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EPISTOLA
QUOAD HUNGARIA
AL CARDINALE GIOVANNI CSERNOCH,
ARCIVESCOVO DI ESZTERGOM,
SULLE TRIBOLAZIONI CHE HANNO COLPITO
LA CHIESA D’UNGHERIA,
IN SEGUITO ALLE PERSECUZIONI
ATTUATE DOPO LA GUERRA

 

Diletto Figlio Nostro,
salute e Apostolica Benedizione.

Fino a quando la vostra Ungheria, negli ultimi mesi, fu percorsa da una grave crisi politica, Noi fummo attanagliati da un dolore particolarmente vivo per le sofferenze di tutti; inoltre, diletto Figlio Nostro, paventammo fortemente per te e per i tuoi colleghi nell’Episcopato a causa del governo ostile. Ora poi, avendo dato udienza ai venerabili fratelli Vescovi di Veszprém e di Vàcs, abbiamo avuto da entrambi una dettagliata e accuratissima relazione sulle gravi tribolazioni che avete sostenuto. Infatti, siete stati spogliati del sacro patrimonio al punto da essere privati addirittura del necessario per vivere. Assolutamente impediti nel libero esercizio del vostro ufficio pastorale, avete sofferto crudelissime vessazioni; avete appunto sperimentato e sopportato tutto ciò che uomini privi di ogni ritegno e divorati dall’odio verso la Chiesa poterono escogitare per nuocervi.

Vero è che da quella stessa triste narrazione abbiamo anche tratto diversi motivi di grande gioia; abbiamo infatti appreso che voi avete sopportato tutte quelle sventure senza perdere la vostra dignità e mostrando un’indomita forza d’animo, offrendo al clero e al popolo vostro i più salutari esempi di ogni virtù. In questo frangente sappiate che Noi condividiamo le vostre afflizioni, e Ci congratuliamo vivamente per la vostra fermezza. Dal momento, poi, che abbiamo ricordato il clero e i fedeli a voi affidati, non possiamo esimerCi dal tributare le dovute lodi sia a codesti vostri sacerdoti che, per la maggior parte, imitando i Vescovi, si sono mantenuti fermissimi nel loro ufficio, sia ai Cattolici Ungheresi, la cui fede e grandezza d’animo hanno evitato al clero maggiori e più indegne persecuzioni.

Senza dubbio, dal momento che i dissennati governanti si proponevano di distruggere insieme il vecchio ordine sociale e la fede avita, fu possibile constatare in quei frangenti quali profonde radici legassero il popolo alla fede cattolica, dalla quale l’illustre nazione di Santo Stefano attinse ogni cultura e progresso civile, e dalla quale soltanto può sperare un futuro di prosperità.

A questo proposito occorre che il clero compia ogni sforzo per proteggere fermamente nell’animo della popolazione la fede avita e per accrescerne il vigore; ciò i sacerdoti otterranno senza eccessiva difficoltà se saranno legati ai concittadini da stretti vincoli di consuetudine e se sapranno guadagnarsi sempre più la loro benevolenza. Per quanto sta in Noi, nulla sicuramente tralasceremo, di quanto possa in qualche modo giovare alla vostra Nazione, tanto benemerita della Chiesa. Nel frattempo abbiamo preso nota dei desideri che i venerabili fratelli Vescovi di Veszprém e di Vàcs hanno espresso a tuo nome, e li terremo nel debito conto quando saranno in discussione le controversie sorte a causa della guerra. Abbiamo infatti deliberato di non prendere alcuna decisione senza aver prima consultato i venerabili fratelli Vescovi dell’Ungheria, qualora siano fra gl’interessati, e di non intraprendere alcuna azione se non quelle suggerite dall’interesse della religione e dei fedeli di codeste regioni.

Frattanto, a sollievo dei trascorsi e dei presenti mali, e a testimonianza della Nostra paterna carità, impartiamo con affetto l’Apostolica Benedizione a te, diletto Figlio Nostro, ai tuoi colleghi nell’Episcopato, a tutto il clero e al vostro popolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 settembre 1919, anno sesto del Nostro Pontificato.

 

BENEDICTUS PP. XV

 

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