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INCONTRO DI PAOLO VI
CON LE RAPPRESENTANZE DEI GRUPPI DI LAVORO IN AFRICA

Lunedì, 3 gennaio 1966

 

Siamo molto lieti di ricevere questa udienza, tanto numerosa e tanto significativa, innanzi tutto perché essa Ci offre grata occasione d’incontrare persone a Noi ben note e da Noi sempre cordialmente ricordate, che tengono in Noi viva la memoria del Nostro viaggio in Africa, nei mesi di luglio ed agosto del 1962, a Kariba e a Chirindu, nella Rhodesia, ed a Akosombo nel Ghana. Siamo lieti di porgere a queste persone il Nostro particolare saluto: all’Ing. Giuseppe Lodigiani specialmente, che Ci fu per buona parte compagno di viaggio e che Ci dette modo di dare al Nostro viaggio, non solo un interesse turistico d’eccezionale rilievo, ma anche un valore missionario al quale quella Nostra escursione africana principalmente mirava; a lui, alla sua famiglia, ai suoi collaboratori, e poi a tutte le maestranze, che vediamo qui così largamente rappresentate, la Nostra affettuosa e rispettosa riconoscenza per quegli incontri africani e per questo incontro vaticano.

Non possiamo tacere il nome del caro e reverendo don Giuseppe Betta, Cappellano prima a Kariba e poi ad Akosombo; è a lui che dobbiamo l’assistenza agli Imprenditori ed agli Operai delle due gigantesche dighe, quella sullo Zambesi e quella sul Volta; a lui, assecondato ed aiutato dall’Impresa costruttrice, dobbiamo le due belle Cappelle da Noi visitate, l’una e l’altra focolari di incontri spirituali e di assistenza religiosa ben degni del Nostro encomio e della Nostra riconoscenza. Noi siamo lieti che quei due piccoli focolari non si siano spenti con la fine dei lavori, ma che siano rimasti accesi e che si vadano trasformando e sviluppando in stazioni missionarie provvidenziali e piene fin d’ora di grandi meriti e di grandi promesse. Non sarà piccolo merito per le Imprese costruttrici delle ciclopiche dighe l’aver favorito in tal modo l’assistenza religiosa dei gruppi di lavoro impegnati nelle lunghe e difficili imprese e l’aver lasciato a ricordo dei Morti durante l’esecuzione dei lavori e dei Vivi, che hanno avuto il genio e l’ardimento di portarli a termine, tali segni di cristiana e civile metà.

Profittiamo perciò di questo incontro per esprimere la Nostra lode e la Nostra ammirazione per quelle difficilissime e grandiose costruzioni. Esse sono l’espressione monumentale e commovente del lavoro pesante e organizzato moderno, che studia e scopre le immense risorse della natura, sfida difficoltà sempre credute insuperabili, lotta con tenacia, con astuzia, con energia contro gli ostacoli della materia, ne asseconda abilmente le leggi e le domina piegando le loro forze cieche e nemiche a fedele ed utile servizio dell’uomo, per produrre altro lavoro ed altre imprese, finché estratto dal seno della terra, che finalmente si mostra materna e prodiga, quel pane - beni, ricchezze, energie - che sazierà la fame, la prima fame dell’uomo, darà alla sua vita possibilità di sviluppo e di godimento, e - cosa mirabile - ne sveglierà altra fame, altro bisogno di pienezza e di elevazione, che solo un altro Pane, quello che non sorge dalla terra resa feconda, ma discende gratuito dal cielo, la Parola di Dio, il Pane della vita eterna, che solo Cristo ci dà, potrà finalmente saziare. È la meditazione della civiltà industriale moderna, che s’impone con voce dolorante dapprima, trionfale poi, davanti alla mole delle vostre opere conquistatrici e dominatrici; è la potenza e la dignità del lavoro umano che esse obbligano ad ammirare; è la speranza d’una redenzione temporale, economica e civile, che scaturisce da imprese così vittoriose e trasformatrici delle condizioni sociali; ed è anche il timore che l’uomo inebbriato dei suoi risultati arresti il suo cammino verso la vera vita a codesto stupendo, ma intermedio livello; ed è infine la consolazione di aver incontrato Cristo curvo con voi al lavoro, che Ci ha riempito di ammirazione e di gaudio. Vi dobbiamo queste confidenze anche per il legittimo orgoglio, che allora Ci era concesso, come Arcivescovo di Milano, di vedere ciò che può e ciò che vale il lavoro italiano; ve le dobbiamo anche per la grande affezione che portiamo, ora più che mai, a quelle popolazioni africane, alle quali le sorgenti di progresso e di benessere, da voi fatte scaturire nella loro terra, voi non volevate fossero precluse ad esclusivo vantaggio di chi con la civiltà deve non solo per sé, ma per tutti recare pienezza di diritti, e con i beni temporali non solo per sé, ma per quanti ne hanno desiderio e bisogno deve saper offrire i beni superiori della libertà, della cultura, della giustizia sociale e della fratellanza cristiana.

Voi aprite il Nostro spirito a considerazioni gravi ed a speranze liete; ve ne siamo molto obbligati. E perciò ancora vi ringraziamo della vostra visita; auguriamo nuovi incrementi alle vostre imprese; incoraggiamo il buono spirito di cameratismo e di collaborazione ordinata e fraterna, che Ci è parso notare nei vostri cantieri; mandiamo un saluto ai vostri compagni di lavoro lontani; diamo un pensiero affettuoso per le vostre rispettive famiglie; e nel Nome di quel Cristo che indegnamente rappresentiamo, tutti di cuore, vi benediciamo.

                                              



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