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DISCORSO DI PAOLO VI
AI PROFESSORI ITALIANI DI SACRA SCRITTURA
IN OCCASIONE DELLA XXII SETTIMANA BIBLICA NAZIONALE

Venerdì, 29 settembre 1972

 

L'odierno incontro con voi, cari Figli che, per iniziativa della benemerita Associazione Biblica Italiana, state celebrando l’ormai tradizionale Convegno di studio, Ci riesce particolarmente gradito, perché, come studiosi di Sacra Scrittura, voi siete in continuo contatto con la Parola di Dio e, forse più degli altri, siete in grado di avvertire la somma delle responsabilità e dei doveri, che da essa derivano per il Nostro ministero apostolico. Noi vi sentiamo spiritualmente vicini, vicini nei sentimenti e nei pensieri, e per questo vi rivolgiamo un saluto affettuoso e paterno.

Questa nuova «Settimana Biblica» si distingue, oltreché per l’importanza del tema prescelto, per una simpatica e coraggiosa novità: la partecipazione di un numero ristretto, ma qualificato di moralisti, quasi a sollecitare, con la loro presenza, la riflessione degli studiosi di Sacra Scrittura sui fondamenti biblici della morale. È questo - Ci sembra - un felice esempio di quella collaborazione interdisciplinare che, nel ramificarsi sempre più fitto delle specializzazioni, viene ormai invocata da più parti come opportuna e necessaria. Né questa collaborazione può significare una contaminazione di discipline, ciascuna delle quali deve conservare il proprio statuto epistemologico e il suo particolare metodo investigativo; voi avete proceduto in modo che i moralisti ponessero le istanze, sollecitando le risposte e rimanendo, poi, in ascolto di ciò che la vostra esperienza e l’indagine offrivano alla loro attenzione. Su tali premesse, avete avviato un dialogo, che, per il rigore scientifico e per la tempestività nel rispondere alle attese della Chiesa, Noi auspichiamo edificante e fecondo.

Il Concilio Vaticano II, dopo aver rammentato che «lo studio della Sacra Scrittura deve essere come l’anima di tutta la teologia» (Optatam totius, 16), ha esortato ad usare «una cura speciale nel perfezionare la teologia morale», affinché «la sua esposizione scientifica sia più riccamente nutrita dalla dottrina della Sacra Scrittura» (Ibid.), cioè delle «Parole di Dio, da cui - come spiega la Costituzione Gaudium et spes - vengono attinti i principii per l’ordine morale e religioso» (Gaudium et Spes, 33).

Ora, tra i molti argomenti ai quali poteva dirigersi la ricerca avete scelto quello oggi tanto sentito dell’epifania della Parola di Dio e, in particolare, delle sue indicazioni morali, nella concretezza, ma anche nella debolezza delle forme umane: ricorre qui quella legge misteriosa e provvida, che il Vaticano II, adottando un’espressione di S. Giovanni Crisostomo, ha chiamato con il termine di «condescensio», come a dire un’ineffabile degnazione, in virtù della quale «le parole di Dio, espresse nelle lingue umane, si son fatte simili al discorso umano, allo stesso modo che il Verbo dell’eterno Padre, con l’assunzione della debole carne umana, si è fatto simile agli uomini» (Dei Verbum, 13). È questo l’aspetto forse più paradossale e commovente, che colpisce l’uomo contemporaneo, quando si confronta con la Parola di Dio e con la Chiesa stessa che la propone ed interpreta.

Per l’acuirsi di questa percezione, sono state, certo, determinanti le esperienze straordinarie della nostra generazione. Da una parte, gli studi biblici, nel loro rigoglioso sviluppo, sono giunti a indicare nettamente il punto storico e geografico e la sequenza delle culture, in cui si è inserita la Parola di Dio nella sua rivelazione storica. Dall’altra, l’irrefrenabile dinamismo della nostra epoca e l’incontro universale dei Popoli, di cui siamo ad un tempo spettatori ed attori, denunciano con sempre maggior persuasione il limite e la successione delle esperienze culturali, ponendo ai contemporanei, soprattutto nel settore dell’etica e della religione, interrogativi nuovi e inauditi, per la soluzione dei quali non è sempre sufficiente la materiale ripetizione delle formule pure sostanziose e valide del passato. Ci si domanda quindi da più parti: Dove sono le parole eterne del Signore? (Cfr. Is. 40, 8; 1 Petr. 25) dove le parole della vita eterna, quelle parole che sono spirito e vita? (Cfr. Io. 6, 64, 69) dove il segno universale ed immutabile della Parola di Dio?

