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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI PARTECIPANTI ALLA XIII ASSEMBLEA GENERALE
DEI VESCOVI ITALIANI

Venerdì, 21 maggio 1976

 

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli e Figli
tutti presenti a questa XIII Assemblea Generale
della Conferenza Episcopale Italiana!

Sono lieto e grato che mi sia offerta occasione, con questo pur breve e semplice atto di presenza alla Vostra Assemblea, di esprimere fraterna, pubblica, incoraggiante adesione a questa Conferenza, di recente istituzione, ma già così provata nella sua provvida ed efficiente validità. Sono io stesso felice di incontrarvi tutti, così numerosi, così fedelmente impegnati nei vostri programmi, così coscienti del significato ecclesiale di questo incontro episcopale, tanto rappresentativo della unità della Chiesa Italiana, e tanto promettente per il perfezionamento e lo sviluppo della sua pastorale attività. Grazie di codesto puntuale e comunitario intervento, al quale io per primo desidero attribuire singolare importanza e prestare il mio cordiale incoraggiamento.

Questi sentimenti si rivolgono in prima istanza al Signor Cardinale Antonio Poma, degno e solerte Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ed a quanti con vari vincoli di specifica collaborazione conferiscono alla Conferenza prestigio e sostegno. Questo sguardo al quadro organizzativo della Conferenza stessa ci obbliga ad una pausa, piena di mestizia e di pietà, alla memoria degnissima del compianto Monsignor Enrico Bartoletti, che tanto ha dato di sapienza, di fatica, di cuore e di esempio a questa istituzione nella sua funzione, improvvisamente interrotta dalla morte, di eccellente Segretario: più che mai sorretti dalla fiducia nella Comunione dei Santi, a lui ci collega la nostra comune e devota riconoscenza, e per lui si esprimerà con fedele memoria il nostro orante suffragio. E siamo così parimente indotti ad esprimere il nostro voto, anch’esso comune e fraterno, a chi gli succede nel non lieve e non facile ufficio, Monsignor Luigi Maverna, affinché il Signore lo aiuti a compiere l’opera del compianto predecessore con pari virtù e con nuovi successi. E analogo augurio esprimeremo a Monsignor Marco Cé, al quale è ora affidata l’assistenza ecclesiastica generale dell’Azione Cattolica Italiana.

I. VERSO UNA NUOVA FASE STORICA

Mi sono così introdotto nella specola centrale di questo organismo, che intende favorire l’unione e l’azione dell’Episcopato Italiano; e mi sento assalito dalla visione panoramica dei problemi pastorali che investono la vita della Chiesa Italiana, e quasi tentato di aprire con voi, venerati Fratelli, il discorso su tali problemi. Ma non cederò, per evidenti ragioni pratiche, a questa pur seducente attrattiva. Solo mi voglio limitare ad alcune osservazioni.

La prima è di metodo. Desidero assicurare questa Conferenza su due punti, e cioè sul costante vigile, amoroso interesse col quale personalmente io seguo il vostro lavoro, sempre nel desiderio della sua armonia, sia interna, sia con l’intera Chiesa cattolica, ma riconoscendo, anzi promovendo quella relativa responsabile autonomia nel campo suo proprio, che spetta ad una Conferenza tanto numerosa e tanto cosciente qual è questa italiana. La storia e il diritto canonico obbligano il Papa, come tale e come Vescovo di Roma, ad una speciale specialissima sollecitudine per le sorti della Chiesa in Italia, cioè della Chiesa di questo Paese politicamente unificato; ma ciò avviene con la formazione unitaria d’un corpo episcopale nazionale, che non era prima di questo secolo mai esistito, né come tale canonicamente riconosciuto. Ed ecco allora l’affermarsi d’una particolare sollecitudine del Papa per l’Episcopato italiano, che a lui fa capo; e l’esprimersi insieme d’una particolare fiducia per tale Episcopato: voi vedete con quale libera iniziativa si delineano i vostri programmi, e con quanta compiacenza io seguo e incoraggio la loro saggia e provvida fecondità.

