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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
IN OCCASIONE DELLA III «GIORNATA DEL MEDICO»

Lunedì, 19 ottobre 1970

 

Come già lo scorso anno, il 18 ottobre, festa di S. Luca, antiocheno, evangelista, autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, «medicus carissimus», come lo chiama S. Paolo (Col. 4, 14), abbiamo oggi il piacere e l’onore di ricevere i Medici, che, quali rappresentanti dei loro Colleghi in Italia, partecipano alla «Giornata del Medico».
Abbiamo così felice occasione di porgere il Nostro rispettoso saluto all’on. Senatrice Pia Dal Canton, Sottosegretario al Ministero della Sanità e al dott. Mario Missiroli, Presidente e promotore di questa encomiabile iniziativa; e con loro a tanti illustri esponenti e degni membri della professione sanitaria; e di rinnovare a tutti i cultori dell’arte medica, presenti ed assenti, l’espressione della Nostra stima e dei Nostri voti.
L’incontro con Medici non è mai per Noi indifferente; esso solleva nel Nostro animo una quantità di sentimenti di considerazione, di riconoscenza, di fiducia, che ci porterebbero a fare un lungo elogio delle vostre persone, della vostra attività, della vostra funzione sociale; e volendo scegliere fra questi sentimenti quello più semplice e più spontaneo, quello che istintivamente mette a confronto la vostra missione umana col Nostro ministero pastorale, dobbiamo dire che è un sentimento di amicizia.

Perché amicizia, quando questa rara e preziosa attitudine spirituale non è, qui in concreto, suffragata da ciò che ordinariamente la produce: la conoscenza personale, la consuetudine, l’affinità di pensiero e di lavoro . . . .? Ma è chiaro che Noi intendiamo, in questo caso, parlare del rapporto professionale, prescindendo da quello personale, lieti per altro di rilevare dalle parole testé a Noi rivolte che i vostri sentimenti corrispondono ai Nostri anche sul piano della cordialità personale. Parliamo ora tuttavia dell’alleanza che intercede fra le due attività, quella medica, rivolta direttamente alla cura dei corpi, e quella religiosa, che si occupa principalmente della cura delle anime; l’una e l’altra destinate alla salute dell’uomo; alla salute naturale e fisica, la vostra; a quella religiosa e spirituale, la nostra; entrambi convergenti verso il bene della vita umana; voi magnificamente preparati ed abili a lenire ed a guarire ogni genere di malattie, corporali e psichiche; noi non meno desiderosi di assistere e di confortare il dolore in ogni sua manifestazione, non certo con la vostra arte prodigiosa, ma alla fine sopraffatta dalla caducità della nostra vita temporale, sì bene offrendo, nelle istanze supreme delle nostre sorti vitali un farmaco tutto nostro, cioè della fede cristiana, quello che può risolvere l’oscuro enigma del dolore, svelandone il possibile, segreto valore redentore, e togliendo ad esso il peggiore dei mali, che lo accompagnano : il senso dell’inutilità, la disperazione.

TUTELARE LA SALUTE DELL'UOMO

E sempre pensiamo, come già il Nostro venerato Predecessore Pio XII, il quale a voi, medici, dedicò tanta sua preferenziale attenzione e tanti suoi preziosi insegnamenti, che sia saggia e provvida cosa alimentare questi amichevoli rapporti fra medici e sacerdoti, a reciproco vantaggio culturale e morale, per il migliore compimento dei rispettivi doveri, ed a profitto dell’uomo sofferente, del quale gli uni e gli altri, medici e sacerdoti, sotto aspetti differenti, essenzialmente complementari, vogliono salvare la vita.
Questa considerazione si fa estremamente interessante ed attuale in ordine al tema, che voi avete scelto per lo studio e per le discussioni del vostro convegno: cioè gli stupefacenti. Voi, medici e cultori delle scienze chimiche e biologiche, dovete insegnare a tutti, a noi pastori di anime, ai genitori, agli educatori, ai sociologi, ai politici, a quanti hanno a cuore la salute dell’uomo, quella specialmente delle giovani generazioni, e perciò alla gioventù stessa intelligente e sana, quali siano queste droghe misteriose, che oggi si vanno diffondendo come un esiziale contagio, favorite da un commercio clandestino e speculatore; voi dovete dirci che cosa conferisca ad esse la loro subdola e potente attrattiva, e quali effetti biologici e psichici produca il loro uso, e come questo uso, anche a scopi terapeutici, fuori del vostro rigoroso controllo sia sempre un abuso, che subito degenera in progressiva e fatale tossicomania, determinando una serie di alterazioni dell’equilibrio psicofisico di colui che ha ceduto alla loro perfida seduzione.

