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DISCORSO DI PAOLO VI IN OCCASIONE
DELL'VIII ASSEMBLEA GENERALE DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Sabato, 19 giugno 1971

 

La simultaneità del Nostro desiderio e del vostro invito dice quanto sia giustificato e felice questo incontro della Nostra umile persona con la vostra assemblea. Superfluo Noi crediamo esporre ancora una volta i titoli, che non solo giustificano, ma esigono che Noi siamo in mezzo a voi, mentre voi studiate le condizioni, i bisogni, i piani della vita religiosa e pastorale della Chiesa in Italia; sono a tutti noti e da nessuno impugnati, anzi, Noi crediamo, da ognuno di voi riconosciuti ed onorati. Utile piuttosto e confortante può essere invece godere insieme del significato d’una riunione come questa, sia pure essa semplice e momentanea: essa rispecchia nel quadro esteriore di questa scena, che raccoglie l’Episcopato Italiano ed il Papa con lui, in fraterna conversazione, la collegialità, che organicamente insieme li compagina; diciamo di più, la comunione che fra loro ed a Cristo li unisce, e alla Chiesa li collega, e lascia a noi gustare in qualche modo il mistero, così nostro, così evangelico, dell’unità. Avvertire l’esperienza sensibile di tale mistero, che stiamo vivendo e ora quasi celebrando, e tradurre in sentimenti umani e spirituali questa caratteristica realtà di Chiesa può essere motivo di singolare conforto, stimolo a generosa attività, sorgente di segreta speranza. Ripetiamo pure con interiore persuasione: Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum! (Ps. 132, 1)

Noi dobbiamo in modo particolare, ringraziare il Presidente di questa Conferenza Episcopale, il Signor Cardinale Antonio Poma, per le belle parole, testé pronunciate, evocatrici di avvenimenti e di parole, che riguardano l’uomo, che Noi siamo, tanto bisognoso della vostra indulgenza, e l’ufficio a Noi affidato da Cristo nella fraternità apostolica e nella Chiesa di Dio, ufficio che tanto più si raccomanda alla vostra concorde collaborazione quanto più esteso è e diventa il raggio della sua estensione, e più grande il peso della sua responsabilità. E per la funzione direttiva e propulsiva, che il Presidente medesimo esercita alla testa di questa grande Conferenza Episcopale, Noi lo dobbiamo ringraziare, sapendo come questa non lieve fatica non detragga, ma si aggiunga generosamente a quella del suo ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Bologna; e con lui ringraziamo Monsignor Enrico Nicodemo, Arcivescovo di Bari, Vice Presidente saggio ed operoso, insieme con quanti, membri delle Commissioni e della Segreteria, e relatori dei temi posti allo studio, danno efficienza e prestigio a questo organismo centrale dell’Episcopato Italiano.

E grazie a voi tutti, venerati Fratelli, che ci procurate la consolazione di questo incontro. Noi seguiamo sempre con particolare e cordiale interesse l’opera che la Conferenza Episcopale Italiana va svolgendo; ne avvertiamo il faticoso, ma coraggioso assestamento, l’organica articolazione, l’incipiente nuova efficacia. Abbiamo Noi stessi, come è stato detto, approvato i nuovi Statuti, e ne auguriamo una felice e feconda applicazione. Vediamo che, ormai iniziata alla sua ardua e complessa attività, la Conferenza affronta le grandi questioni della Chiesa nell’ora presente, al confronto delle peculiari necessità sia locali, che nazionali.

PREPARAZIONE AL SINODO

Avete preso in esame i temi che saranno trattati e discussi, al prossimo Sinodo Episcopale; e Noi vediamo in cotesto interessamento un lieto presagio del buon esito dell’importante avvenimento, che intende svolgersi, com’è stato detto «in armonia con quello spirito di unione e di collaborazione fra la Sede Apostolica e l’Episcopato cattolico ed i Superiori maggiori delle Famiglie Religiose, che il Concilio ha sperimentato e promosso» (Insegnamenti di Paolo VI, V, 1967, p. 476).

Noi dobbiamo anche felicitarci con voi per l’accoglienza fatta alla nostra Esortazione apostolica, inviata a tutti i Vescovi, nel quinto anniversario della conclusione del Concilio ecumenico; voi avete corrisposto alla nostra parola con la pubblicazione del bel documento, quanto mai opportuno, all’insegna del «vivere la fede, oggi». Poi avete passato in rassegna una serie di problemi riguardanti la vita religiosa e morale in questo periodo, dove tutto oggi, si può dire, è diventato problema, e dove tutto può risolversi in una novella epifania del cristianesimo, se noi, soprattutto, primi responsabili ministri del Vangelo, sappiamo darvi rinnovata, fedele e concorde testimonianza.

Molto bene. Ne rendiamo lode al Signore. A voi il nostro elogio e la nostra riconoscenza. Tutto è stato così bene e così ampiamente esposto, che a Noi non resta, in questo momento, altro da aggiungere se non il nostro incoraggiamento. Confirma fratres tuos (Luc. 22, 32): è questo il mandato del Signore a Pietro; è questa la nostra specifica funzione apostolica: farvi coraggio!

