Index   Back Top Print

[ IT ]

DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
ALLA «VIA CRUCIS» DEL VENERDÌ SANTO

Venerdì Santo, 16 aprile 1976

 

Noi abbiamo compiuto la «Via Crucis», il cammino della Croce. Noi abbiamo seguito questo triste e tragico itinerario, rievocando passo passo la barbara e crudele esecuzione del condannato Gesù, il Maestro, il predicatore del regno di Dio, il buon Pastore «mite ed umile di cuore» (Matth. 11, 29), che era passato «beneficiando e risanando tutti» (Act. 10, 38), e che si era qualificato Figlio dell’uomo e poi Figlio di Dio, il Messia quindi, il «Re dei Giudei», scatenando contro di sé il furore dei Capi del popolo e l’acquiescente condanna del Procuratore Romano Ponzio Pilato: un dramma complicato di pretesti politici (Io. 11, 48; 19, 12), e ancora più di motivi religiosi (Matth. 26, 63-64; Io. 11, 51; 19, 7); una morte straziante, ingiusta; un episodio violento e doloroso, certamente, come quello di chi fa della morte una testimonianza, un martirio; ma presto finito all’ora nona, di quel giorno sacro alla Pasqua Ufficiale imminente, e subito concluso con una frettolosa sepoltura. «Consummatum est, tutto è compiuto» (Io. 19, 30), aveva esclamato Gesù morente.

Figli e Fratelli! nei nostri occhi, nei nostri animi la storia straziante di Gesù si è riprodotta; noi ne siamo avvinti e forse anche commossi, come avviene per le scene di sangue e per i casi drammatici e singolari. Ma un dubbio rimane, una questione da risolvere; la quale ora riguarda noi; noi personalmente: siamo noi implicati in questa storia? come vi abbiamo assistito? come semplici ed estranei spettatori? come curiosi e studiosi della morte d’un saggio e d’un giusto, come fosse, ad esempio, quella di Socrate? No, Fratelli e Figli; no, osservatori curiosi e impassibili! No, facciamo tutti attenzione alle conclusioni di questa storia, che tutti ci coinvolge. Volere o no, noi siamo corresponsabili della morte di Gesù. Questa è la prima conclusione che questo pio esercizio della «Via Crucis» deve suscitare nelle nostre coscienze. Sappiamo bene che l’affermazione della nostra colpabilità nella crocifissione di Cristo esigerebbe prove formidabili, che i nostri tribunali non potrebbero riconoscere legali; ma la realtà della storia umana, quale la teologia più sapiente ci ricorda, fa dell’umanità intera la causa della morte della vittima divina. Una solidarietà universale rende tutti i figli di Adamo colpevoli e tutti debitori davanti a Dio, con questa duplice conclusione; la prima, che ogni uomo pesa sulla bilancia della redenzione, sulla necessità d’ut-t’espiazione, di cui Cristo è la vittima, «l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo» (Io. 1, 29 et 36); i santi, questi esperti della profonda e reale coscienza umana, hanno avvertito questa esperienza morale, come cioè ciascuno di noi è stato carnefice alla crocifissione del Signore (Cfr. Hebr. 6, 6), perché ogni peccato umano concorre all’esigenza d’una riparazione, che solo il Verbo di Dio Salvatore, venuto appunto al mondo per la nostra salute, poteva offrire alla giustizia e alla misericordia di Dio. E conclusione seconda: da crocifissori noi siamo diventati i beneficiati, i salvati dalla vittima stessa sacrificata per noi, in vece nostra per la nostra salute. Quando noi parliamo di Redenzione, di sacrificio divino, noi ci riferiamo a questo dramma, dove i colpevoli possono essere i premiati per il pentimento del loro misfatto.

Tale è il mistero che sta dietro la «Via Crucis». Il mistero della Redenzione, il mistero della nostra salvezza, il mistero della virtù redentrice del nostro dolore se unito a quello della passione di Cristo (Cfr. Col. 1, 24), il mistero dell’amore immolato di Cristo, che ha fatto della sua morte la sorgente della nostra vita eterna (Cfr. Hebr. 5, 9).

Così che, sciogliendo col nostro augurio pasquale e con la nostra Benedizione Apostolica questa orante e trepidante assemblea, ciascuno di noi può nel suo cuore far sua l’amara, ma rinnovatrice e felicissima testimonianza del Centurione al momento della morte di Cristo: «Davvero Costui era Figlio di Dio» (Matth. 27. 54).

                          



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana