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DISCORSO DI PAOLO VI
AL PELLEGRINAGGIO NAZIONALE POLACCO

Sabato, 11 ottobre 1975 

 

Venerabili Fratelli e Figli carissimi della Polonia Cattolica!

Se c’è una nota che immediatamente distingue, più e prima di ogni altra, l’odierno incontro con voi, essa è la gioia, il sentimento cioè vivissimo e certamente reciproco di un’intima soddisfazione perché ora ci è dato di ritrovarci insieme, nel clima spirituale e corroborante dell’Anno Santo. A questa nota s’ispira il saluto che ci piace rivolgere a ciascuno di voi: a Lei, Signor Cardinale Stefano Wyszynski, di cui come Arcivescovo Primate e Presidente della Conferenza Episcopale Polacca, ben conosciamo e tanto apprezziamo l’operosità inesausta, l’esempio di pastorale dedizione, la coerente testimonianza di comunione ecclesiale; a Lei, Signor Cardinale Carlo Wojtyla, Arcivescovo dell’insigne sede di Cracovia; ed a Voi, Vescovi delle varie diocesi di Polonia, dei quali seguiamo ammirati il fervoroso lavoro; a voi, Sacerdoti, Religiosi e Fedeli che siete venuti numerosi, in rappresentanza di tutti i fratelli della comunità nazionale, a celebrare presso i Sepolcri dei Santi Apostoli Pietro e Paolo il Giubileo del rinnovamento e della riconciliazione. A tutti voi, dunque, va il nostro benvenuto qui a Roma!

La seconda nota che qualifica l’incontro vuol essere quella della riconoscenza, come risposta ad una visita tanto gradita. Noi vi attendevamo, e voi, nonostante la distanza, nonostante i problemi organizzativi e logistici, siete puntualmente arrivati, per affermare - nel gran coro della spiritualità giubilare - ciò che sente e canta, ciò che crede e confessa l’autentica anima cristiana della Polonia.

E come potevate mancare voi, figli di una terra nobile e generosa, che già da secoli lontani ha saputo incarnare, fin nelle fibre più intime della sua identità nazionale, la vera fede di Cristo, e tanto patrimonio non solo possiede, ma si studia, altresì, di sviluppare e di accrescere e di trasmettere alle nuove generazioni?

Voi vedete, figli carissimi, come a questo punto la nostra gratitudine trascenda la pur importante occasione della visita giubilare, per indirizzarsi all’esempio, che ci offrite, di una fedeltà a tutta prova nella professione della fede cristiana. Adempiendo il nostro dovere, che è quello stesso che il Signore impose a Pietro di confermare i fratelli nella fede (Cfr. Luc. 22, 32), noi vi esortiamo - ed è la terza nota della nostra conversazione - a mantenere la vostra fede sempre integra, nonostante i travagli ed i pericoli, ai quali essa può andare incontro. La fede deve essere anche fiducia e coraggio in un mondo che evolve rapidamente ed in un’età di profonde trasformazioni, qual è la presente. La fede non è mai disgiunta da sacrifici e da prove, perché essa scaturisce dalla Croce di Cristo e, quindi, chiama ogni cristiano ad una sequela difficile (Cfr. Matth. 7, 13-14), ad un’abnegazione quotidiana (Cfr. Ibid. 16, 24; Luc. 9, 21); ad un severo impegno personale per vivere secondo il Vangelo. Ma c’è - voi lo sapete - anche un premio per la fede ferma e animosa; la coscienza di appartenere a Cristo ed alla sua Chiesa, la certezza di possedere il suo Regno di giustizia e di pace, la speranza che si avvia faticosamente qui sulla terra e si consegue, perfetta e compiuta dalla carità, lassù nella casa del Padre celeste.

Coraggio, dunque : è con questa parola che noi riassumiamo il saluto e vi accompagniamo nel ritorno alla vostra terra, a noi sempre e per tanti titoli cara. Abbiamo ancora in cuore il ricordo del soggiorno che facemmo in Polonia nei primi anni del nostro Sacerdozio, e valga anch’esso a rafforzare i vincoli di benevolenza, di simpatia, di stima che ci uniscono a voi qui presenti, come ai vostri familiari e connazionali.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

                                        



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