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ASSEMBLEA STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

ALLOCUZIONE CONCLUSIVA DI PAOLO VI

Lunedì, 27 ottobre 1969

 

Venerati Fratelli!

Nel porre termine a questo Sinodo straordinario dobbiamo a voi qualche parola a titolo di conclusione.

La Nostra prima parola sia di ringraziamento per il vostro intervento: non è piccolo dono al bene generale della Chiesa la venuta di persone come le vostre, impegnate nelle gravi e assorbenti cure pastorali, e la partecipazione intensa e severa ai lavori di questa assemblea. Si aggiunge al ringraziamento la compiacenza per l’assiduità della vostra presenza e per l’impegno della vostra attenzione e della vostra collaborazione alla serietà e all’utilità delle discussioni sinodali.

Noi pensiamo che uno dei premi a cotesto vostro concorso sia la conversazione fraterna di queste giornate e la comunicazione reciproca delle rispettive esperienze, delle comuni difficoltà e delle fraterne speranze; certamente la carità ecclesiale ne avrà avuto vantaggio, e una volta di più tutti abbiamo sperimentato «quam bonum et iucundum habitare fratres in unum» (Ps. 132, 1).

Dobbiamo notare, anche «in limine expeditionis», il carattere straordinario di questo Sinodo: straordinario, perché rivolto alla soluzione di questioni preliminari rispetto al futuro svolgimento del governo ecclesiastico, cioè alla determinazione dei rapporti canonici risultanti da due fatti, posti in evidenza dal recente Concilio Ecumenico Vaticano Secondo: la collegialità dell’ordine episcopale, che là è stata dichiarata, e le Conferenze episcopali nelle varie Nazioni o regioni territoriali più fortemente inculcate. Questo carattere specifico e perciò limitato del presente Sinodo straordinario indica per se stesso che altri Sinodi generali dovranno in avvenire essere convocati per la trattazione delle altre grandi e urgenti questioni che interessano la vita della Chiesa.

A questo proposito sentiamo l’obbligo di assicurarvi che sarà Nostra premura, grato piacere ancor più che chiaro dovere, dare la massima considerazione all’esito delle «manifestationum sententiarum», cioè dei voti, che voi, Venerabili Fratelli, avete questa mattina espressi e consegnati alla Presidenza del Sinodo: il fatto che parte di codesti voti sono stati dati «iuxta modum» esige da Noi un esame, la cui conclusione Ci sarà doveroso meditare davanti a Cristo, nell’intimità della Nostra coscienza e nel senso della Nostra responsabilità di Pastore Supremo della santa Chiesa di Dio, per esprimere poi la Nostra sentenza al riguardo, la quale vi sarà ben tosto comunicata.

Ci sembra tuttavia fin d’ora possibile enunciare la Nostra intenzione conforme alla vostra, circa la regolarità della convocazione dei Sinodi episcopali, nelle forme previste dal loro statuto, di ceti generali o straordinari, senza omettere, quando si rivelasse opportuno, il ricorso alla convocazione di Sinodi speciali. Piace a Noi anche il suggerimento, così ampiamente sostenuto da codesta assemblea, che tale regolare convocazione sia fissata, in via di massima, salvo cioè circostanze che consiglino diversamente, ogni due anni, a partire da questo.

Parimente possiamo ancor oggi significarvi che è Nostro proposito dare alla Segreteria del Sinodo una maggiore efficienza, e di tenere nel massimo conto, a tale scopo, i voti espressi dal vostro ceto circa la desiderata - e, Noi crediamo, utile - assistenza nelle debite forme, da opportunamente determinare, di Vescovi, rappresentativi dell’Episcopato sparso nel mondo; come pure circa la possibilità che, attraverso essi, si facciano presenti temi, la cui trattazione nel Sinodo sia stata giudicata necessaria.

Questo vi dice come sia nel Nostro animo la fiducia in questa istituzione, sorta dalla dottrina e dallo spirito del recente Concilio Ecumenico, e rivolta non già a produrre rivalità di potere, o difficoltà di ordinato ed efficace governo nell’interno della Chiesa, sì bene una mutua propensione del Papa e dell’Episcopato a maggiore comunione e ad organica collaborazione.

