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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
ALLE LETTRICI DELLA RIVISTA ALBA*

Sala Ducale - Domenica, 17 maggio 1942

 

Voi avete, dilette figlie, col felice pensiero di celebrare in Roma il ventesimo anniversario del vostro periodico settimanale e della vostra azzurra famiglia, voluto adunarvi presso il Padre comune, per manifestargli il vostro filiale attaccamento e chiedere la sua Benedizione. « Proprio nell'Eterna città — avete detto —, centro del mondo, impareremo il segreto che fa grandi i popoli e conosceremo la luce che svela tesori di virtù domestiche e cittadine ». Alba voi avete chiamata la vostra rivista; e Ci piace vedere in essa l'alba lieta della vostra vita, l'alba del vostro spirito e del vostro cuore, l'alba della vostra ascensione soprannaturale, l'alba della vostra giornata, che sulle sponde del Tevere vi ha fatto contemplare i famosi ruderi della Roma dei Cesari, le catacombe, le basiliche e i monumenti della Roma dei Papi, le vaste opere e trasformazioni della Roma moderna. Ma « centro del mondo » è quella Roma che s'inciela e s'imparadisa con Cristo, quella Roma dalla cui riva, secondo la immagine dell'Alighieri, l'angelo nocchiero sempre «raccoglie — qual verso d'Acheronte non si cala» (Purg. II, 104-105).

La polvere di Roma è polvere di eroi e di apostoli della verità. Le virtù domestiche e sociali, che hanno fatto la grandezza dell'Urbe e che fanno la vera grandezza di tutti i popoli, sono certamente di tutti i tempi e di tutte le condizioni. Voi le trovate nelle antiche matrone romane, la cui dignità quelle virtù resero rispettata e onorata in mezzo alla civiltà pagana. Voi le vedete risplendere, all'alba rosea e rosseggiante del sangue dei confessori della fede, nei fasti della Chiesa, in volto alle martiri cristiane, patrizie o serve, come Agnese e Blandina, come Perpetua e Felicita. Voi le mirate attraverso i secoli rifulgere nella vita di famiglia e nell'espansione della carità di Galla, di Francesca Romana, di Anna Maria Taigi.

Tuttavia queste virtù, che rimangono sempre sostanzialmente le stesse, prendono, nel corso delle generazioni, toni e gradazioni diverse. La loro espressione esterna viene, di ordinario, a modificarsi e mutarsi, per un evolversi lento e quasi insensibile, con la mutazione e l'influsso dei tempi. Nell'ora presente, invece, come suole accadere nelle epoche di grandi crisi, tale evoluzione sembra animata da velocità fulminea, che sconcerta chi si arresta ad osservarne il movimento. Grandi crisi per Noi sono non soltanto le calamità, le guerre, le rivoluzioni, gli sconvolgimenti civili, economici, sociali, politici; ma, in particolar modo, anche quella, vorremmo dire, rottura di equilibrio fra le condizioni della vita subitamente trasformate o rovesciate e i tratti immutabili della natura umana.

Considerate il moto e l'avviamento della vita e della civiltà moderna. Non osservate voi come i meravigliosi progressi della scienza in tutti i suoi domini, le benefiche o pericolose scoperte e invenzioni in tutti i campi dell'industria, hanno introdotto, per così dire, automaticamente, mutazioni profonde nella vita materiale e, per conseguenza, in tutte le manifestazioni dell'attività umana? E queste mutazioni non hanno forse alla lor volta originato una trasformazione, che meglio si direbbe rovesciamento o completo rifacimento delle condizioni sociali? Di tali cambiamenti a voi, che li avete continuamente sotto gli occhi, è quasi superfluo di additare i molteplici esempi. Fonti ed elementi di agio, di benessere, di comodità, che insinuano, accendono e acuiscono il godimento degli uni, esasperando la cupidigia degli altri. Campi innumerevoli aperti alla curiosità dei sensi e dello spirito. Un cumulo di contrastanti problemi, che seducono, eccitano, turbano e irretiscono la ragione e la coscienza. Una varietà e sequela interminata di distrazioni, di svaghi e divertimenti, di piaceri, dai più intellettuali e nobili fino ai più bassi e sensuali. La vertiginosa velocità e rapidità delle comunicazioni, che annulla lo spazio e si fa giuoco del tempo. Cento altri doni dell'età nostra più o meno giovevoli alla vita e al costume, offerti allo sguardo e alla mano di tutti, se non per goderne, almeno per conoscerne o risentirne le reazioni nell'animo. Tutto ciò chiama e mette in moto multiformi attività della natura umana, suscita nuove professioni e arti, nuovi modi di vita e di azione, nuove tendenze e affetti, nuove predilezioni e propositi; e praticamente invita a una operosità più alacre e diretta anche la donna e la giovane, e le allaccia e rapisce entro il vortice che sospinge e trascina il mondo.

Con la nuova fisonomia della vita, nuovo si fa pure il portamento della gioventù femminile. Il contatto permanente e continuo col mondo, e col mondo tale qual è, mescolato com'è, viene a darle qualche cosa di più sciolto, di risoluto, si direbbe, di virile. La coscienza dei suoi doveri e delle sue responsabilità le conferisce allo stesso tempo più di franchezza e di ardire.

