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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARTECIPANTI AL IV CONGRESSO NAZIONALE
DELLA CONFEDERAZIONE ITALIANA DEGLI ORAFI*

Lunedì, 9 novembre 1953

 

Voi ben sapete, diletti figli, che quando Ci è dato di ricevere gruppi professionali come è il vostro, non manchiamo di mettere in luce più particolarmente l'importanza morale delle loro attività. Così anche questa volta, avendo voi voluto al termine del vostro quarto Congresso Nazionale darCi un segno della vostra devozione, Noi siamo lieti di rispondere al vostro gradito omaggio col manifestarvi alcune riflessioni sul valore spirituale e sociale dell'opera.

Alcuni potrebbero credere che l'arte vostra sia il frutto di una civiltà troppo raffinata, nella quale essa non avrebbe che una parte del tutto accessoria e superficiale. Eppure non si sono forse scoperti in alcuni depositi dell'età neolitica piccoli ornamenti d'oro lavorati grossolanamente con istrumenti di pietra? Tombe antiche di parecchi millenni racchiudono talvolta collane, anelli, braccialetti di fine fattura, capolavori degli orafi di quelle epoche, che danno testimonianza di un gusto, di una squisitezza e di una abilità tecnica considerevoli. Quest'arte si è perpetuata attraverso tutti i periodi della storia, secondo l'ascesa o il declino delle civiltà. Non è dunque questa la prova che i lavori di oreficeria corrispondono a desideri profondi dell'uomo, a quello innanzi tutto di dare a una materia preziosa e durevole una forma artistica, od anche a un ricordo o ad una idea una espressione imperitura? Sia che si tratti di un oggetto d'ornamento, ovvero di un istrumento destinato al servizio dell'uomo, il loro carattere raro e talvolta unico conferisce uno speciale splendore alle persone che se ne servono o alle circostanze nelle quali è adoperato. Non è forse vero che nella vita degli individui e delle società vi sono congiunture eccezionali, in cui la bellezza dell'apparato esteriore deve corrispondere alla vivezza interiore dei sentimenti? Quando si vuole rilevare più specialmente la dignità della persona umana e la sua eminente grandezza, oppure mettere bene in evidenza i servigi che essa ha reso alla comunità, si ricorre alle opere della vostra arte, non solo per la loro materia preziosa, ma altresì per la loro stessa concezione e la perfetta esecuzione, che riproducono eccellentemente l'idea che si vuole esprimere.

Perciò la vostra arte richiede — oltre le cognizioni professionali indispensabili che vi permettono di eseguire le opere più delicate — il dono della invenzione originale, frutto di una immaginazione guidata da un gusto sicuro e lungamente educato. È dire l'alto valore culturale rappresentato dall'esercizio della vostra professione.

Non sarebbe quindi giusto il giudicarla per sè stessa inutile, od anche nociva, il vedere in essa una ingiuria alla povertà, e quasi una sfida lanciata a coloro che non possono avervi parte. Senza dubbio in questo campo, più che in altri, è facile l'abuso. Troppo spesso, nonostante i limiti che la retta coscienza fissa per l'uso delle ricchezze, si vedono alcuni far sfoggio di un lusso provocante, privo di qualsiasi significato ragionevole e destinato soltanto alla soddisfazione di una vanità, che ignora, e con ciò stesso insulta le sofferenze e i bisogni dei poveri. Ma sarebbe, d'altra parte, ingiusto il condannare la produzione e l'uso di oggetti preziosi, ogniqualvolta essi corrispondono ad un fine onesto e conforme ai precetti della legge morale. Tutto ciò che contribuisce all'abbellimento della vita sociale, tutto ciò che ne mette in rilievo gli aspetti lieti o solenni, tutto ciò che fa risplendere nelle cose materiali la perennità e la nobiltà dello spirito, merita di essere rispettato e apprezzato.

Non ha forse la Chiesa cattolica dato spesso agli orafi l'opportunità di esercitare nelle forme più varie la loro arte? Nel tesoro delle grandi cattedrali, e non di rado anche in modeste chiese, si ammirano calici, ostensori, croci, reliquari, ornati talvolta di gemme e di smalti, opere di artisti rinomati o di semplici artigiani, che vi hanno prodigato tutta la loro abilità, tutta la virtuosità della loro tecnica, ma altresì tutta la loro pietà, e che hanno voluto esprimere col lavoro delle loro mani una offerta del più alto pregio, quella del loro cuore. La Chiesa e i fedeli stimano che nulla è troppo bello per conservare e ricevere la divina Eucaristia, e sono spesso disposti alle più gravi rinunzie per acquistare vasi sacri degni della grandezza di Dio. Ma sanno poi anche privarsene, se è necessario per soccorrere la miseria dei poveri.

Durante il vostro Congresso vi siete occupati altresì delle difficoltà, che intralciano l'esercizio normale della vostra professione. Voi avete rilevato quanto la ricerca di un facile guadagno e la brama smoderata di prevalere sui concorrenti agiscono dannosamente sui vostri propri interessi. Il pubblico si accorge ben presto di essere vittima di tali tendenze, ed è tentato di ritirarvi la sua fiducia. Perciò i vostri sforzi mirano con ragione a rimuovere dalle vostre file coloro che non indietreggiano dinanzi alla frode, ed a mantenere elevate esigenze di giustizia e di moralità per conservare intatta una reputazione di rettitudine e di probità. Più di altri voi provate quali nefaste conseguenze i maneggi poco onesti di alcuni producono sull'attività di tutto il gruppo. Le vostre sollecitudini conseguiranno certamente felici risultati, se, escludendo ogni sterile rivalità fra le diverse classi della vostra corporazione, non meno che le divergenze d'interessi regionali, vi unirete non nella ricerca del solo profitto materiale, ma nell'adempimento di una funzione sociale, che richiede da voi un senso elevato della onestà e vi dà la gioia di produrre belle opere e di comunicarne ad altri il godimento.

Per esortarvi a coltivare in voi sentimenti degni della nobiltà della vostra arte, Noi non potremmo conchiudere queste Nostre brevi parole senza proporvi l'esempio del vostro Patrono S. Eligio, che voi onorate particolarmente in Roma nella chiesa a lui dedicata. Già eminente nell'esercizio dell'oreficeria e direttore della zecca reale di Marsiglia sotto Dagoberto I, fu altamente stimato come consigliere del Re e venerato per la sua generosità e dedizione verso gli uomini più miserabili, i detenuti e gli schiavi. Impiegò il suo credito e le sue ricchezze ad opere di bene, fondò chiese e monasteri per le anime amanti della perfezione. Dopo la morte di Dagoberto, egli lasciò la Corte e consacrò tutta la sua persona agli interessi spirituali dei suoi contemporanei; ricevette gli ordini sacri, e quando poi fu eletto Vescovo di Noyon, si diede con ardente zelo alla evangelizzazione dei pagani della Frisia e della Fiandra. Ad imitazione del vostro santo Patrono, voi saprete congiungere all'amore della vostra arte la cura delle necessità temporali e spirituali di coloro che vi circondano, e unirete alla intelligenza e alla capacità tutti i doni di un cuore largo e disinteressato. E affinchè il Signore creatore e dispensatore di ogni bene vi assista col suo divino aiuto, imploriamo su di voi, sulle vostre famiglie e su quanti vi sono cari l'abbondanza dei celesti favori, di cui sia pegno la Benedizione Apostolica, che di gran cuore v'impartiamo.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XV,
 Quindicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1953 - 1° marzo 1954, pp. 461 - 463
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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