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RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
PER IL XV CONGRESSO EUCARISTICO
NAZIONALE ITALIANO A LECCE*

Domenica, 6 maggio 1956

 

In questo vespro solenne di fede e di grazia, in cui voi, diletti figli accorsi da ogni regione d'Italia nella nobile e ridente città di Lecce, volete gareggiare con le schiere angeliche nell'offrire a Gesù Eucaristico il supremo trionfo dell'adorazione e dell'omaggio, Noi non avremmo potuto non accogliere il vostro desiderio di una Nostra parola, quasi per suggellare in qualche modo gli splendori del XV Congresso Eucaristico Nazionale con la testimonianza della Nostra venerazione e del Nostro amore.

Innanzi tutto, rendiamo grazie a Dio per il conforto che voi, diletti figli del Salento, avete arrecato al Nostro cuore in queste memorabili giornate di fede e di spirituale rinnovamento, operato sotto la guida dei vostri Pastori, e innanzi tutto dello zelantissimo Vescovo di cotesta diocesi, e alla luce sapiente di tanti insigni scrittori ed oratori, che hanno profondamente ed ampiamente illustrato tutti i lati del denso programma delle vostre Assisi eucaristiche. Il vostro Congresso, che oggi si chiude, resterà nella serie dei Congressi Eucaristici Nazionali come un fulgido anello della loro preziosa catena, come una limpida perla incastonata nella corona del divino Re eucaristico, come una elevata strofa nell'inno di gloria che un popolo di così grandi tradizioni religiose va cantando pubblicamente nel corso dei tempi dinanzi all'ara, ove si manifesta, nel mistero del pane vivo e vitale, l'infinito amore di Dio per l'uomo.

L'ottima riuscita del XV Congresso è dovuta particolarmente al ben noto fervore religioso delle dilette popolazioni pugliesi, ma non meno alla felice scelta della città di Lecce, che con edificante ardimento ha accettato l'ufficio e l'onore di ospitarlo tra le sue vetuste mura, non risparmiando fatiche e sacrifici. Veramente degna di rappresentare la cattolica Italia in quest'ora di fede, è la vostra città, o Leccesi, da voi generosamente offerta quasi nobile scenario al grandioso trionfo dell'Eucaristia.

Lecce, chiamata per la sua coltura e la sua gentilezza l'Atene delle Puglie e per la dolcezza del suo idioma la Firenze del mezzogiorno, è per l'antichità e lo splendore della sua storia una delle più illustri città d'Italia, ed ha insieme con esse il merito di conservare intatto l'antico volto e cuore cristiano, pur nel moderno sviluppo delle industrie e dei commerci. Del religioso passato di questa città, la cui fondazione si fa risalire all'età romana, sono ancor oggi testimoni i suoi monumenti e gli splendidi suoi sacri edifici, quali, tra gli altri, la basilica di S. Croce, la Cattedrale dedicata all'Assunzione di Maria, la chiesa di S. Domenico, con il loro stile caratteristico che ricorda il barocco spagnuolo, detto « plateresco », atto ad esprimere, con forme di esuberante festosità e di ricercata eleganza, la felicità di un popolo che vive e vuole al sommo onorare la sua fede. Della sua presente vitalità religiosa hanno dato eloquente dimostrazione le fervide giornate di questo Congresso, che hanno visto accorrere ai sacri altari autorità e popolo, soldati e lavoratori, fanciulli e malati, in una parola, tutti i ceti della città e della penisola salentina, per i cui centri, già nell'anno della sua preparazione prossima, il devoto pellegrinaggio eucaristico « Gesù che passa » aveva sparso tesori di benedizioni. E del presente fervore religioso ed eucaristico la cittadinanza ha determinato che restasse perenne memoria nel singolare dono offerto al Congresso di cotesta « Piazza dei Trecentomila », appositamente costruita ed in questo momento divenuta il cuore religioso dell'amatissima Italia.

Da essa infatti, gremita da voi, diletti figli di Lecce, delle Puglie, e dai rappresentanti le altre regioni italiane, si levano al cielo, per riecheggiare spiritualmente dappertutto, nella Chiesa, gli inni e i cantici della venerazione, della gratitudine, dell'amore al divin Salvatore, guida e Pastore delle anime, a Lui, che tutto conosce e tutto può, e che gli uomini nutre misticamente delle sue carni, affine di prepararli ad essere suoi commensali nell'eterno banchetto, suoi coeredi nella gloria, e concittadini dei santi nella patria celeste. Sì, o diletti figli, fate che tutti odano a loro salute il giubilo dei vostri cantici a Cristo: « Sit laus plena, sit sonora, sit iucunda, sit decora mentis iubilatio » (Seq. Miss. SSmi Corp. Chr.).

