altresì. La vicinanza delle vostre case alla sede di Pietro non è stata soltanto un fatto esteriore e puramente storico; è stata anche un fatto interiore e spirituale; è stato e vuol essere un sentimento del cuore, una devozione filiale, una religione comune, e nelle sue migliori espressioni un’affezione sincera, un amore al Papa: al Papa - voi dite - si crede, si obbedisce, si vuol bene; con lui e per lui si prega; e, se occorre, con lui e per lui si soffre. È davvero così?

E se così, la voce dei vostri auguri non è più soltanto eco del passato, né espressione del presente, ma presagio del futuro: si fa promessa; e vuole con questo accento significare il suo più alto valore, offrire il suo migliore conforto. 

Non possiamo perciò non accogliere con riconoscenza voti così formulati; e subito Ci sentiamo obbligati a ricambiarli, nel Signore, per ciascuna delle vostre persone e delle vostre famiglie; e se li estendiamo al più largo cerchio sociale, nel quale si svolge la nostra esistenza, i Nostri voti vanno a Roma, all’Urbe, a cui sono rivolte, con priorità di titolo e di interesse, le cure del Nostro ministero apostolico.

Questa spontanea estensione dei Nostri auguri alla Roma, di cui voi Ci portate la memoria, pare a Noi offrire campo di più confidenziale incontro del Nostro animo con i vostri, della vostra passione per la Città, vostra sede e vostra gloria, con il Nostro primo dovere pastorale, quello della prosperità spirituale di questa stessa Città, di questa fra tutte avventurata diocesi, alla quale, per divina disposizione, Noi siamo ormai legati per la vita e per la morte.

Con voi sarebbe facile e doveroso il discorso su l’amore, che noi tutti dobbiamo a Roma; ma sono tante le ragioni, di cui tale amore può alimentarsi, che lasciamo ai vostri studi, ai vostri gusti, alla vostra sensibilità esplorare tali ragioni; tutte buone e degne, se portano all’amorosa conoscenza di questa fatidica Città; e Noi a voi le raccomandiamo, affinché al privilegio d’essere Romani aggiungiate la coscienza del valore e della responsabilità, che esso reca con sé. Noi, non storici, non archeologi, non artisti, non giuristi, non politici, non collezionisti - sebbene il Nostro ufficio Ci obblighi verso Roma a non essere profani in tali forme del culto, che le è dovuto -; Noi siamo semplicemente curatori d’anime, siamo il Vescovo di questa comunità urbana, che si chiama Roma, e abbiamo per essa il Nostro particolare modo di amarla; il Nostro è amore pastorale.

Sapete che cos’è l’amore pastorale? Vi accenniamo appena perché proprio in questo amore Noi ambiremmo di avere anche voi, in qualche forma e in qualche misura, filialmente sensibili e soci. Non crei malintesi il termine di pastorale; non siamo nel regno dell’Arcadia, e nemmeno in quello del sentimento, sebbene anche di sentimento sia ricco l’amore pastorale. Siamo nel regno della carità, fondato da nostro Signore Gesù Cristo «Pastore dei Pastori», come lo definisce Sant’Agostino (Sermo 138, 5; P.L. 38, 765)j e derivato appunto nel cuore di Pietro, come ci dice il Vangelo, dall’amore che l’Apostolo portava al Maestro, e che il Maestro travasa da Sè al suo gregge, cioè all’umanità: «amatorem fecit pastorem», dice ancora lo stesso S. Agostino (ib.): Gesù trasformò l’amatore in pastore. E si sa quale pienezza di significato assuma nel linguaggio evangelico la soave e tragica metafora del pastore, quella dell’amore più gratuito, più disinteressato, più vigilante, più affettuoso, più generoso, più eroico: nessuna altra espressione dell’amore pareggia quella pastorale, se, com’è vero, essa osa assorbire perfino quella materna («Mediante il Vangelo - dice S. Paolo - io vi ho generati»: 1 Cor. 4, 15; «Voi, figlioli miei, ch’io vado di nuovo partorendo, finché si formi Cristo in voi»: Gal. 4, 19); e se, come parimente è vero, «non vi è dilezione più grande - è Gesù che lo afferma - che il dare la vita per coloro che si amano» (cfr. Io. 15, 13). Appena ricordiamo, quasi a Nostro personale ammonimento, queste formidabili definizioni dell’amore pastorale, perché comprendiate a quale impegno Noi siamo vincolati, e a quale genere di amore per Roma Noi vorremmo associare voi pure, e quanti vogliono filialmente collaborare al Nostro tremendo e dolcissimo ministero. Sì, vorremmo che i vostri cuori avessero a palpitare nobilmente e generosamente col Nostro per il bene di questa Roma, che per varie ragioni intreccia il vostro destino al Nostro apostolico ufficio, anche se questo, sconfinando dai vecchi quadri, deve principalmente rivolgersi alle cospicue e numerose categorie dei nuovi cittadini romani.

