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DISCORSO DI PAOLO VI
AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE CENTRALE
PER L'ARTE SACRA IN ITALIA

Mercoledì, 17 dicembre 1969

 

Accogliamo molto volentieri la Pontificia Commissione per l’Arte Sacra in Italia, innanzi tutto per le persone che la compongono : ecco il Signor Cardinale Paolo Marella, Presidente Onorario, ecco Mons. Giovanni Fallani, Presidente effettivo, con il Segretario Mons. Pietro Garlato; e poi gli illustri Consultori della Commissione stessa. Questa visita Ci offre occasione di salutare rispettosamente queste degnissime persone e di manifestare la stima e la fiducia, che Noi professiamo nei loro riguardi, ed inoltre di esprimere a loro la Nostra riconoscenza per l’attività che esse svolgono per l’efficienza ed il credito della Commissione medesima. Sappiamo l’attività della Commissione, seguiamo i suoi lavori, Ci compiacciamo del suo servizio per una causa ben degna del Nostro interesse e ben inserita nel disegno multiforme e unitario della Nostra missione apostolica in onore del nome di Cristo e a vantaggio della sua Chiesa.

In secondo luogo siamo lieti di questo incontro per lo scopo che lo giustifica, e cioè la presentazione d’un volume, il cui titolo basta da solo per meritare il Nostro plauso; il titolo infatti parla degli «Orientamenti dell’Arte sacra dopo il Vaticano II». Esso sveglia subito la Nostra curiosità, alla quale speriamo concedere qualche soddisfazione difendendo a tal fine qualche sereno momento di intellettuale ristoro dalla sempre invadente pressione delle incessanti occupazioni del Nostro ufficio. Ma esso titolo, già di per sé, Ci è grato documento della fecondità del recente Concilio ecumenico vaticano secondo anche nel campo dell’Arte Sacra, campo questo che, a tutta prima, si potrebbe supporre remoto ed estraneo alle grandi correnti teologiche e canoniche dell’assemblea conciliare, e che invece vediamo percorso da cure laboriose, intenzionali e, come per ogni altro campo coltivato dalle grandi trattazioni del Concilio stesso, da precisi ed amorosi intenti rinnovatori ed animatori. La primavera conciliare è auspicata e promossa anche nell’orto privilegiato dell’Arte Sacra. L’aratro fecondatore del Concilio è passato anche in cotesto giardino. Sta bene, Noi speriamo. Non possiamo desiderare di meglio che anche l’Arte Sacra abbia a rifiorire all’aura vivificatrice dello Spirito, che la Chiesa ha invocato per ogni sua vitale attività in quella storica occasione.

IL CONCILIO NICENO II

Piacerà dunque anche a Noi osservare come il Concilio abbia espressamente parlato dell’Arte Sacra. Sarebbe interessante ricordare come non è la prima volta che ciò avviene in sede conciliare. Chi non sa come il Concilio Niceno II, nell’anno 787, abbia dottrinalmente messo fine alla controversia iconoclasta in Oriente e poi in tutta la Chiesa cattolica rivendicando da un lato la liceità delle sacre immagini, dall’altro la funzione cultuale, puramente relativa e rappresentativa delle iconi e di quanto si connette al loro culto: l’onore reso all’immagine si riferisce non tanto ad esse, quanto «al prototipo», cioè a Chi ed a ciò di cui esse offrono la figura, mirando esse a erigere gli animi, oltre la figura stessa, a quanto questa rappresenta (cfr. Denz.-Sch. 600-601); cosa per noi chiarissima, ma in quel momento storico e in quel clima spirituale opportunissima per togliere all’immagine ogni tentazione idolatrica e per conservare all’arte religiosa figurativa la sua tradizionale legittimità, il suo ufficio simbolico e didattico, la sua possibilità di svolgersi e di diffondersi (cfr. S. BASILIO, De Spiritu Sancto, 18; PG 32, 149).

