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50° ANNIVERSARIO DI SACERDOZIO DEL SANTO PADRE

DISCORO DI PAOLO VI
AL CLERO DELLA DIOCESI DI BRESCIA

Giovedì, 25 giugno 1970

 

Grazie, Eccellenza, grazie, venerato Fratello, delle sue parole, dei suoi doni, e ancor più della sua visita, che mi porta, oltre il piacere della sua presenza, quella del Vescovo Ausiliare e Vicario Generale, Monsignor Pietro Gazzoli, e quella tanto gradita, tanto preziosa d’un così cospicuo numero di Sacerdoti Bresciani. Sono lieto e commosso di distinguere fra loro alcuni confratelli miei condiscepoli, e con loro, soci della nostra anzianità, i Sacerdoti novelli, segni della fiorente vitalità della Chiesa Bresciana. Tutti saluto, tutti ringrazio. Sapere il motivo di questa visita, che ha per scopo di commemorare con me il cinquantesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, mi confonde e mi commuove; e mi obbliga a rinnovare la mia umile e sconfinata riconoscenza al Signore per aver chiamato me indegno, me inetto, al suo servizio e al ministero della Chiesa, quale suo Sacerdote. Lo faccio ancora di cuore, supponendo che il farlo con voi valga a rendere più accetta la mia gratitudine a Dio e ad ottenermi da Lui più copiose le grazie per perseverare fino alla fine, ormai non lontana, nella missione affidatami.
Perché più accetta? perché espressa insieme con voi. Espressa in comunione con la «mia Chiesa» d’origine, alla quale non posso rinunciare d’appartenere, anche perché da essa tanto io ho ricevuto: la mia iniziazione, la mia vocazione, la mia formazione, senza aver potuto renderle alcun servizio qualificato e continuato. Ma non si può dimenticare la casa paterna, sia essa quella naturale, sia spirituale ed ecclesiale.

Ed io desidero profittare di questa occasione commemorativa per ringraziare, dopo il Signore, del grande dono del mio Sacerdozio la Diocesi che me lo conferì, e che perciò mi fa vostro confratello. Sarebbe grato dovere per me, in questo momento, rendere onore ai ricordi di persone, di condizioni locali, di istituzioni e di avvenimenti, che hanno avuto influsso benefico su la mia umile persona, chiamata, oltre ogni suo merito ed oltre le sue stesse naturali disposizioni (se penso alla mia povera salute di allora e ai miei studi punto regolari), allo stato sacerdotale. Non sarebbe d’alcun interesse per voi, se io mi soffermassi su questi ricordi, che custodisco con pia venerazione nel segreto del cuore, con quello dei miei, devo dire, incomparabili Genitori, e di tutti i miei ottimi Familiari; ma un nome devo pur fare per debito immenso di stima e di gratitudine, quello del Vescovo dal quale io ricevetti la sacra ordinazione, Monsignor Giacinto Gaggia, vera, grande figura di Pastore e di Maestro, per ricchezza di dottrina, per vigore di carattere, per integrità e semplicità di vita, per bontà di cuore, degno non solo della memoria mia, e di chi ebbe la fortuna di conoscerlo, ma altresì della vostra e di quelli che faranno la storia della Chiesa Bresciana.

LA LINFA VIVA DELLA TRADIZIONE

Taccio di altri carissimi ecclesiastici, veri esemplari di virtù sacerdotali: Mons. Defendente Salvetti, Mons. Angelo Zammarchi, Mons. Domenico Menna, poi Vescovo di Mantova, Mons. Pè, allora Rettore del Seminario . . . Ma una conclusione traggo da questo tesoro di memorie come un principio generale, valido per tutti ed oggi d’importante attualità: quello del culto della tradizione; culto oggi facilmente trascurato e spesso impugnato, come vincolo al passato per una generazione, come la presente, tutta rivolta all’attualità e, ancor più, tutta tesa verso un avvenire nuovo, originale, libero del suo stile e del suo destino. Questo è oggi fenomeno comune della psicologia moderna, anche in seno alla Chiesa, nella quale, se pur resta di moda il ricorso alle fonti, più si invoca l’autorità della storia primitiva per contestare quella presente, che non per trarne argomento di coerenza e di fecondità nello svolgimento fedele e logico della vita ecclesiastica.