Tale nuova fisonomia della vita è forse un male? Non è un male in se stessa, ma ordinariamente non va scevra di pericoli. Anche il nuovo portamento della giovane non è neppur esso in sé un male. Quella specie di disinvoltura, conseguenza delle presenti condizioni della vita, quando sia ben contenuta e compresa, è, a sua maniera, una forza: mantenuta nei giusti limiti e ben diretta, può prendere il carattere di un'arma: arma di difesa dinanzi ai pericoli personali, arma di conquista di fronte ai pericoli degli altri; può diventare un sensato, modesto e cortese contegno, che non dissimile dalla virtù, non umilia e offende, ma concilia stima, ammirazione e affetto.

L'odierno stato delle cose è quel che è: voi non lo potete mutare; fosse anche rincrescevole, sarebbe vano il perdersi in sterili lamenti. Se ha i suoi pericoli, occorre guardarli in faccia per difendersene e sormontarli. Ma donde vengono questi pericoli? donde viene la stessa crisi moderna? Essa viene, lo abbiamo già detto, da ciò che, in mezzo alle circostanze esteriori che cambiano, e nonostante il cambiamento di andatura che ne consegue, la natura, il carattere, il temperamento, sostanzialmente non mutano; se si modificano, il loro fondo resta immoto e immutabile; solo la loro superficie se ne scuote: non camminano col medesimo ritmo dell'aria e del vento, che spira intorno e loro blandisce la fronte.

Acquisti pure scioltezza di maniere, vigore e alterezza di animo; la donna, la giovane, non rifarà con ciò la propria natura: rimarrà sempre sensitiva, impressionabile, spesso senza dubitare o sospettare di se stessa; talvolta anzi si lascerà tanto più trasportare dagli indocili moti del suo spirito e del suo cuore, quanto maggior motivo avrebbe di usare cautela e riserbo. Nella sua costituzione conserva quella generosità istintiva che la inclina e spinge al dono totale di sé, che la spingerebbe, se non vigilasse attenta, agli entusiasmi irriflessivi, agli slanci passionali, alle imprudenze fatali. In questo mondo, ove ella passa e in mezzo al quale vive, guai se dimentica che neppure negli altri la natura umana è cambiata, che non ha punto perduto le stimmate della sua prima caduta nell'Eden. I rampolli di così maligna radice non hanno mai cessato di regnare nei cuori umani: superbo l'orgoglio, audace la sensualità, avida la cupidigia, ardente la concupiscenza; lo scandalo voluto, calcolato, dei seduttori, dei corrotti e dei corruttori; lo scandalo involontario, ma non meno pericoloso, dei passionali, dei fragili, dei non curanti, degli storditi, che non ponderano le conseguenze di una parola, di uno sguardo, di un passo, e dal loro arco, come i fanciulli o i monelli della strada, scoccano uno strale che forse darà la morte, o, per lo meno, lascerà ferito un cuore per tutta la vita. E, nondimeno, è inevitabile, spesso è doveroso, battere questo sentiero, avanzare fra questi pruni, vivere in un tal mondo e trattare con esso.

Nostro Signore, pregando per i suoi Apostoli nell'ultima cena, diceva al Padre: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li preservi dal male» (Io. 17, 15). E ben sapeva che li mandava nel mondo «come agnelli fra i lupi» (Luc.10, 3).

Anche il mondo non è sostanzialmente mutato; ma Dio lo regge e guida, e non può sfuggire dalla sua mano e da quella di Cristo, nella cui potestà è il cielo e la terra. Oggi tra il bene e il male molte barriere di un tempo sono cadute: da esse voi, dilette figlie, non potete più attendere la vostra difesa. La barriera che resta non è fuori di voi, ma in voi. S. Vincenzo de' Paoli diceva graziosamente alle prime Figlie della Carità : Voi non avete né potete avere il genere di vita delle antiche religiose: voi avrete per chiostro le vie della città, per clausura l'obbedienza, per grata il timor di Dio, per velo la santa modestia (cfr. Coste, Monsieur Vincent I, 396).

Queste parole del Santo non valgono forse in qualche modo altresì per voi, giovani e donne cristiane? Voi dovrete camminare per le vie della città; dovrete difendervi da voi stesse con la barriera e con l'arma della vostra virtù; e a ciò potranno servire anche la vostra risolutezza, il vostro schietto linguaggio, il vostro comportamento. Nella strada, nei convegni, nei negozi, negli opifici, negli uffici, nelle università, nelle biblioteche, una parola — se è necessario — sferzante vi sbarazzerà di un impertinente; un riso franco scoraggerà uno spasimante importuno; con un gesto amabile la vostra mano getterà al fuoco o nel fango l'immagine, il periodico, il libro, nato nel fango, da cui non sarebbe mai dovuto uscire.