IL CONCILIO TRIDENTINO

La questione fu ripresa, come è noto, dal Concilio Tridentino, a rettifica di certe espressioni verbali scolastiche (cfr. S. TH., III, 25, 3), e a difesa di certe posizioni negative protestanti, con l’affermazione rinnovata della convenienza del culto delle immagini (cfr. Benz.-Sch., 1823), seguita dall’apologia consueta della dignità e dell’utilità dell’arte sacra (cfr. BOSSUET, nel frammento su Le culte dû aux images. Œ uvres compl. VIII, 21-29; VII, 429-443, ed. 1846). Tutta una letteratura storica, teologica, apologetica, artistica su questo tema ci dice il merito e la saggezza della Chiesa a riguardo di questa squisita e sublime espressione dello spirito nel campo sensibile, affidando all’arte una funzione mediatrice, analoga potremmo quasi dire a quella sacerdotale, o, forse meglio, simile a quella della scala di Giacobbe, che discende e sale, la funzione cioè di portare il mondo divino all’uomo, a livello sensibile, della sua intuizione cognoscitiva mediante l’uso dei sensi e mediante le sue vibrazioni sentimentali, per innalzare poi il mondo umano a Dio, al suo regno ineffabile di mistero, di bellezza, di vita. La liturgia, nell’impiego dei molti suoi segni sensibili, dimostra la sua vocazione artistica; e quando essa è bene compresa e bene compiuta, risponde a questa vocazione in modo incomparabile, nella bellezza della forma e nella profondità del contenuto.

IL CONCILIO VATICANO II

Il Concilio Vaticano II parla dell’arte sacra in relazione alla Liturgia in un capitolo intero, il VII, della Costituzione «Sacrosanctum Concilium» infondendo così all’arte sacra un impulso nuovo, che segnerà, Noi speriamo, i suoi nuovi e fioriti sentieri, anche perché essi hanno, nelle linee direttive loro segnate, davanti a sé la libertà, secondo l’autorevole riconoscimento che l’Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII afferma essere dovuta ancor più all’arte che all’artista: «Non si devono disprezzare, dice la celebre Enciclica, e ripudiare genericamente e per partito preso le forme e le immagini recenti . . . . evitando con saggio equilibrio l’eccessivo realismo da una parte e l’esagerato simbolismo dall’altra; e tenendo conto della comunità cristiana, piuttosto che del giudizio e del gusto personale degli artisti, è certamente necessario dare libero campo anche all’arte dei tempi nostri» (A.A.S., 1947, p. 590; Sacr Conc., n. 123).

Questo Ci fa concludere con un fiducioso incoraggiamento a fare in modo che fra l’arte moderna e la vita religiosa, auspice specialmente la Liturgia, cioè il culto divino, si ristabilisca una amicizia, un’alleanza, la quale contribuisca a restituire all’opera d’arte i due suoi massimi e caratteristici valori: quello della bellezza, della bellezza sensibile (id quod visum placet; percepita nell’integrità, nella proporzione, nella purezza dell’opera; cfr. S. TH. 1, 39, 8), e quello indefinibile, ma vivente dello spirito, della commozione lirica dell’artista riflessa nell’opera sua; e riesca a ridare voce innamorata e innamorante alla Chiesa, alla Sposa di Cristo.

Con un’altra conclusione, a cui il Vaticano II attribuisce particolare importanza: bisogna, ancor prima di pretendere una epifania nuova d’arte sacra, quasi ch’essa abbia virtù di generare da sé il suo rinnovamento e la sua fecondità, bisogna darsi cura di formare gli artisti: bisogna, come sempre, cominciare dall’educazione dell’uomo (cfr. Sacr. Conc., n. 127). Ed è ciò che voi fate e farete: la pubblicazione di questo volume Ce ne vuol essere documento e pegno. E perciò di cuore vi ringraziamo e vi benediciamo.



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