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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AL PRIMO AMBASCIATORE DEL LIBANO
PRESSO LA SANTA SEDE*

Lunedì, 17 marzo 1947

 

Signor Ministro,

Per la prima volta nella storia un figlio del Libano è qui dinanzi a Noi, per rappresentare nel centro del Cristianesimo un nobile Paese, che, dopo molti secoli di alterne vicende, in questi anni così densi di straordinari eventi, ha conseguito il compimento della sua libertà e della sua indipendenza.

La scelta dell’Ecc.mo Signor Presidente della Repubblica Libanese, le cui Lettere credenziali Vostra Eccellenza Ci ha or ora rimesse, è caduta sopra un Personaggio, il quale, come le sue parole stesse attestano, ravvisa nella sua nuova carica non solo un importante ufficio, ma anche, in considerazione delle speciali circostanze del tempo, una provvidenziale missione.

Mosso da questo elevato concetto dell’incarico affidatole, Ella assume l’onore e l’onere d’Inviato Straordinario e Ministro plenipotenziario presso la Santa Sede con quell’intimo e coscienzioso senso di responsabilità, che da tutti i cittadini della giovane Repubblica, a qualsiasi comunità etnica appartengano, verrà senza dubbio apprezzato nel suo giusto valore.

Nello stabilirsi di relazioni ufficiali dirette e permanenti fra la Santa Sede e il Libano Vostra Eccellenza scorge non tanto un inizio, quanto una continuazione e un approfondimento, conforme allo spirito dei nostri tempi, di rapporti che risalgono fino all’inizio dell’era cristiana.

Con vivo compiacimento riveliamo dalle sue espressioni che i principi costantemente proclamati da questa Sede Apostolica e da Noi stessi per il fondamento morale di una vera pace e di una degna convivenza e collaborazione dei popoli, compresi i piccoli e i deboli, hanno trovato nel cuore dei Libanesi un’eco riconoscente e profonda.

Dall’esito della lotta per il predominio del diritto dipende l’ascesa o il declino dei popoli.

E’ tempo che il calcolo puramente quantitativo dei mezzi della forza fisica ceda il passo alla misura dei valori morali, dinanzi ai quali anche il forte s’inchini, se si vuole che la comunità delle Nazioni sia liberata dal timore di futuri conflitti e si apra il cammino a nuovo benessere.

All’avvento di un tale spirito niuno ha maggior interesse di quegli Stati, i quali contano fra i piccoli.

Ma gloriosi esempi mostrano come anche essi, grazie appunto a questo loro carattere, possono essere promotori di vero e luminoso progresso.

Voglia il Signore che anche alla sua Nazione, Signor Ministro, in questo avviamento verso una più pura morale sopranazionale tocchi una parte benefica ed efficace.

Questa parte crediamo anzi di poter indicare in che cosa, fra l’altro, potrebbe consistere. Splendida per ricchi e multiformi frutti – come le pendici e gli scaglioni del Libano scendenti verso il mare – è la sua antica civiltà, già fiorente all’epoca dei Fenici. D’altra parte, quel popolo si è mostrato sempre aperto ad ogni sana novità. Questo duplice carattere di perfetta maturità e di facile adattamento riceve il suo più prezioso suggello dal sentimento essenzialmente religioso del popolo, che lo fa concorde nel culto del Dio personale e nella fede in Lui e con ciò stesso lo costituisce solido baluardo contro l’ateismo distruttore di ogni civiltà. Con la felice unione di questi tre elementi nelle basi spirituali della Repubblica del Libano, ora nel vigore della sua giovinezza, essa stessa diviene un prezioso punto di congiunzione fra il mondo occidentale e l’orientale.

In tal guisa la sua Patria, accolta di svariati elementi etnici e linguistici, simile all’aquila dalle ali piene di piume dei più diversi colori, che il profeta Ezechiele vide volare sul Libano (Ezech. 17, 3), sembra, Signor Ministro, particolarmente chiamata ad attuare quella gioconda e fraterna convivenza, di cui parla il Salmista (Ps. 132, 1), anche fra quelli che differiscono per origine e per pensiero. Il pratico esempio di un così felice sentimento fraterno, giovevole al bene comune di tutti, potrebbe divenire, nel mondo agitato del vicino Oriente, di istruttiva e nobile significazione.

Perciò Noi nutriamo la speranza che i cattolici libanesi dei diversi riti, in armonia con le massime del Vangelo e con le Nostre intenzioni dirette alla riconciliazione dei popoli e al conseguimento di una sicura pace, faranno ogni sforzo affinché il loro giovane Stato in tutti i suoi figli sia informato e compenetrato da uno spirito sempre più corrispondente a quegli scopi.

I cittadini cattolici si adopereranno tanto più volenterosamente a tal fine, quanto più essi avranno la fiducia di vedere adempiute le assicurazioni data alla Santa Sede in occasione del riconoscimento dello Stato del Libano e concernenti specialmente la libera pratica della religione, l’indisturbato esercizio del magistero e della giurisdizione ecclesiastica, la protezione della famiglia cristiana, l’educazione intellettuale e morale della gioventù in conformità con la dottrina cattolica, il diritto di associazione.

Persuasi come siamo che Vostra Eccellenza nel suo alto ufficio si adopererà con tutte le energie del suo spirito e con tutto l’ardore del suo cuore al rafforzamento e all’accrescimento di tale fiducia, l’assicuriamo che ella troverà sempre in Noi un costante e benevolo appoggio.

Si compiaccia, Signor Ministro, di trasmettere a Sua Eccellenza il Signor Presidente della Repubblica, al suo governo e a tutti i ceti del popolo libanese il Nostro saluto e il nostro paterno augurio.

Nel linguaggio biblico, passato nel patrimonio spirituale comune dei popoli civili, il cedro, che adorna, il vessillo della sua Nazione, è simbolo di forza, di vitalità, di fecondità, di resistenza alle tempeste.

Questa capacità di resistenza, in mezzo agli uragani di un mondo sconvolto, dipende dalla forza, dalla profondità, dalla robustezza delle sue radici spirituali e morali, che si affondano nel terreno fecondo dell’Eterno. Poiché, come ammoniva ai suoi tempi l’Apostolo delle genti, se la radice è santa, santi sono anche i rami (Cfr. Rom. 11, 16).

Mentre pertanto invochiamo la protezione dell’Altissimo su tutti coloro che all’ombra del Cedro del Libano hanno trovato la loro dimora, impartiamo di cuore a quei Nostri diletti figli e figlie, e in particolar modo all’Eccellenza Vostra, pegno dei celesti favori, la implorata Apostolica Benedizione.


*L’Osservatore Romano 17-18.3.1947, p.1.

Atti e discorsi di Pio XII, Vol. IX, p.52-55.

 



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