Di qui l’urgenza sempre più avvertita per la Chiesa di mettersi «in religioso ascolto della Parola di Dio» (Dei Verbum, 1) e, insieme, degli interrogativi dell’uomo contemporaneo, il quale, come il misterioso Macedone a Paolo, le grida con accoratezza: «Vieni in nostro aiuto» (Act. 16, 9). Nel campo degli studi biblici, questo appello dell’ora si è fatto sentire nell’avvenuta oscillazione da una ricerca esegetica filologica e letteraria (peraltro sempre necessaria) all’ermeneutica, cioè alla ricerca del genuino significato della Parola di Dio per l’uomo oggi, all’attualizzazione esistenziale del suo messaggio per l’illuminazione e il conforto dei contemporanei.

Ma proprio l’attualizzazione della Parola, perché sia efficace annuncio del Vangelo eterno nelle situazioni mutevoli del vivere quotidiano, esige una sincera e generosa congiunzione di sforzi tra tutti i cultori del sapere teologico ed umano. Per rimanere nell’ambito del tema da voi trattato, e del contributo specifico che la Chiesa attende da voi, studiosi e docenti di Sacra Scrittura, vorremmo indicare brevemente quale possa essere rispettivamente la missione dell’esegeta e del moralista nell’indagine e nella illustrazione dei principii della morale cristiana.

È compito dell’esegeta indicare con sicurezza il filo tagliente della Parola di Dio (Cfr. Hebr. 14, 12) nei segni semantici, in cui è espressa, nelle sintesi culturali talora splendide, talora «imperfette e contingenti», come nota il Concilio, riferendosi all’Antico Testamento (Dei Verbum, 15); additare il contenuto etico e la trascendente dinamica del messaggio rivelato, che supera le forme storiche e la stessa sensibilità culturale dell’ambiente, che l’ha recepito ed espresso; chiarire pazientemente, con tutti i mezzi scientifici della ricerca, i nessi letterari, psicologici e sociologici che lo collegano alla cultura dell’età in cui fu enunciato. Ma, esaurita questa funzione preliminare, l’esegeta si studierà di mettere in luce la novità, l’eccellenza, l’energia superiore e la portata universale della Parola di Dio e delle sue indicazioni morali, ed in questo si atterrà «al contenuto e all’unità di tutta la Sacra Scrittura, tenendo conto della Tradizione viva di tutta la Chiesa e della analogia della fede» (Ibid.).

Una volta raggiunto questo approdo, l’esegeta potrà affidare il succo autentico della Parola di Dio allo studioso di teologia morale, il quale, in base alla specifica sua competenza nelle cose che riguardano l’uomo, la sua coscienza e la sua libertà (e qui si apre il vastissimo e rigoglioso campo del moralista, dove risuona un’altra Parola di Dio, non scritta sui libri ma nella creazione e nella retta ragione dell’uomo, immagine di Dio), in spirito di completa docilità a Cristo e alla Chiesa, «colonna e fondamento della verità» (1 Tim. 3, 15), si studierà di applicare il timbro autentico della Parola di Dio, «scritta» e «non scritta», alla vita e alle situazioni esistenziali del cristiano, perché questi sappia come «camminare e piacere a Dio» (Cfr. 1 Thess. 4, 1).

Nella prospettiva di questa cooperazione, si realizzano le premesse perché la Parola di Dio diventi il vero fondamento della condotta morale dell’uomo, la luce e il conforto dei cristiani nelle incertezze del mondo. Lucerna pedibus meis verbum tuum et lumen semitis meis (Ps. 118, 105): nessuno meglio di voi, docenti di scienze bibliche e cultori di teologia morale, è in condizione di apprezzare il valore, il conforto e la pace, racchiusi in questa espressione. Siate degni delle scienze che trattate e della fiducia che la Chiesa e i cristiani soprattutto i giovani, ripongono in voi. Ritornando alle vostre scuole, nei Seminari, negli Studentati religiosi e nelle Università, abbiate sempre viva la consapevolezza dell’importante e delicato servizio ecclesiale, che assolvete come maestri della Parola e della Legge di Dio e vi accompagni nella quotidiana fatica la Nostra Benedizione Apostolica.



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