Tutto questo Noi intendiamo, per parte Nostra, realizzare nel pieno e cordiale rispetto dei compiti e delle responsabilità dei Nostri Fratelli nell’episcopato, sia singoli, sia riuniti in legittimi ceti canonici, senza per altro _- com’è ovvio - rinunciare mai a Nostra volta a quei compiti e a quelle responsabilità specifiche, che il carisma del Primato, conferito da Cristo stesso a Pietro, di cui siamo umilissimi ma autentici successori, e il dovere, più che il diritto, del suo fedele esercizio Ci impongono. Il Papa dev’essere un cuore per la Chiesa, allo scopo di far circolare la carità, che dal cuore parte e al cuore viene, come un carrefour della carità, che tutti riceve e tutti ama, perché, come scrive S. Ambrogio, Cristo «sul punto di salire al cielo, lasciò a noi Pietro come il vicario del suo amore» (Exp. in Luc X, 175; P.L. 15, 1942).

Così pure, è aperto il Nostro animo ad accogliere ogni legittima aspirazione ad un maggiore riconoscimento delle caratteristiche e delle esigenze particolari delle Chiese locali, grazie ad una bene intesa applicazione del principio di sussidiarietà: principio che richiede, certamente, un maggiore approfondimento dottrinale e pratico, ma che senz’altro accettiamo nel suo concetto fondamentale. Questo, tuttavia, non dev’essere confuso con una richiesta di «pluralismo» che tocchi la fede, la legge morale o le linee fondamentali dei sacramenti, della liturgia e della disciplina canonica, dirette a conservare nella Chiesa la necessaria unità.

Al termine di queste intense giornate di preghiera e di studio, desideriamo qui - sicuri di interpretare il vostro animo riconoscente - dare un riverente saluto a tutto l’Episcopato sparso per il mondo, a tutta la Chiesa, con particolare pensiero al Clero, la cui opera è estremamente preziosa per tutto il popolo cristiano, decisiva, possiamo dire, se fervorosa, se fedele, se ordinata, al superamento delle difficoltà che la Chiesa incontra nel mondo moderno e all’affermazione e alla diffusione del regno di Cristo nella presente generazione. Sappiano i nostri dilettissimi Sacerdoti che i nostri cuori li comprendono, li amano, li sostengono, li benedicono, e attendono con fiducia la loro valida cooperazione nel ministero della salvezza cristiana. Né dimentichiamo le famiglie dei Religiosi e delle Religiose, non certo quanti sono Alunni per consacrare al Signore e al servizio della Chiesa la loro vita, e quanti nel Laicato cattolico si fanno testimoni e apostoli della causa di Cristo.

Vogliamo anche ricordare i missionari e le missionarie; e non vogliamo omettere, in questo momento in cui i nostri cuori si dilatano nella carità, i Fratelli cristiani tuttora da noi separati, sempre pregando e auspicando che possa un giorno, e non sia lontano, ricomporsi anche con loro una perfetta comunione nella fede e nella carità dell’unica Chiesa di Cristo.

Ecco che altri ricordi irrompono ora nella nostra mente: quello del mondo del lavoro, quello della gioventù, quello dei poveri, quello dei sofferenti: da questo Sinodo vada a queste schiere, a cui il nostro ministero anela offrire il servizio del Vangelo, il nostro amichevole e benedicente saluto. Così per la pace nel mondo si effondano i nostri voti e si confermino i nostri propositi di tutelarla e promuoverla nella giustizia e nel concorde incremento d’una comune prosperità.

Cosi terminiamo, nel nome del Signore.

Ma prima vogliamo ringraziare anche pubblicamente la benemerita Presidenza di cotesto Sinodo Straordinario, che tanto ha contribuito all’ordinato svolgimento dei lavori, allo zelante Segretario e ai suoi collaboratori; né vogliamo tacere, com’è doveroso, una parola di riconoscimento al servizio stampa, che è stato come il ponte di informazione tra queste assise riservate e la grande opinione pubblica, rendendo così un apprezzato servizio.

Mentre ancora Ci congratuliamo con tutti e singoli i presenti, invochiamo l’abbondanza della grazia del Signore, affinché faccia fruttificare largamente il buon seme, sparso in questi giorni; e, in pegno di tale propiziazione, come pure a conferma della Nostra sempre viva e affettuosa benevolenza, impartiamo a Voi e alle vostre singole Nazioni l’Apostolica Benedizione.

 



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