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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI MEMBRI DELLA VI ASSEMBLEA GENERALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Sabato, 11 aprile 1970

 

Diamo il benvenuto alla sesta Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana; lo diamo come Vescovo di Roma, e perciò come membro di diritto della Conferenza stessa; il che vuol dire con sentimento di fraternità, di solidarietà, di comunione; lo diamo come Successore di San Pietro, avvertendo il rapporto di collegialità e di pastorale funzione, che «come visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi, sia della moltitudine dei fedeli», come dice il Concilio (Lumen gentium, 23), a tutti e a ciascuno di voi ci unisce, e che vorrebbe esprimere in sconfinata sollecitudine per voi (Cfr. 2 Cor. 11, 28; Rom. 12, 8) lo sconfinato amore che, auspice il suo per noi (Luc. 22, 32), noi a Cristo dobbiamo.
Noi saremmo tentati di concedere a questo nostro doveroso e affettuoso interesse pastorale un momento, un lungo momento, di analisi, di riflessione, di contemplazione: la vostra presenza pone davanti a noi un quadro vastissimo e globale della vita della Chiesa in Italia; un quadro storico e tradizionale quant’altri mai, e, nello stesso tempo, fresco e nuovo, delineato in codeste moderne strutture, non mai prima d’ora esistenti, e già fin d’ora promettenti una ringiovanita ed organica vitalità: quanti aspetti sarebbero da ammirare, da esaminare, da commentare! quali criteri ispiratori della nuova compagine ecclesiale sarebbero da individuare e da incoraggiare: la unione, l’organizzazione, la collaborazione, la rinnovazione, lo stile evangelico e sociale, e così via! e quali nomi benemeriti in codesto processo evolutivo dovremmo già menzionare per nostra memoria e per nostra riconoscenza! uno solo, per tutti, non taceremo: quello del compianto Cardinale Giovanni Urbani, Patriarca di Venezia e Presidente della Conferenza Episcopale, che pochi mesi or sono, inaspettatamente, ci ha preceduti «nel segno della fede e . . . nel sonno della pace». E poi le questioni, i problemi, gli avvenimenti, e tutti i commenti ed i suggerimenti, che pur avremmo nel cuore per noi alla visione che codesta Assemblea ci presenta?

PRESAGI DI FELICE RINNOVAMENTO

Ma non cederemo al desiderio d’un discorso adeguato ai temi che voi ci offrite. Per dovere di discrezione. Ed anche perché voi avete già trattato e discusso ampiamente e saggiamente questi temi; noi ne prendiamo nota, e ci riserviamo di riprendere il discorso, all’occorrenza, partitamente sopra di essi. Basti a Noi ora tributare un sincero elogio ai Relatori di questa assemblea, e un vivo ringraziamento per la serietà delle loro trattazioni. Vogliamo raccomandare alla comune attenzione l’ampia e profonda Prolusione del Card. Poma; essa costituisce a parere nostro un testo importante, per la sintesi, ch’esso ci offre delle questioni studiate, e per l’orientamento, ch’esso indica alla soluzione dei nostri problemi.
Una parola da parte Nostra segni questo incontro, la parola che deriviamo dall’esortazione di Gesù a Pietro: Confirma fratres tuos (Luc. 22, 32): ed è la fiducia.
Sì, la fiducia. La quale non ignora le difficoltà del tempo presente, né le delusioni, che possono abbattere il nostro ottimismo. Non dimentichiamo l’ammonimento dell’Apostolo medesimo: In timore incolatus Vestri tempore conversamini, vivete con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio (1 Petr. 1, 17); e presumiamo talvolta riferire le nostre cose alla desolata nota autobiografica di San Paolo: foris pugnae, intus timores, lotte di fuori, apprensioni al di dentro (2 Cor. 7, 5). Ma sarebbe ignorare, o male interpretare tanti «segni dei tempi», dimenticando la fiducia, che dobbiamo alla Provvidenza, la quale guida le sorti del mondo, e certamente, con particolare misericordia, quelle della Chiesa Italiana; sarebbe trascurare tanti fermenti generosi e nobili della presente generazione, se non mostrassimo di saper individuare nel tumulto delle inquietudini e delle agitazioni odierne certe aspirazioni, certe promesse, che ci sembrano presagi e fattori di un felice rinnovamento; e non saremmo fedeli seguaci del Maestro, se non sapessimo spingere la nostra fiducia contra spem in spem (Rom. 4, 18) in ogni situazione per non meritarci il rimprovero di Lui d’essere gente di poca fede (Matth. 8, 26).
Fiducia dunque. Il discorso passa così dalle cose alle persone; e rinuncia di proposito a pronunciarsi in termini precisi sui temi di questa Assemblea, e passa molto rapidamente e semplicemente nella sfera «pneumatica», cioè spirituale, che aleggia sopra di essa.