Il bene, che andiamo cercando, per Roma, tutti lo sanno, è quello spirituale. Per lungo tempo (lo abbiamo in altre circostanze ricordato) anche il suo bene temporale ha fatto oggetto delle cure pontificie; ora, con diretta responsabilità, non più. Ma il bene spirituale di questa Città è tal cosa, per dignità di contenuto, per difficoltà di conseguimento, per dovere di mantenimento, da reclamare da Noi per sé solo ogni pensiero, ogni entusiasmo, ogni trepidazione, ogni sacrificio. Il solo ricordare che Roma è l’erede prima della tradizione venti volte secolare della cristianità latina, ch’essa è al centro dell’unità e della cattolicità della santa Chiesa, che ne deve essere il faro, l’esempio, il sostegno, non solo per la potestà delle sue chiavi, ma altresì per la virtù della sua santità, e finalmente che Roma accoglie oggi un’enorme popolazione nuova, caratterizzata dal ceto impiegatizio e da un’immensa e varia classe di lavoratori, ai quali dobbiamo il Nostro più cordiale interesse, Ci esalta e Ci conturba; e Ci avverte come lo splendore morale del Papato non può disgiungersi da quello del Popolo romano. Semplifichiamo ora tutto in una parola: Roma è cattolica. Sì, nessuno lo nega; tutti lo affermano, quanti almeno hanno spirito cristiano e senso storico e amore vero per questa incomparabile Città. Ma provate a mettere la stessa parola in forma di domanda, cioè di verifica d’una così assoluta ed esigente realtà: Roma è cattolica quanto dovrebbe essere? E sentirete sorgere nel vostro spirito, come nel Nostro, un tumulto di contrastanti osservazioni, di affannosi sentimenti: è davvero cattolica, così cristiana, religiosa e buona questa Città del Nostro e del vostro cuore, come lo esigono la sua storia e la sua missione?

Ecco allora un primo e caratteristico segno dell’amore pastorale: conoscere i bisogni. Apriamo gli occhi amorosamente sopra i bisogni spirituali di Roma. Dovere Nostro gravissimo, lo sappiamo; dovere del Clero e dei Religiosi; ma oggi dovere arresi di tutti fedeli, di tutta la comunità dei credenti, di tutto il «popolo di Dio», del quale il Concilio ecumenico ha altamente riconosciuto l’eminente dignità, ed al quale ha insieme assegnato la partecipazione all'«ufficio profetico di Cristo, col diffondere dappertutto la viva testimonianza di lui» (n, 12). La collaborazione e la corresponsabilità si estendono dalla Gerarchia al Laicato man mano che il senso comunitario, in cui essenzialmente si esprime la coscienza della Chiesa, si fa luce nei fedeli, in quelli specialmente che fedeli vogliono essere non solo di nome, ma nella concreta e profonda realtà, che tale qualifica comporta.

Signori e Figli carissimi! Il Nostro discorso, alla considerazione dei bisogni spirituali di Roma, si fa, per un verso, commosso di compiacenza e di gratitudine; per un altro verso, grave e triste. Dobbiamo il Nostro plauso e la Nostra riconoscenza al poderoso sforzo pastorale del Nostro Vicariato di Roma, e alle molteplici, sollecite, provvidenziali iniziative di bene, che in ogni parte, in ogni ceto, in ogni forma fioriscono sul suolo sempre fecondo e benedetto di questa Città; ma dobbiamo inoltre riconoscere che i suoi bisogni spirituali restano immensi. Le sue proprie risorse religiose non bastano ancora a fare di essa una Città veramente cristiana, una Città veramente fedele a quelle tradizioni, che ne costituiscono il vanto e ne interpretano la sua secolare e più alta missione.

Perché non bastano? Le spiegazioni sono ovvie: la popolazione è enormemente cresciuta, lo sviluppo urbanistico ha creato problemi innumerevoli e quasi insolubili per la normale vita religiosa della Città, le sue attribuzioni politiche, sociali, economiche, culturali sono assai aumentate; e perciò si comprende come l’assistenza religiosa e l’espressione tipicamente cattolica dei suoi cittadini non possano pareggiare con la dovuta efficienza l’incremento civile e temporale della Città stessa. Sono stati fatti sforzi lodevolissimi, con risultati molto confortanti, dicevamo; ma si deve riconoscere che Roma cristiana non basta a se stessa. Deve fare molto di più, risvegliando e impiegando le risorse d’ogni genere, che la Provvidenza non le lascia mancare.