Non crediamo di farvi torto pensando che di questo coraggio pastorale anche voi, come chiunque oggi nella Chiesa di Dio, avete bisogno. Quanto più impegnato e gravoso è l’ufficio che un membro della Chiesa riveste per la testimonianza alla fede e per il servizio alla comunità ecclesiale, e tanto più avvertito è questo bisogno di coraggio. Foris pugnae, intus timores (2 Cor. 7, 5). È un’ora difficile quella che attraversiamo. Tutto si muove, tutto sembra staccarsi dalla religione, dalla fede, dalla legge morale. Tutto, dicevamo, è diventato problema. La psicologia del mondo è in evoluzione, e noi spesso duriamo fatica a comprenderne i fenomeni, le fallacie e le risorse. Dall’interno stesso della Chiesa, dai figli più cari, sorge sovente l’inquietudine, la insofferenza, la defezione. È un’ora di burrasca. Verrebbe talvolta alle labbra l’invocazione affannosa dei discepoli a Gesù, dormiente in fondo alla barca: Domine, salva nos, perimus! (Matth. 8, 25) Ma tutti ricordiamo, a questo proposito, il rimprovero rassicurante del Signore: Quid timidi estis, modicae fidei? (Ibid., 26)

A voi, maestri di vita cristiana, è superfluo che Noi ricordiamo come e dove attingere quel coraggio, che il povero Don Abbondio diceva che «uno non se lo può dare» (I Promessi Sposi, c. XXV). Tutti sappiamo quali sono le sorgenti del coraggio pastorale: la fiducia, quasi temeraria, nella divina assistenza: In mundo pressuram habebitis, sed confidite, Ego vici mundum (Io. 16, 33); e l’amore al gregge a noi affidato, per il quale sembra normale sfidare ogni contrarietà e ogni pericolo: Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis Io. 10, 11).

TENTAZIONE DEL RELATIVISMO

Ma oltre queste fonti inesauste e soprannaturali della fortezza apostolica altre fonti, naturali e vicine alla nostra interna riflessione e alla nostra umana esperienza, noi possiamo trovare. Una, per ora una sola, Noi osiamo indicarvi; ed è lo studio dei nuovi rapporti che sorgono fra noi, il nostro ministero, e l’uomo contemporaneo. È del resto ciò che si sta da tutti facendo: la ricerca della fenomenologia della vita moderna: questa, lo sappiamo, ma forse non abbastanza, è in fase di cambiamento, o almeno di maggiore conoscibilità. È questa mobilità, è questa nuova conoscenza che talvolta ci sconcertano, ci spaventano, o almeno ci intimidiscono. Bisogna osservarla, bisogna conoscerla la vita moderna; è un dovere nuovo, che ci fa uscire dall’abitudine (non intendiamo dire dalla tradizione!), dall’empirismo, dal formalismo consuetudinario. Dobbiamo diventare migliori conoscitori delle anime, degli spiriti del nostro tempo. Vi è il pericolo che questa osservazione prevalga sulla norma della fede e della legge di Dio; oggi il relativismo è grande tentazione. Ma superata questa tentazione, cioè attribuito il valore relativo e subordinato al dato sperimentale (vedi statistiche, vedi quadri psicologici e sociologici, vedi certi determinismi storici), la nuova conoscenza degli uomini e del mondo (ricordiamo la parola del Maestro: Cognosco oves meas) (Io. 10, 14) ci dà modo di fronteggiare con maggiore coraggio l’insorgente problematica delle situazioni nuove e minacciose. Scopriremo molte cose con questa vigilanza, ora quanto mai richiesta a noi Pastori; due principali: le nostre verità come inalienabili, alle quali non dovremo rinunciare in alcun modo, la fede soprattutto; e le possibilità nuove, che lo spirito umano presenta alla iniziativa del nostro ministero; ricordiamo: quanto più l’uomo è lontano da noi, cioè dal nostro annuncio di verità e di speranza, tanto più egli ha bisogno di noi. Si tratta di scoprire, e possibilmente di svegliare questo segreto bisogno, e di offrirgli sapientemente il nostro dono di carità e di letizia. Chi ama, scopre, chi ama inventa l’arte di riavvicinare le anime e di rivelare loro il Cristo. E noi crediamo che una nuova fiducia deve confortare il nostro ministero: la fiducia anche negli uomini, che in fondo, quando non sono coscientemente fuorviati nel pensiero e nel costume, sono spesso più buoni di quanto non appariscano, più infelici, che cattivi; più illusi, che ostinati; più bisognosi di verità, e di amore, che di abbandono e di rifiuto.

RAPPORTI CON IL CLERO E CON IL LAICATO

Lo studio, dicevamo, dei nuovi rapporti con quanti vengono a contatto col nostro ministero.