Abbiamo tutti bisogno che la vostra voce si pronunci ormai chiara e autorevole, e che essa denunci la gravità d’un pericolo, che minaccia tanto più di estendersi quanto maggiore è il suo allettamento, e quanto più vasti e ingenti sono gli interessi commerciali, che lo favoriscono. Gli uomini d’oggi sono più docili alla lezione del medico e dello scienziato, che non a quella di altri pur qualificati maestri. Parlate, parlate forte, mentre ancora siamo a tempo per scongiurare la diffusione e la degenerazione sociale del fenomeno degli stupefacenti; e forse è già tardi, se si tiene conto delle segnalazioni provenienti dagli organi tutori della pubblica sanità.
Quanto a Noi vi diremo che la Chiesa è pronta a raccogliere il vostro insegnamento. Avvertiamo infatti il bisogno e il dovere che quanti nel nostro mondo religioso, pastorale e pedagogico: Pastori, Genitori, Maestri, Dirigenti di associazioni o di pubblicazioni hanno qualche responsabilità siano sensibilizzati sul fenomeno tremendo e insidioso della diffusione degli allucinogeni, e siano esortati a fare opera affinché tale fenomeno sia opportunamente sorvegliato e contenuto.

PER L’INTEGRITÀ DELLA GIOVENTÙ

E aggiungeremo che la Chiesa ha ragioni morali e spirituali sue proprie con cui convalidare la vostra diagnosi terapeutica circa il preoccupante problema: il fatto che il ricorso alla droga costituisce una tentazione psico-etica assai forte, che tale ricorso si ripercuote nell’equilibrio mentale della persona e ne diminuisce l’auto-dominio, ne altera le percezioni sensorie, diventa facilmente un bisogno crescente a cui difficilmente il soggetto resiste, e provoca un’istintiva tendenza a cercare dei complici assumendo proporzioni sociali deteriori e contagiose, rende più ansioso e sollecito l’interesse pastorale della Chiesa. È un fatto che tocca profondamente lo spirito umano, e ne compromette quella delicatissima recettività al misterioso influsso interiore dello Spirito divino, alla quale sono destinati i carismi, i doni, i frutti della grazia, di cui ci parla S. Paolo (Cfr. Gal. 5, 22-23).

L’economia del Vangelo, ch’è tutta rivolta a svegliare e dilatare il regno interiore dello spirito, è radicalmente contraria a tutte le anomalie artificiali della sensibilità e della psicologia umana: la ebrietas, provocata da qualsiasi intemperanza, che tolga all’uomo la padronanza razionale di sé (Cfr. S. TH., II-IIæ, 150), è agli antipodi di quella ebrietas, che deriva all’uomo in comunione con Dio dall’aumento della sua intima esperienza spirituale. Vi accenna S. Ambrogio in una delle sue poesie (Laeti bibamus sobriam ebrietatem spiritus) (S. AMBR., Inno ad Laudes).
Così che sorge, anche in ordine a questa patologia umana, una missione che medici e sacerdoti potranno studiare insieme, nella ricerca di terapie complementari. La nostra tenderà specialmente a riavvicinare le persone, i giovani specialmente, che fossero prese dal triste incantesimo di questo malanno, cercando di ridare loro, con l’aiuto di Dio, il libero e responsabile dominio di sé. La vostra sarà provvida delle cure specifiche, in cui siete maestri, rese più valide da qualche assistenza, che va al di là di quella strettamente tecnica professionale, e che è propria del medico-amico, del «medico di casa».

«UN MEDICO E UN’ANIMA»

Abbiamo notato, a questo proposito, che anche questo aspetto della vostra professione fa oggetto delle vostre discussioni; è l’aspetto umano, l’aspetto pedagogico, l’aspetto altamente morale e sociale, tanto più degno di studio e di attuazione quanto più il vostro lavoro, nel costume odierno, va diventando impersonale. Vi accenna lo scrittore russo, di cui oggi tutti parlano, in uno dei suoi libri: «Il medico di famiglia, egli scrive, era la figura più intima nella vita, ma l’hanno estirpata. Il medico di famiglia è la figura, senza la quale, in una società sviluppata, non può esistere la famiglia . . . Ma quanti adulti adesso si dibattono muti, non sapendo dove trovare un medico e un’anima, tali a cui poter esprimere i propri timori più segreti . . .» (A. SOLZENICYN, Reparto C., p. 462).
Un medico e un’anima: è una bella espressione, che pare riferirsi ad una stessa persona, il medico di casa, l’amico, il consigliere, l’uomo dei consigli veri, saggi e buoni. Ed è una espressione che può riferirsi a due funzioni: la vostra e la nostra. E ci fa ancora pensare a ciò che dicevamo, iniziando questo piccolo discorso circa l’alleanza che ci unisce nel servizio e nella carità verso l’uomo che soffre.
Un’alleanza che esprimiamo come un voto perenne, e che convalidiamo con la Nostra Benedizione.



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