Noi osserviamo pieni di ammirazione ciò che l’iniziativa privata dei buoni Romani compie nei campi della pietà religiosa, della cultura e della carità, anche per merito vostro. Vogliamo qui citare, a titolo di esempio e in segno di benevolenza, quello che fa, con tanto impegno e tanto merito, un vostro Comitato in favore delle vocazioni sacerdotali, formato da Signore del Patriziato Romano e presieduto dalla Principessa Colonna; vogliamo ricordare l’iniziativa della preparazione pasquale a Tor de’ Specchi; Ci piace salutare la novissima istituzione giovanile, che s’intitola «Approdo Romano», e che si propone principalmente l’assistenza agli Studenti universitari esteri, anche non cattolici, e l’animazione culturale e spirituale della vostra gioventù, che sappiamo numerosa e volonterosa riunita intorno a così promettente e geniale insegna. Benissimo! e coraggio diciamo a codeste e alle altre innumerevoli iniziative, che tonificano e ravvivano lo spirito cattolico di Roma.

Ma quante necessità, Figli carissimi, restano ancora scoperte! Anche nella sfera della pietà, della cultura e della carità, nella quale moltissimi di voi - le Signore specialmente - prodigano cure e offerte meritevolissime. Quante opere di carattere associativo e sociale, oggi indispensabili, attendono chi vi dia nome, obolo e sostegno! Che diremo del bisogno improrogabile di costruire nuove Chiese parrocchiali con le loro relative opere di formazione religiosa e di azione cattolica? Dànno i Romani aiuto proporzionato a questa impresa colossale e indispensabile? e le vocazioni ecclesiastiche (a cui è rivolto, dicevamo, il vostro meritorio interessamento) come mai non vengono che in troppo esigua misura alla grande, affascinante carità pastorale dell’evangelizzazione romana dalle nostre famiglie cristiane? e le scuole cattoliche bastano forse all’educazione della nostra gioventù? e la stampa cattolica in quale condizione si trova? perché non trova udienza fra noi, come invece in altri Paesi? e come potrà conservarsi incorrotta ed operante la fede, se non alimentata dall’insostituibile nutrimento quotidiano del giornale nostro? e le organizzazioni cattoliche, tanto raccomandate dalla Chiesa, sono qui sostenute e promosse per quello che meritano i loro magnifici programmi e la elevazione morale e sociale, a cui esse tendono, del nostro popolo? Bisogni immensi, dicevamo.

Abbiate pazienza, Signori e Figli carissimi! non facciamo questi dolorosi rilievi per imputarli a voi, o per addebitare a voi i loro rimedi. È l’ansia pastorale, di cui vi facciamo paterna confidenza, che Ci fa parlare così! è l’amore a Roma cattolica! ed è anche la fiducia d’essere da voi compresi, che fa qui traboccare le Nostre pene, le Nostre sollecitudini, le Nostre speranze. Vi facciamo forse torto mettendovi al corrente di queste Nostre superiori preoccupazioni per il bene, per la salvezza della nostra Roma? O invece non onoriamo Noi l’alto sentimento, che voi stessi nutrite per la vita cattolica, coerente, attiva, moderna dell’Urbe, se osiamo suscitare in voi stessi pensieri e propositi capaci di aumentare sia la vostra ricchezza interiore, sia la vostra esteriore efficienza benefica? Questa almeno è la Nostra intenzione. Questa è la Nostra fiducia. E Noi saremo già a voi riconoscenti, se, proprio in vista di questa rigenerazione spirituale di Roma, voi vorrete unire alle Nostre le vostre preghiere: a Cristo, che la storia e la civiltà, per un segreto disegno divino, hanno reso cittadino romano; alla Madonna Santissima, salute del popolo romano, ai santi Apostoli Pietro e Paolo e alle falangi di Martiri e di Santi, che fanno sacro questo suolo privilegiato. E parimente vi saremo obbligati se vorrete confortare con la dignità morale dei vostri esempi, tuttora guardati n vista dal mondo, il grande sforzo di conservare a Roma il suo volto cristiano.

Noi confidiamo. Per il Nostro cuore! per il vostro bene vanno in questa direzione i Nostri auguri; che subito si aprono in benevolenza affettuosa su ciascuna delle vostre famiglie e delle vostre persone, su ciascuno di questi giovani e di questi fanciulli, che portate al Nostro cordialissimo incontro; e auguri che vogliono invocare su di voi l’effusione dei doni divini, mediante la Nostra Apostolica Benedizione.

       



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