CARATTERE ECCLESIALE DEL LAICATO

La prima categoria di persone presenti, alle quali rivolgiamo il nostro invito alla fiducia, è quella dei Laici. Ci concedano i Confratelli Vescovi di dare loro questa precedenza. Li vediamo anche questa volta ufficialmente rappresentati nell’Assemblea Generale di questa Conferenza Episcopale. È una novità, dalla quale vogliamo trarre per noi stessi motivi di fiducia. Se davvero il Laicato cattolico, come da più di cent’anni lo attende la Chiesa gerarchica, e, come il Concilio insegna ed esorta, vorrà rispondere alla vocazione propria di tutto il Popolo di Dio, la quale gli riconosce la dignità e la funzione del comune sacerdozio battesimale, lo destina alla perfezione cristiana, lo unisce organicamente al corpo ecclesiale, lo chiama autorevolmente alla diffusione del regno di Cristo e all’esercizio attivo dell’apostolato, lo impegna all’obbedienza e alla collaborazione con i Pastori responsabili della guida dei Fedeli, allora la Chiesa vedrà tempi nuovi; vedrà se stessa modellata sulla primitiva tradizione cristiana e sulle esigenze teologiche della sua costituzione; vedrà l’autenticità della preghiera e del costume cristiano farsi evidente ed esemplare; vedrà la sua compagine fortificarsi nella concordia fraterna e nella carità operosa; vedrà la sua irradiazione nel mondo diventare più larga e più benefica.

Noi abbiamo fiducia nel Laicato cattolico; l’umile testimonianza personale della nostra vita sacerdotale lo dice; l’esercizio del nostro magistero pastorale lo conferma. E desideriamo che voi, Laici cattolici, abbiate fiducia nella Chiesa. Le dovete questo dono duplice generoso e cordiale: fiducia e fedeltà. La fiducia e fedeltà non impongono un’adesione passiva, non sono docile pigrizia, come forse taluno crede. Sorretta dalla fiducia, la fedeltà è coesione, è coerenza, è difesa, è collaborazione. Ed è anche relativa partecipazione e corresponsabilità; ed è per di più stimolo all’iniziativa, sia diretta che disciplinata, che comporta la libertà propria del cristiano adulto e maturo, il quale abbia educato la sua coscienza al lume della autentica dottrina della Chiesa, specialmente quando egli si muove nel campo della attività temporale. A questo riguardo si può dire che il Concilio, da un lato, ha messo in onore il carattere «ecclesiale» del Laico cattolico, dall’altro gli ha riconosciuto una «secolare» autonomia, che distingue nella sfera a lui propria la sua responsabilità da quella della Chiesa; il che dovrebbe ispirare al Laico stesso la fiducia, di cui stiamo parlando.

