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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARTECIPANTI AL II CONGRESSO NAZIONALE
DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI MEDIATORI
E AGENTI DI AFFARI

Aula della Benedizione - Domenica, 22 giugno 1958

 

Il desiderio di contribuire — quanto è possibile alle Nostre forze — alla costituzione di un patrimonio di idee giuste, che valgano a dare quasi un'anima nuova al mondo moderno, Ci ha fatto accettare di dire una breve parola anche a voi, diletti figli, riuniti a Roma per il II Congresso della Federazione Italiana Mediatori e Agenti di Affari.

La vostra Federazione è giovanissima, ma già può vantare un passato cospicuo per la mole di lavoro, per l'onestà e per la buona volontà dei suoi soci. Essa fu costituita per riunire tutte le forze sane della categoria, allo scopo di provvedere alla tutela dei suoi interessi entro i limiti della morale e nell'ambito delle leggi; e siccome la grande maggioranza di voi — come Ci è stato riferito — è formata di uomini che aderiscono ai principi e alla pratica cattolica, nutriamo fiducia che la vostra morale è quella cristiana, e non una delle molte altre, false e nocive, che già tentarono e tentano ancora oggi di stabilire, ma invano, la retta norma della vita individuale e della convivenza tra i vari membri della stessa società.

I° – L'affare — e cioè ogni operazione tendente allo scambio di valori e di beni per trarne vantaggio — è esposto alla facile tentazione di essere concluso facendo astrazione dalle massime della morale cristiana, od anche rinnegandole e impugnandole. Quando, per esempio, si dice « business is business », si formula una norma che, elevata a principio assoluto ed universale, deve essere annoverata tra le massime che nessuna coscienza cristiana Può accettare: vale infatti per le operazioni economiche quello che vale per ogni attività umana: che siano soggette alla legge divina, naturale e positiva.

Anche la mediazione, che è destinata a facilitare la conclusione degli affari, è un'attività umana cosciente e libera; anche per essa, quindi, si pone il problema morale e voi avete voluto farlo pubblicamente, cristianamente, venendo a chiedere sull'opera vostra la Nostra benedizione.

2° – Il termine mediatore nella odierna accezione non è di origine latina, e anche il suo impiego nell'età medioevale si restrinse ad indicare una forma speciale di fideiussore garante. Per quanto riguarda la sostanza dell'istituto stesso, si sa ben poco di come esso fosse regolato nel diritto romano, pur essendo comune opinione che nel periodo classico l'istituto della mediazione dovette avere applicazione solo nelle forme più nobili di natura civile (p. e., la intromissione per eliminare cause di discordie tra amici). Altrettanto poco si sa dell'ordinamento della mediazione nell'alto medioevo, mentre notizie più copiose e più precise si trovano più tardi in quasi tutti gli Statuti delle città. In essi la mediazione è considerata non solo come atto privato legittimo, ma altresì come un pubblico ufficio, il cui esercizio era sottoposto a limitazione di età, oltre che subordinato a dimostrazioni di idoneità tecnica e di moralità, spesso perfino all'obbligo di un giuramento. Nell'età moderna, per effetto di un'elaborazione approfondita del concetto e delle finalità dell'istituto nelle molteplici e varie legislazioni, il mediatore si presenta sempre più come colui il quale « mette in relazione due o tre parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza » (cfr. Cod. Civ. It. art. 1754). La causa o ragione giuridica della mediazione sta nello scambio tra un servizio (e cioè l'attività diretta a procurare all'« intermediato la conclusione dell'affare) e un compenso che viene attribuito al mediatore. Si può dunque affermare che la mediazione è un contratto, in forza del quale il mediatore promette all'intermediato di prestare opera per fargli concludere l'affare, e questi, a sua volta, promette al mediatore di corrispondergli un adeguato compenso, « se l'affare è concluso per effetto del suo intervento » (l. c. art. 1755).

L'utilità del mediatore agli effetti della conclusione di un affare risulta evidente a chiunque consideri il numero e la varietà degli ostacoli, che si possono incontrare sul cammino che a tale conclusione conduce. Essi sono non soltanto di natura oggettiva (come quando mancasse il contraente desiderato), ma anche e più spesso di natura soggettiva (come quando il possibile contraente esiste bensì, ma deve essere ancora convinto dell'utilità dell'affare e incoraggiato a concluderlo); in tali casi l'assenza del mediatore significherebbe senz'altro mancata conclusione dell'affare, e le conseguenze di carattere economico e morale sarebbero facilmente immaginabili da chiunque sa che l'aumento del benessere individuale e sociale rimane molto spesso legato proprio alla conclusione di affari: di affari leciti, beninteso, e ottenuti con mezzi leciti. Chi dunque afferma che il mediatore deve essere annoverato tra gli elementi benefici della umana convivenza, afferma il vero: il mediatore ha quindi diritto non solo alla stima, ma anche alla gratitudine degli onesti.

3° – Dalla responsabilità del mediatore e dalla importanza della sua funzione deriva la necessità di avere alcune capacità e virtù, senza le quali la mediazione potrebbe essere moralmente cattiva, oltre che socialmente nociva.