Ammiro l’incremento della coscienza pastorale, sia per quanto riguarda la maturazione dell’arte collegiale del vostro governo ecclesiale, che si va enucleando in organi specializzati e coerenti e che ambisce una graduale corresponsabilità nelle deliberazioni impegnative e nella scelta dei mezzi pratici per una sempre migliore efficienza pedagogica c spirituale; e sia per quanto riguarda la conoscenza ed il rilievo pratico e sociologico delle condizioni, assai mobili ed evolute, della vita odierna del nostro popolo. Questa evoluzione della coscienza pastorale deve mantenere con spirito di fede, avallato da secolare esperienza, la certezza che il Vangelo che predichiamo e serviamo è verità perenne, è vita inesauribile, e racchiude nella Parola eterna del suo annuncio del Regno di Dio la ricchezza e la freschezza di pensiero e di vita, che noi dobbiamo esplorare, enunciare, tradurre in sapienza ed in novità di storia, senza mutuare a formule contingenti e parziali, prive di luce divina, lo stimolo e la fiducia del progresso umano e sociale. Non saremo, come talora si dice, integristi nel senso di esclusivisti, di coloro cioè che pretendono di nulla dover attingere dalla saggezza del mondo profano (Cfr. Gaudium et Spes, 44). Ma occorre discernimento, occorre saggezza, occorre armonia. Voglio anch’io applaudire alla concordia che si è espressa da questa Assemblea, all’unione univoca e fraterna del nostro comune ministero pastorale. Sono certo che quest’armonia, nel solo suo presentarsi come felice realtà di fronte a un mondo che da una parte sembra sempre più minacciato internamente dalla profanità edonistica e autosufficiente, che miete le sue vittime quotidiane, e dall’altra dalla discordia predicata come immanente alle espressioni della vita non solo ecclesiale ma anche civile, nelle sue forme più o meno clamorose di pluralismo, di dissenso, di violenza, di ribellione a ogni ordine costituito; questa vostra armonia, diciamo, è una testimonianza vivente, esemplare e convincente. E tanto più in quanto il vostro organismo non ha altra ambizione, non altro scopo che d’interpretare il fenomeno religioso, di proporre le esigenze, innate all’uomo creatura di Dio, secondo le istanze sempre nuove e sempre ardue del Vangelo di Cristo, di rendersi garante della validità della fede e dei suoi stimoli interiori. Ecco il dovere dell’evangelizzazione, che fa convergere in questo momento l’attenzione dell’episcopato italiano, nel suo senso pastorale, in uno sforzo ammirevole di mobilitazione di tutta la comunità ecclesiale a vivere la propria vocazione su un piano di fede totale; di fedeltà al Vangelo di Cristo; di giustizia, di amore, di onestà, di traduzione nella vita concreta degli ideali a cui si crede; di dedizione ai poveri, di servizio ai fratelli. E questo impegno di costante evangelizzazione porta con sé l’elevazione dell’uomo, ne promuove la dignità, la libertà, la grandezza, lo difende dall’avvilimento degradante delle passioni, lo arma alla battaglia spirituale, che, prima di tutto ed essenzialmente, «non è contro creature fatte di carne e di sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Eph. 6, 12). È una coscienza di fede alla cui formazione siamo chiamati, per divino carisma, a cooperare, umilmente ma senza trepidazioni o esitazioni.

A tanto ci conforta la via tracciata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, la cui fecondità continua a irradiarsi nella Chiesa e a metterla a confronto con tutte le esigenze del mondo moderno per «offrire al genere umano la cooperazione sincera della Chiesa stessa al fine di instaurare quella fraternità universale che corrisponda alla vocazione dell’uomo» (Cfr. Gaudium Spes, et 3). La luce che s’irradia da questo caposaldo della vita ecclesiale del nostro tempo ci deve sostenere nelle immancabili difficoltà.

II. IL MOMENTO SOCIO-POLITICO

In questo colloquio, che verte sulla realtà storica della Chiesa in Italia e sulle sollecitudini essenzialmente pastorali del corpo collegiale dei Vescovi, non posso prescindere dal prossimo avvenimento socio-politico. Dico subito che il piano su cui, come Pastori ci poniamo è diverso, poiché, come ho detto, mira alla formazione di una coscienza di fede. Eppure il fatto coinvolge non solo elementi contingenti della storia che passa, ma coinvolge la vita stessa dei cristiani, chiamati a impegnarsi nel mondo e a esserne l’anima vivificatrice (Cfr. Epistola ad Diognetum, 6: FUNK, 401); esso pertanto è di tale rilievo, che può esser decisivo per l’avvenire circa tante questioni nostre proprie: religiose, pastorali, dottrinali, etiche, sociali.