Certamente non bisogna credere che la potestà della Chiesa, sia nella dottrina, che nell’azione, derivi ai Pastori dalla comunità ecclesiale, democraticamente operante, perché ciò sarebbe cedere a falsa opinione; ma ricordando che nella Chiesa i Pastori, per volontà di Cristo e per via d’investitura sacramentale, sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri divini al servizio di tutta la comunità e al bene anche di quanti vi sono estranei, e ricordando inoltre che ciò comporta un ordinamento ecclesiale originale, non modellato sugli schemi convenzionali della società temporale, sarà facile e bello stabilire nuovi rapporti organici fra Gerarchia e Laicato cattolico, che diano a quest’ultimo la dignità e la funzionalità a lui riconosciute dal Concilio. Confidare perciò!

UNA CRISI ARTIFICIOSAMENTE INASPRITA

Analogamente, noi diremo a voi, Sacerdoti, a quanti qui siete, ed a quanti Confratelli qui voi moralmente rappresentate: abbiate fiducia!
Fiducia in chi, e in che cosa, e perché? Qui la risposta è più complessa.
Ma diciamo subito: fiducia in Cristo. Sì, in Lui, fiducia immensa, personale e totale. In Cristo dobbiamo assai confidare; Lui lo vuole (Cfr. Io. 14, 1; 16, 33; Marc. 6, 50). Lui vi ha chiamati (Marc. 3, 13), vi ha a Sé assimilati, vi ha estremamente, divinamente amati; la vostra spiritualità deve fondarsi su questa fiducia, su questa teologia, dalla quale emerge la prevalente causalità divina nel qualificarvi suoi discepoli, suoi eletti, suoi amici, suoi testimoni, suoi ministri, suoi apostoli. Voi conoscete questa storia ineffabile, che discende nelle profondità della vostra psicologia e si esprime nelle vicende esteriori della vostra vita nell’umiltà del vostro servizio, spesso estenuante ed eroico. Rileggete la pagina autobiografica di San Paolo, e fate vostra la sua estrema fiducia: «Scio cui credidi» (2 Tim. 1, 7-12).

E quindi: fiducia in voi stessi; vogliamo dire nella definizione canonica della vostra identità ecclesiale e sociale. Conosciamo bene anche noi i molteplici e gravi motivi dell’inquietudine ecclesiale presente, e ne pesiamo davanti al Signore la loro validità, scostando dai nostri occhi il velo della comoda consuetudine, e ci fermiamo con affettuosa intensità di spirito a considerare la cosiddetta «crisi», che oggi tormenta tanti strati del sacerdozio cattolico, e tanto interessa la pubblica opinione, la quale però spesso drammatizza episodi e costruisce fantasmi, esagerando e deformando il quadro della realtà. Soffriamo anche noi osservando tale situazione nelle file del Clero, e tanto di più in quanto ci sembra talora artificiosamente inasprita; ma ci domandiamo se non si creano problemi pesanti, che potrebbero essere evitati con qualche maggiore riverenza alla tradizione, da cui tutto abbiamo ereditato, e dalla quale riceviamo quel tesoro intangibile del famoso «depositum», non peso da trascinare, ma riserva di certezze e di energie per la Chiesa vivente nella storia.

Ciò che ci affligge a questo riguardo è la supposizione, più o meno penetrata in certe mentalità, che si possa prescindere dalla Chiesa qual è, dalla sua dottrina, dalla sua costituzione, dalla sua derivazione storica evangelica e agiografica, e che si possa inventarne e crearne una nuova, secondo dati schemi ideologici e sociologici, mutevoli anch’essi e non suffragati da intrinseche esigenze ecclesiali; così che talora vediamo che a scuotere e a indebolire la Chiesa a questo riguardo non sono tanto i suoi nemici di fuori, quanto alcuni suoi figli, alcuni che pretendono essere suoi liberi fautori, di dentro. E che diremo di quei casi rarissimi, per fortuna, ma clamorosi, di Sacerdoti e Religiosi che ostentano una rottura aperta e sacrilega degli impegni solenni verso Cristo e verso la Chiesa? necesse ut veniant scandala; verumtamen vae homini illi, per quem scandalum venit (Matth. 18, 7). Di quale coraggio, di quale nuovo amore abbiamo bisogno per superare in fortezza e in carità urti così dolorosi!