Ebbene, riaffermiamo in una circostanza come questa, che dalla misura del tempo passato trae la sua ragion d’essere ed il pio segreto della sua bellezza, il culto che dobbiamo alla tradizione. Alla tradizione, nel suo significato solenne e teologico, di trasmissione autentica della Parola di Dio, di «depositum» da custodire inviolabilmente (1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14; 1 Cor. 16, 13) e da passare agli altri ed ai venturi (1 Cor. 11, 2; 2 Tess. 2, 15; 3, 6), come una linfa viva che sale dalle radici autentiche della divina rivelazione; ed alla tradizione, nel suo significato più modesto e assai meno impegnativo, che possiamo chiamare storia locale, tesoro pur esso prezioso, quando ci porta quanto di buono l’esperienza, l’esempio, la saggezza, il carattere peculiare d’una gente, d’un costume, lasciano in eredità da generazione in generazione, non come peso da portare e freno da tollerare, ma come alimento del nostro pellegrinaggio nel tempo, come fascio di luce che non ferma il nostro sguardo all’indietro, al passato, ma proietta i suoi raggi sui sentieri futuri e stimola i passi a più franco cammino.
In pratica, venerati e cari Confratelli, per quello che riguarda il vostro caso: siate studiosi, siate gelosi, siate continuatori delle tradizioni della Chiesa bresciana. Noi pensiamo che meglio conosciuta, più amata sarebbe; e più amata, meglio feconda; non certo soporifera per attardare il vostro fervore in consuetudini passive e forse anacronistiche, ma stimolo ad emulazione sempre nuova e vivace ad eguagliare nel nostro tempo le virtù degli antichi e ad esprimerle in forme attuali e originali.

RINFRANCARE LA COSCIENZA SACERDOTALE

Questa esortazione ce ne suggerisce un’altra. L’affetto ci fa loquaci. Ma come trascurare di aprirvi l’animo in un’occasione così rara e così propizia, come questa? È l’esortazione a rinfrancare in voi, - in voi specialmente, giovani Preti -, la vostra coscienza sacerdotale. Rinfrancare, dico, perché certamente voi l’avete già limpida e sicura, alunni e membri, come siete, della nostra degnissima Chiesa bresciana, e perché altrettanto certamente anche in voi, aperti alla conoscenza delle correnti perturbatrici che percorrono oggi la Chiesa di Dio, si ripercuotono dubbi assai perniciosi e, a nostro avviso, ingiustificati, e con i dubbi i desideri ansiosi, ma legittimi questi, delle forme nuove da imprimere nel ministero pastorale in conformità ai bisogni nuovi della società in piena trasformazione. I dubbi, come sapete, vertono circa la identità, come oggi si dice, del sacerdozio ministeriale; dubbi, ripetiamo, altrettanto pericolosi, quanto infondati. Non mettiamo mai in dubbio la nostra vocazione, la nostra investitura sacramentale di «dispensatori dei misteri di Dio» (1 Cor. 4, 1), il nostro indelebile carattere sacerdotale, la nostra meravigliosa e ineffabile elezione a fungere «in persona Christi» ed a parlare a Dio a nome del popolo cristiano; non cerchiamo mai di laicizzare, di dissacrare la nostra personalità, di considerare possibile una nostra defezione dagli impegni sublimi e gravissimi ed insieme dolcissimi del nostro generoso celibato; non ipotizziamo mai l’eventualità di inventare noi una Chiesa nuova e artificiale, modellata secondo schemi arbitrari o mutuati dalla sociologia secolare; non allentiamo, né infrangiamo mai i vincoli della nostra comunione ecclesiale; non dosiamo a talento del nostro gusto o del nostro egoismo l’ossequio filiale e sincero della nostra obbedienza, del nostro servizio, del nostro amore a chi nella Chiesa ha responsabilità di Pastore e di Maestro! Siamo sacerdoti veri, solidi, felici d’essere tali!
Poi gli altri dubbi: quelli della ricerca di autenticità, di rendimento pastorale, di efficacia nel ministero della parola e della grazia. Dubbi buoni, dubbi umili, dubbi positivi, ai quali la Chiesa postconciliare sta rispondendo. Avete davanti la riforma liturgica da attuare, il che vuol dire riaccendere il senso religioso, l’attitudine alla preghiera, la formazione della coscienza comunitaria, la partecipazione dei singoli fedeli e di tutta la loro assemblea alla celebrazione della Parola di Dio e della sua Presenza sacramentale. Coraggio: non lasciatevi sfuggire la fortunata occasione di rinnovare in Cristo e nella Chiesa la vita religiosa del nostro Popolo.

RICERCA DI AUTENTICITÀ

Avete i nuovi organismi della compagine ecclesiale da rendere efficienti: il Consiglio presbiterale, il Consiglio pastorale, il Sinodo diocesano . . , State edificando il nuovo Seminario, non solo nelle costruzioni materiali, ma altresì nelle strutture pedagogiche e spirituali; avete aperti i tentativi nuovi dell’apostolato d’insieme, della cura pastorale d’ambiente; e così via. L’ora è propizia, l’ora è grande, l’ora è decisiva.
Ancora vi dico: coraggio! Col vostro Vescovo, e in sintonia non solo canonica, ma cordiale e spirituale con chi, fratello ed amico, vi parla da questa cattedra dell’Apostolo Pietro, voi, voi siete in condizione di infondere nella Chiesa bresciana, la Chiesa dei Santi, dei quali ci portate le preziose reliquie, la vita antica e la vita nuova, la vita di Cristo!
Nel cui nome ecco a voi la Nostra affettuosa e speciale Apostolica Benedizione.

                             



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