Col nostro Clero. Non dobbiamo augurarci che tali rapporti assumano forma e significato della dialettica sociale, ora di moda. Ma attendiamo dal Sinodo che ci voglia confermare e precisare la così detta identità del Sacerdozio ministeriale, e quindi la specifica diversità delle sue funzioni rispetto al Sacerdozio comune d’ogni cristiano; come vogliamo sentirci ripetere la posizione organica di dipendenza e di collaborazione del Sacerdote rispetto al suo Vescovo. Ma tutto questo non per dar luogo ad una antitesi congenita in seno alla Chiesa, ma piuttosto per rinsaldare, come tra membri diversi, sani, complementari ed uniti d’un medesimo corpo, i rapporti di carità e di servizio, di collaborazione e di solidarietà nella Chiesa comunitaria e gerarchica. Noi preghiamo lo Spirito Santo, affinché con la grazia, con la sua pace, con il suo gaudio voglia accrescere, dopo ed anche mediante il presente travaglio, la animazione interiore della Chiesa e l’irradiazione esteriore del suo messaggio di salvezza.

Col nostro Laicato. Ci conforta il sapere che, dopo un periodo d’incertezza, d’autocritica, di analisi sociologico-ecclesiale, la formula dell’Azione Cattolica risulta rinnovata, ma sostanzialmente rivendicata nella sua ragion d’essere e nella sua capacità di coordinarsi, in spirito fraterno e filiale di servizio, di promozione, di formazione, di coesione e di continuità, con ogni altra espressione associativa cattolica laicale, sia religiosa, che caritativa, e culturale o sociale, restando sua nota distintiva il vincolo di filiale e primaria adesione alla Gerarchia della Chiesa.

LA PASTORALE DEL LAVORO

Vi è oggi un fenomeno di vegetazione spontanea associativa in certi settori del Popolo di Dio; il timore ch’esso assuma, con pretesti carismatici, forme chiuse e talvolta contestatrici, non ci deve impedire di prestare attenta cura a questi gruppi, capaci spesso d’intensità spirituale e di ardite iniziative di carità. Vediamo anzi con piacere, ed anche con speranza e con ammirazione, in alcuni casi, come giovani appartenenti a simili gruppi sappiano dar vita ad opere di assistenza sociale che richiedono sacrificio personale e perseverante servizio. Il culto dei poveri è grande segno di autentica vitalità cristiana, e merita per se stesso la nostra stima ed il nostro appoggio. Come la carità verso Dio genera la carità verso il prossimo, dobbiamo sperare che questa a sua volta generi quella verso Dio, e perciò verso l’intera famiglia di Dio, la Chiesa, vera scuola e famiglia dei cristiani che vogliono essere, come quelli dei primi giorni dopo la Pentecoste, un Cuor solo ed un’anima sola.

Accanto a queste vicende ecclesiali, Noi abbiamo visto con rammarico il recente dramma delle ACLI; e cioè abbiamo deplorato, pur lasciando piena libertà, che la Direzione delle ACLI abbia voluto mutare l’impegno statutario del movimento e qualificarlo politicamente, scegliendo per di più una linea socialista, con le sue discutibili e pericolose implicazioni dottrinali e sociali. Il movimento, che ha goduto in Italia per non brevi anni di particolare interessamento da parte della Chiesa, è purtroppo così uscito, di sua iniziativa, dall’ambito delle associazioni, per le quali la Gerarchia accorda il suo «consenso». Noi condividiamo il vostro voto che, anche nella presente situazione, le ACLI vogliano ricordare l’origine e lo scopo per cui sono state istituite, e non vogliano scostarsi dalla conformità ai principi professati dal magistero della Chiesa nel campo degli orientamenti sociali. E volentieri avvaloriamo col nostro il vostro voto, anzi il proposito, che mediante la formazione dei gruppi di Sacerdoti, dedicati alla pastorale del mondo del lavoro, sia offerta, estesa e intensificata l’assistenza religiosa, morale e formativa a tutti i Lavoratori, che la accolgano con animo retto e sincero, per i quali, anche in questa contingenza, Noi, con tutta la Gerarchia certamente e con tutta la comunità ecclesiale, vogliamo nuovamente assicurare la nostra affezione, la nostra stima, il nostro interessamento, in nome di Cristo.

LA STAMPA CATTOLICA

Molti altri temi ci tenterebbero a prolungare questa conversazione: il rinnovamento, nei testi, nei metodi, nelle persone dell’insegnamento catechistico, per il quale sappiamo che la Conferenza Episcopale, i Vescovi, il Clero, i Religiosi, gli Insegnanti sono impegnati in uno sforzo di miglioramento, che di tutto cuore auspichiamo e raccomandiamo; il giornale cattolico quotidiano l’Avvenire, per il quale si richiede un appoggio concorde e una .diffusione più larga; la campagna contro l’immoralità e l’invadente pornografia, ecc.; ma non vogliamo trattenervi di più. Desideriamo invece ripetervi il nostro fraterno incoraggiamento per il vostro ministero pastorale, per la vostra concordia e per la vostra organica attività; e con l’assicurazione della nostra costante comunione con ciascuno di voi e con tutti, vi lasciamo per le vostre care e venerate persone e per le vostre rispettive diocesi la Nostra fraterna Apostolica Benedizione.

                                 



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