Noi vorremmo che un’accentuazione problematica del genere non avesse a invadere i vostri spiriti. Diciamo a voi, Sacerdoti; a voi, Religiosi: Sobrii estote et vigilate, . . con quel che segue (1 Petr. 5, 8). Abbiate fiducia: la definizione essenziale della vostra figura di ministri della Chiesa cattolica non deve essere messa in discussione; siate forti e siate felici d’essere ciò che siete, come Cristo, dati alla Chiesa e per ciò stesso assunti a quella superlativa fusione del duplice amore di Cristo e della Chiesa, che conferisce alla vostra personalità un’incomparabile interiore pienezza di carità e di felicità, e che fa della vostra sacrificata esistenza, in mezzo alla comunità dei fratelli e in mezzo al mondo profano, un tale segno di fuoco del regno di Dio, che solo il celibato, insieme col sacerdozio liberamente scelto, può realizzare.

Abbiate fiducia nella vostra vocazione. La vita del Prete domanda, oltre questo, molti altri sacrifici; voi li conoscete: il suo è un genere di vita a sé. Tutto ciò riguarda anche la posizione del Sacerdote nella società contemporanea: da essa vi distingue, e in essa vi innesta, come il sale della terra. Non vi inibisce alcuna conoscenza della cultura e della vita; vi sottrae a molte esperienze inutili o nocive al vostro ministero. Vi dispensa da tante cure, che, diventate diritti-doveri, avrebbero diritti d’avere per sé, non più per l’unum necessarium, cioè il servizio pastorale, l’optimam partem, del vostro cuore e del vostro tempo.
Ma ripetiamo, abbiate fiducia nella Chiesa. Essa attraversa un’ora di tensione e di ricerca; ma ha il Concilio a sua guida: questo grande avvenimento non sarà sepolto nel passato, ma darà i suoi frutti per l’avvenire; e voi, Sacerdoti, ne sperimenterete le nuove esigenze ed i nuovi vantaggi. Le prospettive sono per il riconoscimento della vostra personalità, per l’assistenza ad ogni vostro legittimo bisogno, per la vostra più stretta collaborazione e per la vostra adeguata corresponsabilità alla cura pastorale del Vescovo, per il rinnovamento delle strutture che fossero superate e dei metodi troppo vecchi ed empirici, in ordine ad una migliore efficienza del vostro ministero.

«SIATE FORTI E SIATE FELICI D'ESSERE CIÒ CHE SIETE»

Ed ora a voi, venerati Confratelli, il nostro augurio di fiducia.
Noi notiamo ogni giorno, nell’esercizio del nostro ufficio apostolico, come sia diventato grave e difficile il ministero del Vescovo. Veramente la funzione episcopale non è più un titolo d’onore temporale, ma un dovere di servizio pastorale. E quale servizio! Tutta la mole delle sollecitudini ecclesiali ricade sul Vescovo; egli può dire con San Paolo: Quis infirmatur, et ego non infìrmor? quis scandalizatur, et ego non uror? ( 2 Cor. 11, 29) Questo aspetto essenziale del sacerdozio ministeriale, oggi rimesso in piena luce dal Concilio (Cfr. Lumen gentium, 24, 32; etc), e reclamato dalla vicenda storica della Chiesa, purifica la dignità episcopale da ogni possibile insorgenza di esteriore vanità e di terreno potere, caratterizza spiritualmente e praticamente la figura del Pastore, quale lo volle, conforme al suo esempio, il divino Maestro, gli assegna la sua indispensabile, grande e vera funzione nella comunità ecclesiale, gli moltiplica le forze fino alla dedizione completa. Servi enim sumus Ecclesiae, diremo a noi stessi con Sant’Agostino (De opere monachouum, XXIX; PL 40, 577); e saremo grati al Card. Pellegrino del florilegio agostiniano, che egli ci offre nel bell’opuscolo dal titolo: Verus Sucerdos (Fossano 1965). Non ci sorprende perciò notare spesso, nell’esercizio del nostro ufficio apostolico, come Vescovi in carica, e non sempre infermi o anziani, e Candidati chiamati all’Episcopato, cerchino declinare tale ufficio, che oggi non solo per le sue intrinseche esigenze, ma anche per tante estrinseche difficoltà sembra essere diventato incomportabile.
Questo ci dice come anche voi, Confratelli in passione socii, avete bisogno di conforto, di esortazione alla fiducia.