Voi dovete essere, anzitutto, seriamente preparati mediante lo studio continuato, profondo ed organico, dei settori, nei quali esercitate la vostra professione. Dovete essere inoltre corretti nei confronti dell'intermediato; e non solo nel senso generico richiesto da ogni materia contrattuale, ma anche nel senso specifico, con riferimento all'interesse manifestato e al particolare scopo economico perseguito per mezzo della conclusione dell'affare.

Il mediatore deve essere anche diligente nel considerare tutti gli aspetti dell'affare stesso, per evitare che abbia, talvolta, conseguenze dannose per l'intermediato; ciò accadrebbe, per esempio, allorquando il mediatore fosse a conoscenza che il compratore reperito offre bensì un prezzo vantaggioso, ma non dà sufficienti garanzie di solvibilità. La conclusione dell'affare, in tal caso, otterrebbe un effetto contrario a quello che l'intermediato desiderava. Alla preparazione, correttezza e diligenza deve accompagnarsi nel mediatore l'assoluta lealtà nel « comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare che possono influire nella conclusione di esso» (cfr. Cod. Civ. It. art. 1759). Una mancanza in questo senso potrebbe configurare per lui l'obbligo morale e giuridico del risarcimento dei danni, oltre che rivestire, in alcune particolari circostanze, perfino il carattere di illecito penale. Va da sè che il mediatore ha pure l'obbligo della conveniente riservatezza, sia pure in armonia con quanto si è più sopra accennato: questa deve esservi in ogni modo, ogniqualvolta la necessità e la opportunità di essa risultino dalla natura dell'affare o dalla volontà dell'intermediato.

4° – Ed ora, diletti figli, non vi dispiaccia che il Padre e Pastore delle anime vostre concluda con un pensiero atto a darvi occasione per una breve cristiana meditazione.

Pronunciando oggi spesso la parola « mediatore », il Nostro pensiero è corso naturalmente a Colui, che è il solo Mediatore perfetto tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1 Tim. 2, 5),

Caduto l'uomo, per il peccato originale, si era verificata una frattura tra il Creatore divino e l'umana creatura; ma nessuna delle tre Persone divine e a maggior ragione nessuna persona umana avrebbe potuto essere mediatrice tra Dio e gli uomini per ottenere che si riaccostassero e si riunissero. Anche il divin Verbo, in quanto Dio, era « maxime immortale, maxime beatum », e quindi « longe a mortalibus miseris » (Aug. De Civit. Dei l. 9, c. 15 — Migne PL, t. 41 col. 269). D'altra parte qualsiasi individuo umano, in quanto tale, era assolutamente incapace di stare « in mezzo », tra l'umanità e Dio, proprio per effetto della sua miseria e del suo peccato.

« E il Verbo si fece carne ed abitò fra noi » (Io. 1, 14) e « Dio riconciliò il mondo con sè, in Cristo » (cfr. 2 Cor. 5, 19) e l'umanità ebbe in Dio incarnato, in quanto uomo (cfr. S. Th. 3 p. q. 26, a. 2) il Mediatore, che trattò e concluse con Dio l'affare della nostra salvezza. Cristo, in quanto uomo, « dista da Dio per la natura e dagli uomini per la dignità e di grazia e di gloria », (cfr. S. Th. 3 p. q. 26, a. 2 in c.). D'altra parte — nota S. Agostino — Cristo ebbe comune con Dio la beatitudine, con gli uomini la mortalità; potè dunque mettersi in mezzo a fare immortali i morti e beati i miseri. Egli è quindì « buon Mediatore perchè riconcilia i nemici »: « bonus medius, qui reconciliat inimicos » (cfr. De Civit. Dei l. c.).

Il demonio, invece, si mette in mezzo, per conseguire clic l'uomo non giunga all'immortalità beata e precipiti invece nella miseria eterna. È dunque come un mediatore cattivo: « medius malus qui separat amicos » ( cfr. Aug. De Civit. Dei l. c.).

Vi è però un'altra mediazione di Cristo, che diviene ogni giorno più urgente. Gli uomini, infatti, sono sventuratamente divisi fra loro e spesso si odiano e si scontrano; solo Cristo può mettersi in mezzo a loro « in medio eorum », e dire « Pax vobis », la pace sia con voi (cfr. Io. 20, 26).

Se Egli fosse in medio nostri, e tutti guardassero a lui e cercassero in lui la verità, la via, la vita, vedremmo cessare come per incanto le liti e le risse « iurgìa maligna et lites » (cfr. Liturg. Feria V in Cena Domini).

Voi, diletti figli, state in mezzo agli uomini e cercate che sia reso possibile l'incontro, che sia reso possibile l'accordo. Statevi come vi starebbe Gesù, il « Mediatore »; allora la vostra professione, — come tutte le altre, del resto —, potrà essere strumento di salvezza e di santificazione per voi e per gli altri. E anche il mondo degli affari, così complesso e così esposto a facili e gravi tentazioni, sarà un mondo che appartiene a Cristo, sarà un mondo veramente cristiano.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XX,
Ventesimo anno di Pontificato, 2 marzo - 9 ottobre 1958, pp. 203-207
Tipografia Poliglotta Vaticana;
A.A.S., vol. L (1958), n. 11, pp. 514-518.

   



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