Il vostro sia il cantico della venerazione all'Agnello, che toglie i peccati del mondo col perpetuo sacrificio di Sè, e che col suo prezioso sangue ha ricomprato al Padre gli uomini di tutte le tribù, le lingue, i popoli e le nazioni (cfr. Apoc. 5, 9). Veramente Egli « è degno... di ricevere la potenza e la ricchezza e la gloria e la benedizione » (Apoc. 5, 12). Sia inoltre il cantico della gratitudine a Colui che, dopo averci dato, creandoci, ogni sorta di beni, quasi avesse esaurito ogni suo tesoro, volle dare sè stesso. E « si diede a noi socio col nascere, cibo col nutrirci, prezzo morendo, e si darà premio regnando » (Hymn. Verbum Supern. ad Laud. in festo SSfrii Corp. Chr.). Ma soprattutto sia il vostro un inno di amore a Colui che tutto operò per amore verso le umane creature; e che, dal solo amore mosso, abitò tra noi, e volle restare presente tra i suoi diletti nel mistero eucaristico, ripetendo incessantemente una immolazione, mediante la quale si procurassero agli uomini i medesimi frutti di redenzione della prima fonte ed origine di tutte le grazie (cfr. Conc. Trid. Sess. XXII cap. 2). Questo triplice cantico di venerazione, di gratitudine, di amore sgorghi dal profondo del cuore e sia tale da dare indirizzo e intensità a tutta la vita.

Ma, quasi come « laudis thema specialis » (Seq. Miss. SSmi Corp. Chr.), il presente Congresso si è proposto di approfondire con lo studio e far rivivere nelle coscienze degli uomini di oggi due particolari effetti dell'Eucaristia, definita « Sacramento di unità » e « vincolo di carità » (S. Th. 3 p. q. a. 3 ad 3). Se mai in ogni tempo la umana società sentì il bisogno di attuare in sè i sommi beni della unione e della fraternità, oggi ella ne sente profondamente, quasi tragicamente, la necessità. Spettacolo doloroso è quello delle divisioni, che spezzano e quasi sezionano il corpo vivo della famiglia umana in zone e in settori, in gruppi e in blocchi separati come da abissi, che sembra impossibile di colmare; doloroso sempre, ma molto più quando le divisioni separano, opponendo gli uni contro gli altri, fratelli doppiamente tali, perché alla semplice fratellanza umana se ne aggiunge un'altra superiore, fondata in una medesima credenza, nella fede in un medesimo Redentore e Signore Gesù Cristo, salvezza e maestro che tutti riconoscono come principio della loro vita. Benché tutte le concrete condizioni della vita umana concorrano a spingere l'uomo a compiere ogni sforzo per eliminare i contrasti almeno più gravi ed assicurare ai popoli, come ai singoli gruppi, la convivenza nella fraterna collaborazione per il bene, tuttavia questo fondamentale obiettivo è parso in ogni tempo come il più arduo problema della storia, fin quasi a far pensare che la sua soluzione sia al disopra delle forze umane. E forse tale è, se non in sè stesso, almeno per le circostanze concrete in cui volta per volta si presenta il problema.

Ma ecco che la divina benignità è anche in questo accorsa a sorreggere l'uomo, impegnando con infinita generosità il Figlio unigenito di Dio incarnato e dato in cibo alle sue creature. La fede nella Eucaristia, la sua perenne presenza, il mistico rinnovarsi del sacrificio del Golgota, la comunione fisica e spirituale con l'unico Redentore, Cristo, non solo ricorda e sprona gli uomini all'unione fraterna, ma l'attua in quel Corpo mistico, di cui moltissimi sono i membri attuali, e a cui tutti sono chiamati ad inserirsi. La fede e la comunione eucaristica sono veramente il vincolo dato da Dio agli uomini per ricomporre la primordiale unità della umana famiglia, infranta dalla prima colpa. Oh quanto diverse, infatti, sarebbero le famiglie, le città, le nazioni e il mondo intero, se tutte le anime, accostandosi con frequenza a questa fornace divina di amore, ricevessero in sè una scintilla di quel fuoco, sino a formarne un benefico incendio, che distruggesse tutte le impurità, mondasse tutte le scorie, sopisse tutti i contrasti, incenerisse tutti gli egoismi, e riscaldasse la freddezza dei cuori, ridonando loro il palpito sincero dell'amore fraterno e generoso! È forse questo un vano, infondato ideale? No, diletti figli; guardate in questo momento la immensa moltitudine che, con intima letizia ed ineffabile pace, si stringe intorno a cotesto altare. Non è forse Cristo vivente con la sostanza della umana carne, che vi ha radunati e fatti riconoscere fratelli e figli del medesimo Padre? « Congregavit nos in unum Christi amor » (Liturg. Vers. Antiph. In Coena Domini). Nessun uomo, nessuna idea, nessun comune bisogno o timore riusciranno mai a dare una stabile e vitale unità agli uomini, come può darla ed assicurarla la fede e la vita in Cristo. Se, dunque, voi volete contribuire, per quanto è da voi, ad estendere al mondo e al futuro il prezioso bene di cui godete in questo momento, fate che tutti volgano lo sguardo e il cuore alla divina Ostia salutare, e questa grazia chiedete: la unità nella carità. 