VOCAZIONE E SACRIFICI

Potremmo ricavarne argomento dalla costituzione e dalla crescente efficienza di questa Conferenza Episcopale, che molti nuovi doveri impone ai Vescovi, ma che molti nuovi aiuti viene loro offrendo con mirabile progresso. Tributiamo volentieri a chi ne ha merito il nostro plauso e il nostro incoraggiamento.
Ma un cenno ci sembra piuttosto dovuto alle due maggiori difficoltà che oggi incontra il ministero episcopale.
La prima difficoltà è quella dell’esercizio del magistero. Non spendiamo parole per illustrare ciò che tutti sperimentiamo con apprensione e con dolore. La fermezza e la purezza della fede sono oggi minacciate, non solo per l’implacabile opposizione del pensiero e del costume del mondo, ma altresì per certa «stanchezza della verità cattolica», e per certo eccessivo e spesso incauto pluralismo, che si diffondono anche all’interno della Chiesa. Faremo bene ad osservare, con rispetto e cautela, sì, questi fenomeni, che infirmano nel suo sostanziale contenuto l’ortodossia della dottrina della fede, ma altresì con la responsabile e coraggiosa sapienza, propria del nostro ufficio di testimoni, di custodi, di maestri. Il magistero ecclesiastico è oggi talora impugnato proprio da quelli che lo dovrebbero difendere, non fosse altro per autenticare il proprio. Ma non dobbiamo temere: i primi a godere dei carismi dello Spirito sono coloro, a cui principalmente essi sono stati promessi; ed i primi, a cui compete il diritto-dovere d’insegnare le verità della rivelazione cristiana, sono gli Apostoli, e perciò anche i loro successori: euntes docete (Matth. 28, 19; Luc. 10, 16; Matth. 10, 27; etc.).

STUDI ECCLESIASTICI E RINNOVAMENTO DELLA CATECHESI

E possiamo trarre motivo di conforto per l’esercizio del nostro magistero anche da alcuni fatti concreti e recenti, come l’istituzione della Pontificia Commissione Teologica, fatto questo che da solo dimostra come la Chiesa docente apprezzi e promuova gli studi teologici, come accetti di attingere dalle loro provate ricerche l’incremento della sua intelligenza della verità rivelata, e tanto più di quella della umana speculazione, e come intenda profittare della loro scienza per dare al proprio linguaggio l’espressione più idonea alla comprensione e alla diffusione del suo insegnamento. Noi auspichiamo un nuovo e fiorente periodo degli studi ecclesiastici, e confidiamo che l’irradiazione della fede ne tragga novello splendore.
Altro fatto, per il quale la Conferenza Episcopale merita encomio, è la pubblicazione del vostro Documento pastorale sul rinnovamento della catechesi. È un documento che segna un momento storico e decisivo per la fede cattolica del Popolo italiano. È un documento, in cui si riflette l’attualità dell’insegnamento dottrinale, quale emerge dalla elaborazione dogmatica del recente Concilio. È un documento ispirato alla carità del dialogo pedagogico, che dimostra cioè la premura e l’arte di parlare con discorso appropriato, autorevole e piano, alla mentalità dell’uomo moderno. Faremo bene a darvi grande importanza, e a farne la radice d’un grande concorde, instancabile rinnovamento per la catechesi della presente generazione. Esso rivendica la funzionalità del magistero della Chiesa: gli dobbiamo onore e fiducia.

