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DISCORSO DI PAOLO VI
AGLI ASSISTENTI ECCLESIASTICI DELLE ACLI

Mercoledì, 24 aprile 1968

 

IL GRAVE E ASSIDUO IMPEGNO DELL'ASSISTENZA SPIRITUALE AL MONDO DEL LAVORO

Cari e venerati Confratelli,

Quale altra parola potremo Noi dirvi in questo brevissimo incontro, per tutto riassumere quello che sarebbe da dire a vostro riguardo, se non questa sola: perseverate! Sì, continuate nel vostro ministero di assistenza religiosa, di consiglio morale, di amicizia cristiana, di comprensione umana, di presenza vissuta, di dono di voi stessi alle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Una reminiscenza evangelica sembra suffragare quest’unica Nostra esortazione: «Nessuno che mette mano all’aratro, e si volta indietro, è adatto al regno di Dio» (Luc. 9; 62).

Voi notate che il Nostro incitamento svela una certa diagnosi, più supposta che verificata, dei vostri animi; suppone cioè che voi sentiate la fatica del vostro ministero, e con la fatica la tentazione di abbandonarlo per dedicare l’opera vostra ad altro lavoro, di più facile impegno e di maggiore soddisfazione. L’assistenza spirituale al mondo del lavoro non è impresa leggera e di copioso rendimento; essa presenta oggi non poche difficoltà, d’ambiente soprattutto; e poi reclama impegno grave ed assiduo, offre sorprese impensate, tanto nel campo psicologico, che in quello sociale, esige un continuo aggiornamento di linguaggio e di metodo, non gode di larghi consensi e di facili collaborazioni, espone talvolta a solidarietà compromettenti, e incontra più spesso critiche che approvazioni, sia nell’opinione pubblica, che in quella cattolica. Intrapresa codesta assistenza con fervore e dedizione, espone a sbagli, a intemperanze, a sconfessioni; condotta invece con comoda moderazione autocritica e prudenziale, perde molto della sua efficacia ed è mal ripagata dalla stima e dalla fiducia di coloro a cui è destinata, così insinua nell’animo il dubbio d’essere opera vana e male concepita.

TESTIMONIANZA INCONFUTABILE DELL'ATTUALITÀ DEL VANGELO

Ebbene, cari Confratelli, qualunque sia l’esperienza desunta dal ministero che vi è stato affidato, non lo lasciate, non lo abbandonate, posponendolo ad altro più facile e più fecondo di risultati e di applausi; resistete, finché il mandato dei vostri superiori vi consegna in cotesto posto, alla lusinga d’altro impiego del vostro tempo e della vostra fatica. Non vi faremo l’apologia che il ministero sacerdotale, comunque esercitato nel mondo del lavoro, si merita; voi, del resto, potete farla a Noi stessi e ad altri, meglio di Noi, esperti come siete, non solo delle difficoltà d’un tale ministero, ma altresì dei bisogni che lo reclamano, dell’ampiezza del campo che gli è aperta davanti, dei frutti anche, che non di raro lo premiano e lo consolano. Noi vi ripeteremo un solo argomento, il quale basterebbe da solo a giustificare, anzi a reclamare la vostra operosa presenza in mezzo ai Lavoratori, ed è la testimonianza non verbale, non retorica, non occasionale, non puramente dimostrativa, ma reale, ma vissuta, ma sofferta, ma inconfutabile, dell’interesse, anzi dell’amore, che la Chiesa professa per le classi lavoratrici; diciamo di più, per il mondo dei poveri, per coloro che nel regno temporale hanno meno, spesso assai meno degli altri, ed hanno ancora fame e sete di giustizia, e che il Vangelo gratifica di promesse preferenziali al regno dei cieli. Voi siete gli amici dell’umile popolo; voi siete, in qualche maniera, i colleghi della sua pesante fatica; voi siete i fratelli maggiori che lo possono comprendere, guidare ed istruire; voi siete gli avvocati della giustizia, ch’esso per naturale, se non per legale diritto attende con crescente coscienza ed impazienza; voi siete i portatori della speranza umana e sovrumana, di cui solo il cristianesimo possiede i tesori per coloro che di speranza soffrono, vivono e muoiono (cfr. Mad. Delbrêl, Nous autres, gens des rues, p. 255, ss.).

«AVETE SCELTO LA PARTE MIGLIORE»

La realtà umana, sociale, morale, a cui si rivolge il vostro interesse pastorale, è ancora così grande, e, in molte situazioni tuttora così cruda e così implorante intelligenza e carità, da conferire al sacerdote, che in essa si immerge, un titolo primario, unitamente a quello del ministero sacramentale, della sua vocazione evangelica e della sua missione ecclesiale. Non temete: se sapete conservare come l’albero le sue radici, la comunione contemplativa e affettiva col mistero di presenza, di verità, di obbedienza e di grazia, proprio del sacerdozio cattolico, voi, consacrandovi all’apostolato dei Lavoratori, specialmente quando essi sono poveri, diseredati, soli, illusi ed esacerbati dalle loro condizioni di insicurezza, d’insufficienza, di inferiorità, voi, possiamo dire usurpando una parola di nostro Signore, «avete scelto la parte migliore» (Luc. 10, 42). La Chiesa è con voi.