È questo il bisogno essenziale del mondo di oggi, benchè non tutti ne siano intimamente persuasi oppure disposti con sincera volontà a tentare ogni mezzo per affrettarne l'attuazione. Ma mentre, da una parte, taluni ne soffocano il grido in sè e intorno a sè nell'intento di trarre vantaggio dalle divisioni, altri si dicono contenti se riuscissero ad imporre una parvenza di unità mediante il predominio della forza, ed altri ancora, sfiduciati, si arrendono all'idea dei fatali conflitti; dall'altra, vi è l'immensa schiera dei veri credenti in Cristo, che, illuminati e fortificati dalla sua grazia, ne riconoscono la necessità e l'urgenza, fondate sul volere divino e sull'esempio di Cristo. Tra queste elette schiere siete voi, diletti figli, che vi stringete ora presso l'altare, ove il Dio umanato e nascosto dai veli eucaristici si offre come Capo della umanità e vincolo tra le genti. Qui prorompa dai vostri petti il grido invocante la unità nella carità, e qui il grido si muti in preghiera, e la preghiera in azione. Ma il vostro grido di richiamo alla fraternità e la vostra preghiera per ottenerla dal cielo salgono in questo giorno da un angolo della terra, che, per la sua singolare posizione tra Oriente e Occidente, ha il significato di simbolo, il valore di auspicio. Come il vostro suolo, amatissimi figli salentini, fu già nel passato ponte naturale verso quell'Oriente misterioso, culla di civiltà e di coltura, e dal quale l'Occidente trasse l'ispirazione e l'avviamento per il suo grande destino, così, ritorna ad essere in questa solenne circostanza del Congresso Eucaristico l'approdo spirituale di tutte le anime che intendono riunire non solo gli uomini tra loro, ma la terra col cielo, mediante l'unico Mediatore Gesù Cristo. Possano così gli echi del vostro Congresso giungere fino agli ultimi confini del mondo, accendendo con nuovo ardore dappertutto la fiamma della fraternità e della pace.

Tra i devoti ricordi e le sante emozioni di queste giornate eucaristiche volgenti al tramonto, col risveglio di una fede più vivida e col rinnovamento dei pubblici e privati costumi, conservate intatto, per la intiera vita, l'amore per Gesù Eucaristia, che il Congresso ha ridestato nei vostri cuori. La ridente e cara città di Lecce, che gode del patrocinio del suo amato Santo Oronzo, il cui nome è portato con onore da molti suoi figli, come dell'insigne Compatrono S. Bernardino Realino, suo infaticabile apostolo, da Noi stessi elevato ai supremi onori degli altari, mantenga ed accresca la sua fama di città esemplarmente cristiana. E come le abili mani dei vostri artigiani sanno modellare nell'umile materia i devoti simulacri di santi e trarre dalla pietra stessa del vostro suolo i mirabili ricami che adornano i sacri edifici, così la grazia divina, cui offrite docili e malleabili le vostre anime, vi trasformerà ed arricchirà, secondo il modello di Cristo stesso, in uomini di cui la Chiesa possa dirsi orgogliosa.

O Gesù Eucaristico, centro e meta di tutti i cuori, ascolta benigno la umile Nostra preghiera, che con accento commosso Ti presentiamo per questo popolo di predilezione, che in tanti modi Ti sta dimostrando la sua devozione e il suo filiale affetto; esaudisci le sue suppliche e concedigli soprattutto il dono prezioso della tua carità e del tuo amore, attraendolo, — con quel divino incanto, che già irradiavi sulla terra, allorchè passavi per le città e i castelli beneficando e sanando tutti, — a ricorrere continuamente alla fonte di acque vive, al mistico banchetto, ove Tu sei non solo il Padre che invita, ma anche la vittima che si offre in alimento. Fa che, mediante questa costante partecipazione, tutti siano una cosa sola con Te, perchè così saranno anche tutti una cosa sola, secondo la Tua ardente brama « ut omnes unum sint », che hai lasciato agli uomini sulla terra come supremo Tuo testamento. E allora in questo popolo, ch'è Tuo, sarà una felice realtà l'attuazione di quel promesso Regno, che è regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di amore e di pace.

Con questi sentimenti e con questo augurio benediciamo di cuore tutti: il Nostro amatissimo e degnissimo Legato, che con tanto decoro Ci ha rappresentati; i Nostri Fratelli nell'Episcopato; quanti sono costì presenti o ascoltano la Nostra voce, e tutta la dilettissima Nazione italiana, oggetto sempre delle divine predilezioni.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII,
 Diciottesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1956 - 1° marzo 1957, pp. 173 - 178
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



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