Occorre anzitutto vigilare e pregare: è l’invito di Cristo agli apostoli, tentati dalla sonnolenza, dalla pavidità, dal conformismo (Cfr. Matth. 26, 41). La preghiera, scuola di fede e di visuale soprannaturale, è prima di tutto necessaria per avere dal «Padre della luce» (Iac. 1, 17) quell’aiuto che Lui soltanto può dare: preghiera umile, assidua, fedele, virile, confidente, gioiosa; che infonde lume alla mente, chiarezza allo sguardo, vigore alla volontà.

In secondo luogo occorre esser più che mai uniti: è la concordia operante che assicura fecondità e libertà quando si tratta degli interessi supremi della dignità umana.

Vi sono situazioni, vi sono contingenze, specialmente quando è in gioco il tesoro della nostra fede e l’impegno della nostra testimonianza, che esigono fare d’un frastuono di tante voci diverse una sola armonia. Che direbbero i fautori del pluralismo scriteriato se gli strumenti di un’orchestra suonassero ciascuno per proprio conto? Se una elementare disciplina è invocata da ogni normale regola di convivenza, se è imposta anche da chi vuol sovvertire questa convivenza, dovrebbe stupire se la invochiamo per noi?

Occorre, ancora, essere coerenti: il patrimonio della fede cristiana non può andar soggetto a mimetismo e a compromesso, pena la sua fine; non può essere congiunto a visuali totalmente e intrinsecamente opposte alla sua natura. Il credente non può ignorare le dichiarazioni già fatte, nelle quali, con paterna sollecitudine e spesso con profonda pena, «gemendo» (Hebr. 13, 17), si è espressa la mente dei Vescovi, che «sono gli araldi della fede . . . . dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo», come ha detto il Concilio (Gaudium et Spes, 25). Il credente non può ignorare altresì esperienze assai gravi e tremendamente probative, che, nonostante certe affermazioni verbali in contrario, e contro le speranze che il cristiano vuol pur sempre nutrire, confidando nella Provvidenza e nella forza immanente della verità e della giustizia, indicano come una «costante» antireligiosa e antiecclesiale, che finisce con l’essere perciò antiumana, resti purtroppo tuttora immutata e presente in movimenti ben noti di pensiero e di prassi.

In sintesi: per quanto riguarda questo grave problema, a me non resta che confermare le indicazioni e le motivazioni già ampiamente proposte dal Cardinale Presidente. E cioè, primo, non è lecito sottrarsi al dovere elettorale, quando ad esso è collegata una professione di fedeltà a principii e a valori irrinunciabili, anche se ne può essere discutibile sotto certi aspetti ed in alcuni casi la loro perfetta rappresentanza; e, secondo, tanto meno ci sembra conforme al dovere civile, morale, sociale e religioso, e perciò tollerabile, concedere la propria adesione, specialmente se pubblica, ad espressione politica che sia, per motivi ideologici e per esperienza storica, radicalmente avversa alla nostra concezione religiosa della vita. Si può citare ora il celebre verso dantesco: «amor mi mosse, che mi fa parlare», non ira, non gelosia, non paura. Motivi ed interessi superiori, che suggeriscono questa duplice posizione, sono noti a tutti; e voi ne avete qui ampiamente discusso. A me non resta che avvalorare con la mia la vostra concorde e coraggiosa unanimità.

III. LA CHIESA: UMILE E VIVA

Venerati Fratelli e figli carissimi! nell’affidarvi questi temi di riflessione, io penso alla vita della Chiesa, quale deve svilupparsi nella società anche civile secondo le linee tracciate dal Concilio. La Chiesa non chiede privilegi, ma non elude i problemi né travisa la verità: essa è chiamata a servire l’uomo, e come tale lo illumina e lo chiama. Essa peraltro è pur sempre il pusillus grex che il Padre celeste ha amato nel Cristo, ed ha posto a salvezza delle genti; è umile e povera, mite e paziente; è lievito e sale, luce e vita. Dirò ancora col Concilio: «Ha per capo Cristo ... Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come Cristo stesso ci ha amati. E finalmente ha per fine il Regno di Dio ... Tra le tentazioni e le tribolazioni del suo cammino, essa è sostenuta dalla forza e dalla grazia di Dio, a lei promessa dal Signore, affinché per l’umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà, ma resti degna sposa del suo Signore» (Lumen Gentium, 9).

Così, così, Fratelli e figli. Il Signore ci assista, la Vergine Santa ci interceda da Lui questa «perfetta fedeltà». A voi tutti, come ai vostri dilettissimi fedeli, sacerdoti, religiosi e laici, la nostra Benedizione.

                             



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