La seconda difficoltà è l’esercizio dell’autorità.
Alla quale viene meno, per tanti titoli, l’obbedienza che le è dovuta; e le procura invece contestazioni irriverenti ed esaurienti. Nessuno vorrà dire che sia facile oggi fare il Vescovo! Ma anche su questo punto capitale noi ripetiamo: fiducia! Fiducia nell’incontestabile potestà del nostro mandato (parliamo a maestri, e non diciamo di più). Fiducia nella bontà della grandissima maggioranza del Popolo cristiano verso la Gerarchia. Fiducia nell’esigenza della autorità, insita nelle necessità della comunità dei credenti. Fiducia infine nel rinnovamento sapiente e paziente, che noi stessi Pastori del Popolo di Dio imprimeremo alla vostra arte di esercitare l’autorità che a noi Vescovi compete nella santa Chiesa.
È su quest’ultimo capo che avvertiamo la ripetuta e monotona contestazione: non è l’autorità, si dice, che è rifiutata (sebbene vi sia anche chi radicalmente la impugna! ); è il modo di ‘esercitarla che deve essere cambiato. L’osservazione può essere considerata, almeno fino a quando essa non nasconda una sofisticata conclusione: il modo desiderato per l’esercizio dell’autorità è quello che fa del Fratello Superiore il docile esecutore di ciò che i Fratelli subordinati desiderano e dispongono!

SPIRITO EVANGELICO NEL DIALOGO

Ma no. Accettiamo umilmente di rivedere i nostri modi d’esercitare l’autorità. Per semplificare, diremo che vi sono due modi nell’esercizio dell’autorità: il primo è quello di pesare su gli altri e di contenere, di solito col timore (Cfr. 2 Cor. 4 , 21) l’altrui libertà e l’altrui attività; l’altro è quello di aiutare gli altri a dare di sé buona, libera e responsabile espressione (Cfr. 2 Cor. 1, 24). De potestate nostra, quam dedit nobis Dominus in aedificationem, et non in destructionem vestram, non erubescam (2 Cor. 10, 8). Scegliamo questo secondo modo (Cfr. 1 Petr. 5 , l-3). Esso è più conforme alla natura e alla finalità dell’autorità nella Chiesa. I due sistemi hanno i loro inconvenienti; il secondo maggiormente li manifesta e li soffre; ma il primo, se li nasconde, li accresce.
Siamo al «dialogo», di cui troppo si parla e talvolta si abusa. Ma per sé, se impiegato quando e come si deve, esso sembra a noi offrire l’espressione buona dell’autorità pastorale. Voi tutti ne conoscete le difficoltà e le risorse, e tutti vi sapete trovare quello stile ecclesiale, quello spirito evangelico, che ora la Chiesa e il mondo attendono da uomini di Chiesa.

Ecco il Consiglio Presbiterale che diventa amichevole palestra di questo nuovo stile della potestà episcopale. Ecco il nuovo Statuto dell’Azione Cattolica, che viene sapientemente a contemperare la necessità del coordinamento dei Laici militanti con la direzione propria del Vescovo, e la maturità dei Laici stessi, che ambiscono agire con pratica autonomia e offrire liberamente il contributo della loro collaborazione.
Potremmo continuare. Ma vi bastino questi semplici accenni a corroborare in voi, ciò che vi stiamo augurando, la fiducia, serena, apostolica.
E avremmo molte, molte cose da dirvi: Adhuc multa habeo vobis dicere! (Cfr. Io. 16, 12) Vi sarebbero tutti i temi, che sono stati oggetto delle vostre discussioni: le nuove circoscrizioni diocesane, la famiglia, il giornale, il movimento dei Lavoratori, le opere missionarie, le vocazioni, la riforma liturgica, ecc. A Noi basta che voi abbiate presenti tutti questi temi; a voi basti che noi pure li abbiamo presenti, e siamo a voi uniti nella preghiera, nella pazienza, nella carità.

                     



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