Il Papa è con voi. Piuttosto resta da considerare il vostro posto e la vostra funzione in seno ad un corpo, di cui ora non parliamo, già costituito, nella sua propria organizzazione, qual è quello delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, e già maturo nelle sue esperienze e nei suoi programmi. Ma tutto questo è già in atto, e voi stessi ben sapete come un Assistente ecclesiastico non è un Dirigente - come si dice e si fa - democraticamente nominato; e sapete anche come un delicato, ma amichevole problema di competenze e di rapporti sia permanente in codeste Associazioni circa Dirigenti laici e Assistente ecclesiastico, e come esso esiga vicendevole comprensione e rispetto, ed elastica soluzione. Riconosciamo ai Dirigenti laici la priorità dell’iniziativa e della responsabilità; ma è fuori dubbio che quanto spetta all’Assistente ecclesiastico, è sempre di somma importanza, anche perché esso non è oggetto di contestazione da parte dei nostri Laici, Dirigenti o soci che siano, sì bene è ordinariamente desiderato e bene accolto, a loro guida morale e a loro conforto spirituale.

MIRABILE GUIDA ED ALTO CONFORTO MORALE E RELIGIOSO

Tocca innanzi tutto a voi, Assistenti, tener viva la specificazione cristiana dell’organizzazione e dell’intero suo movimento ideale; una specificazione che vuol essere non puramente nominale, ma reale, cioè aderente sia ai programmi delle Associazioni, sia agli animi, alle coscienze di quanti hanno l’onore e la fortuna di appartenervi. Il che vuol dire proporre al vostro ministero uno dei più grandi problemi spirituali e pastorali del nostro tempo: quello della vita religiosa del mondo del lavoro; problema che va dal modo di conservare una effettiva sopravvivenza alla pratica religiosa tradizionale, all’arte di rendere viva, cosciente, gradita l’assistenza comunitaria ai riti religiosi, alla santa Messa festiva, in modo particolare, alla cui partecipazione la riforma liturgica, mentre ravviva la coscienza della sua essenziale importanza, facilita a tutti l’adesione ed il godimento. È di oggi un denso articolo di Padre Spiazzi su «La fede religiosa nell’età tecnologica» nel quale si osserva: «Sono molti coloro che oggi ritengono che ci sia un insanabile contrasto tra lo spirito religioso e una mentalità dominata non solo dal senso storico di ciò che la tecnica può realizzare e ottenere, ma addirittura da una specie di idolatria della tecnica . . .» (Oss. Rom., p. 5). Sarà studio, sarà zelo di voi, Assistenti, analizzare e risolvere questo contrasto, che per fortuna trova nei bravi Soci delle ACLI frequenti e felici soluzioni.

LA CONDOTTA RESPONSABILE DEL LAVORATORE CRISTIANO

E quanto si dice del culto religioso deve essere esteso alla formazione della mentalità morale e sociale degli Aclisti stessi; non si creda che il vigilante richiamo alla valutazione morale delle cose e delle situazioni sia cosa pedante o superflua; compiuto con tatto, con saggezza, con tempestività esso può costituire un fattore pedagogico d’alto valore, che, lungi dall’annoiare o dall’inceppare la naturale tendenza del Lavoratore all’azione rapida e concreta, può risvegliare in lui il senso della sua dignità e lo stimolo al suo coraggio per una condotta libera e nobile, quale appunto a chi cristiano è chiamato si addice. Cosi può dire del richiamo, che può svilupparsi talora anche in corsi sistematici, alla dottrina sociale della Chiesa; dottrina che solo chi non ha l’occhio aperto alle verità proprie della concezione cristiana dell’uomo e della società, e agli insegnamenti copiosi e moderni del magistero ecclesiastico, può contestare come superata, o addirittura inesistente, o punto originale ed obbligante. Su questo punto voi, Assistenti, siete e dovete essere maestri; e trovate nell’abile e bene informato esercizio di cotesto servizio un merito particolare, quello della fiducia dei vostri assistiti, ben disposti a farsi da discepoli apostoli e da alunni seguaci ed amici. Ed a questo proposito lasciateci aggiungere una esortazione, che Ci sembra suggerita dalla natura del vostro ministero e dalla temperie psicologica spirituale e sociale del ‘momento presente: abbiate la fraterna franchezza di essere e di mostrarvi uomini di equilibrio; uomini, cioè, che «guardando in alto, a Gesù Cristo, - come sapientemente si esprime il vostro valoroso ed a Noi caro Assistente Nazionale, Mons. Cesare Pagani - stimolano a chiarire le ambivalenze e a non esasperare gratuiti carismatismi»; e a fare sempre delle ACLI un «centro di forze cristianamente ispirate e capaci di sostenere con i loro dibattiti, con le loro esperienze e con la loro azione il rinnovamento della nostra società» (cfr. M. R. - Agg. sociali, n. 4, 1968, p. 292).

PROSEGUIRE E RICOMINCIARE «IN NOMINE DOMINI»

Non vi pare, cari Confratelli, che in certi momenti della vita, a certe svolte degli avvenimenti, in certe ore di bilancio consuntivo e preventivo della nostra attività, tutto sembri essere messo in questione, e che una tempesta di dubbi, di timori, di noia e di stanchezza ci sorga dal fondo dello spirito con la divorante domanda della pseudosaggezza : «Cui bono?»: Vale la pena? a che giova? Ebbene, se questo fosse per voi uno di quei momenti, vi conforti a serenità, a fortezza, a perseveranza, la Nostra paterna risposta: sì, per la causa di Cristo nel mondo del lavoro, per il bene dei nostri cari Lavoratori, sì vale la pena di continuare, di ricominciare, in nomine Domini, con la Nostra Apostolica Benedizione.

  



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