Ciò tuttavia non basta. Queste belle qualità, che procedono all'esterno, hanno da erompere dall'interno, donde acquistano e ricevono la loro forza; donde la prudenza e l'umiltà insegnano la moderazione degli atti e dei sentimenti, la retta misura nella grazia degli accenti e della persona, e fanno riconoscere e comprendere che la docilità è sapienza, l'obbedienza magistero di comando, il silenzio educazione della parola e più di una volta eloquenza. Se le belle qualità esterne non promanano dalle interne, meno brillanti, ma non meno necessarie, finiscono col mostrare il loro rovescio della medaglia. S'ingenera la coscienza (o la illusione?) di essersi elevate sopra quella volgarità che si rasenta a ogni passo, di camminare virtuosamente e degnamente fra tentazioni e seduzioni di ogni sorta. La fierezza che nasce da questa coscienza si tramuta facilmente in segreto orgoglio. Si attribuisce volentieri a se stesse, alla propria forza ed elevazione di carattere, la dignità della propria vita e la conservazione della virtù. Si dimentica che si è deboli; non si avverte il compiacimento per la stima che questa stessa virtù e questa dignità attirano. Si scorda, in una parola, d'essere figlie di Eva, e con imprudente temerità si crede di essere al sicuro da ogni colpo nemico (cfr. Ps. 29, 7). Allora, noncurante del pericolo che minaccia lo spirito, la fede, il cuore, la purezza, la giovane figlia di Eva s'incanta davanti al serpente, si lascia sul principio sfiorare il viso da una pagina leggiera o scettica, da un sorriso o da una confessione gentile, da una parola lusingatrice o presuntuosa, da un invito a un ameno passeggio. Prudenza e umiltà! Quanto è necessaria la umiltà per essere prudenti! Quanto giova per ritrovare, per domandare il soccorso divino e il soccorso umano, per riconoscere anche il bisogno che se ne ha! Sventurate quelle giovani che un tale bisogno non risentono e un tale aiuto non invocano se non nell'ora della dolorosa e umiliante esperienza di una caduta, di un passo falso, di una situazione delicata, di un pericolo imminente, di un legame che già è sullo stringersi!

No, dilette figlie, non siate tarde a invocare il soccorso divino e il soccorso umano. In ogni cimento, in ogni calamità, in ogni dolore nulla è al mondo che sia vero e potente come la religione e la fede, come la preghiera che scampa dalla sventura. La donna, non meno dell'uomo, ha bisogno di credere a Dio : a piè dell'albero proibito la prima colpa del genere umano è quella di Eva, la quale crede più alla fallace promessa del serpente che al comando e alla minaccia del Signore. La donna ha bisogno di pregare, come di conoscere e di amare Gesù Cristo e la Vergine Immacolata, Madre di Lui; ha bisogno della religione, che ha fatto delle sue gioie familiari una santificazione, delle sue lacrime un'invocazione e un inno; che l'ha esaltata nell'amore del suo cuore, nella casa, nella chiesa. Approfondite la conoscenza della vita e della dottrina del Salvatore : essa vi rivelerà la necessità e l'amabile potenza dell'aiuto divino; l'orazione e i santi Sacramenti ve l'assicureranno. Quanto all'aiuto umano, vi è forse bisogno di additare a voi, azzurre di Alba, dove cercarlo e trovarlo, mentre la carità e la delicatezza della mente e del cuore di colei, che vi è quasi madre, vi comprendono e vi amano, e la sua religiosa bontà e la sua saggezza si fanno ai vostri passi lume, consiglio e conforto?

Voi camminate per le vie del mondo; sperimentate ogni dì l'aria e il turbinio della vita reale; nella folla che passa, che s'incalza, che si agita, che si diverte, che ride, voi incontrate troppo spesso anche chi piange, chi soffoca le lacrime e i lamenti; voi ravvisate e riconoscete innumerevoli fanciulle, or ora uscite di casa, timide, spaurite, smarrite; altre già scosse, vacillanti sull'orlo dell'abisso; altre ancora che, curve sotto l'umiliazione di una sorpresa, scoraggiate, rasentano il margine della disperazione e dell'abbandono, pronte a gettarsi, per dimenticare, per stordirsi, in un baratro umanamente irreparabile. Non abbandonate nessuna di queste infelici: sono vostre sorelle; anche per loro Cristo è venuto; non le disprezzate, non le rigettate da voi. Abbiate pietà. Amate, pregate, sostenete, consolate, aiutate; fate ad altre, meno favorite di voi, un poco di quel bene che è stato fatto a voi stesse!

In quest'ora, che volge così fiera e triste per i popoli, anche i pericoli sono maggiori e più imperiosi. Il vostro cuore si allarghi nell'amore di Cristo e nell'amore del prossimo: la vostra preghiera sia una invocazione di misericordia, di perdono e di grazia per tutto il mondo, per fratelli e sorelle, per quanti soffrono e per quanti combattono, per quanti piangono nelle case e per quanti sanguinano sui campi di lotta. E affinché il Signore, che tutto vede, regge e dispone nel suo inscrutabile consiglio, vi esaudisca, con paterno affetto v'impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, IV,
  Quarto anno di Pontificato, 2 marzo 1942 - 1° marzo 1943, pp. 97-103
  Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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