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DISCORSO DI PAOLO VI
AI PARTECIPANTI AL XXXII CONGRESSO NAZIONALE DEL
MOVIMENTO LAUREATI DI AZIONE CATTOLICA

Martedì, 1° maggio 1973

 

Carissimi laureati cattolici,

Vi accogliamo a braccia aperte, con l’affetto, con la simpatia, con la nostalgia che abbiamo verso di voi. Non abbiamo bisogno di ripetervi questi nostri sentimenti: li conoscete ormai, fin da quel lontano 1930 in cui lanciammo l’idea del «problema dei laureati», un seme che germinò due anni dopo con la costituzione, a Cagliari, del nuovo Movimento.

Ma non vogliamo fare rievocazioni: agli uomini di allora si sono aggiunti i giovani di oggi, le nuove leve dei laureati aderenti al Movimento, le quali, più che al passato, guardano - ed è giusto! - all’avvenire. Desideriamo esprimere a questi giovani, segno di lieta speranza, il nostro vivo compiacimento: e auspichiamo che essi, i giovani, crescano ognor più, per assicurare all’organismo le energie necessarie per la sua azione specifica, per la sua presenza nel mondo della professione e della cultura, come stimolo, come testimonianza, come presa di coscienza, anche come reattività critica e salutare revisione di vita.

Vorremmo avere maggior tempo a disposizione per intrattenerci con voi su questi problemi, che a voi e a noi stanno tanto a cuore: la mattinata densissima di incontri, purtroppo, non ce lo permette.

Ma ci sentiamo in dovere di prendere occasione dall’interessante tema del Congresso per esprimervi le nostre attese, il conto che facciamo su di voi nel presente momento. Avete infatti dedicato le vostre giornate di studio ad un argomento quanto mai stimolante ed impegnativo: «Coscienza e responsabilità del cristiano nella società in movimento». Avete certamente approfondito le antinomie di questa società tanto contraddittoria, ma che pure è permeata da cima a fondo da un profondo desiderio di autenticità umana, di collaborazione a livello di cittadini e di nazioni, di sensibilità verso le sofferenze e le ingiustizie che perdurano nel mondo, nonostante il progresso tecnologico. Come laureati cattolici, uomini cioè che alla preparazione intellettuale vogliono unire la continua verifica della fedeltà al Vangelo, della realizzazione leale e positiva della Parola di Dio - lucerna pedibus meis verbum tuum (Ps. 118, 105) - voi sentite il dovere e l’impegno di essere in questa società veramente la luce che brilla alta sul candelabro, il sale che insaporisce e preserva dalla corruzione (Cfr. Matth. 5, 14, 13). Gli argomenti sviluppati durante il Congresso dicono bene questa ansia, questa generosità.

Per un compito di tanta responsabilità e ampiezza, che rasenterebbe la presunzione se mancasse la consapevolezza profonda che «tutto è grazia», e che in tanto possiamo in quanto facciamo affidamento sul Signore, vi è bisogno anzitutto di una profonda vita spirituale. Siamo stati assai lieti di vedere nella relazione del caro Presidente com’egli abbia posto l’accento sulla necessità della conversione, come sul primato della contemplazione. La lezione del grande, compianto filosofo cristiano Jacques Maritain, passato in questi giorni all’eternità, non è stata vana. Ci rallegriamo per questo «segno dei tempi», che voi dimostrate di cogliere e di cui volete essere voi stessi segno avvertibile tra i contemporanei: non si dà, non diciamo successo, ma nemmeno possibilità veruna di azione efficace, se manchi la dimensione soprannaturale, cioè la vita impostata sulle virtù teologali, innestata sacramentalmente in Cristo e, in Lui, con Lui, per Lui, inserita nel circolo vitale della Trinità, che ha preso possesso di noi e fa di noi i suoi testimoni nel mondo. La vita interiore è e deve essere tuttora l’anima di ogni apostolato.

Partendo da una tale insostituibile premessa, l’azione che è a voi affidata richiede una lucida conoscenza del mondo presente, che però non si esaurisca in enunciati o in recriminazioni, ma sappia indicare i rimedi e, prima di tutto, spingere a una concreta dedizione, che ci costi qualche cosa sul piano personale, pagando, se occorre, di persona, per essere una fedele immagine del Cristo, qui pertransiit benefaciendo (Act. 10, 38). Anche qui, come è tuttora attuale il monito di Pio XII: «Non lamento, ma azione è il precetto dell’ora!». Di fronte alle crescenti necessità del mondo contemporaneo, alle contraddizioni e alle aspirazioni dell’uomo - come le ha magistralmente tratteggiate la Costituzione conciliare Gaudium et Spes - vi è oggi bisogno di un laicato profondamente consapevole delle proprie responsabilità, e fornito di doti che gli permettano di dare alla Chiesa quell’apporto apostolico di cui essa ha necessità: perciò, per corrispondere a questi bisogni nel vostro campo specifico, il vostro dev’essere un laicato colto, unito, militante.

Colto, perché l’odierno sviluppo della cultura, anche a livello di massa, richiede uomini preparati, maturi, che abbiano saputo compiere la sintesi della loro cultura in una visione superiore, serena, equilibrata, che solo le supreme illuminazioni della fede possono dare. Il Concilio ha detto al riguardo una grande parola: «I fedeli vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è espressione. Sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale ed il pensiero cristiano, affinché la pratica della religione e l’onestà procedano in essi di pari passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica, in modo che possano giudicare e interpretare tutte le cose con senso integralmente cristiano» (Gaudium et Spes, 62).

Inoltre, un laicato unito: perché quest’opera ha bisogno dell’apporto di tutti, nell’armonia dei cuori radicata nella carità di Cristo, nel costruttivo apporto dell’esperienza personale di ciascuno, nella collaborazione stretta con la Gerarchia, evitando la tentazione allettante ma funesta della critica corrosiva, dell’indipendenza capricciosa e fine a se stessa e lo spirito di conventicola a scapito dell’unità, salvi sempre i diritti della personalità irripetibile e geniale.

Un laicato militante, infine: che non si ripieghi su se stesso, ma sappia comprendere, come già abbiamo detto, il bisogno dell’ora presente, che esige donazione di sé, superamento di atteggiamenti e di interessi solipsistici, vittoria sull’accidia per portare, ciascuno, il proprio contributo alla costruzione della società in senso cristiano.

Ci sia permesso di accomiatarci da voi con le parole che Pio XII, vent’anni fa, rivolgeva ai Laureati Cattolici romani; sono rimaste attualissime: «Usciti di qui, mettetevi subito al lavoro. Fuori nel mondo è una moltitudine di anime in ansiosa aspettazione. Se voi e tutti gli uomini della cultura cattolica andrete sempre avanti con retta intelligenza, senza stanchezze, uniti nello sforzo del rinnovamento cristiano, allora Roma, l’Italia e il mondo non tarderanno a riconoscere che il Signore ha fatto dono alla sua Chiesa di una nuova letificante Pentecoste» (AAS 45, 1953, 415).

Noi vi siamo accanto, come un tempo, come sempre, per sostenervi e incoraggiarvi in questo compito immane: sappiamo che le forze e l’entusiasmo non vi mancano; ma, non vi mancherà mai l’aiuto di Gesù Maestro e della Madre Sua, Sedes Sapientiae. E nel nome del Signore tutti vi benediciamo, insieme con quanti portate nel cuore.



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