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  CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

SOLENNE APERTURA DELLA CAUSA DI CANONIZZAZIONE
DEL SERVO DI DIO ALBINO LUCIANI, PAPA GIOVANNI PAOLO I

INTERVENTO DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS

Cattedrale di Belluno
Domenica, 23 novembre 2003

 

1. Sento come voi l'animo in festa, e la grande gioia di essere qui, anche per onorare la Venerabile Chiesa di BellunoFeltre che gode di significativi candidati all'onore degli altari, insieme al servo di Dio Albino Luciani, forse il più illustre, di cui oggi si apre in Diocesi la causa di beatificazione. Sono già in cammino, infatti, le cause per la beatificazione del servo di Dio Padre Felice Cappello, gesuita, e del servo di Dio Padre Romano Bottegal, trappista, anch'essi figli di questa Chiesa bellunese.

Il mio pensiero commosso va, in questo momento, al caro don Pasquale Liberatore, recentemente passato da questo mondo al Padre, per quanto ha fatto per questa causa, con competenza, rigore e amore alla Chiesa e che, certamente, non andrà perduto. Il Signore lo ricompensi. In un bel volume, nutrito di aneddoti ed esempi, scritto da don Francesco Taffarel, intitolato Papa Luciani racconta sono riportate alcune parole rivolte dal Vescovo ai suoi preti nel 1960, sulla predicazione: "Chi parla, a volte, dà l'impressione di uno che, imboccando un bambino, pretenda di ingozzarlo con mezza pagnotta alla volta. Non fa così una madre che prepara pezzettini ragionevoli e li condisce con sorrisi e incoraggiamenti" (cfr Avvenire, 25.8.1998, pag. 19).

Parole piene di saggezza che mi piacerebbe praticare in questa solenne occasione, anche se bisognerebbe avere quel carisma della semplicità che faceva arrivare la parola del Luciani diritta al cuore della gente.

Sarà sufficiente riprometterci di non perdere lo stimolo che questa circostanza ci offre, al fine di conoscere meglio la stupenda figura di questo uomo di Dio, Albino Luciani, ed approfondirne il messaggio. C'è ancora da scavare molto nel pensiero e nella vita di questo grande pastore, anche perché il suo pensiero non solo non è mai banale, ma è sempre originale ed arguto, sia nel contenuto che nello stile.

Sono d'accordo con chi vorrebbe dare ulteriore risalto sul come Luciani abbia colto la ricchezza del Concilio, con un cammino esemplare, lasciandosi trasformare da esso, anche nello stesso modo di concepire la Chiesa (cfr don F. Cassol, in Avvenire 25.8.1998).

2. Un aspetto interessante, non privo di sorprese, è quello del concetto di santità maturato in Albino Luciani, nonché del relativo modo che aveva di presentare i santi, a volte persino ardito, singolare. Il materiale, a questo proposito, è abbondante: omelie, messaggi, articoli, conferenze, citazioni in vari discorsi, tanto che si potrebbe farne uno studio appropriato, se non pubblicare un volume.

Prendo solo qualche spizzico, per invogliare, magari, altri all'appassionante compito. In uno scritto a "ricordo del beato Leopoldo Mandic", del 30 maggio 1976, testimonia sul suo unico incontro con padre Leopoldo, avvenuto proprio qui a Belluno, quando era giovane sacerdote e si confessò da lui. Commentando la sua proverbiale bontà con i penitenti, scrive: "Quanta misericordia verso i peccatori! Io mi commuovo quando penso che, sì, Paolo VI ha fatto beato padre Leopoldo; però il primo canonizzato, il primo uomo proclamato davanti a tutta la gente santo, è stato un ladrone. Sulla Croce Gesù ha detto: "Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso". A un ladrone! E quanta bontà dicevo, verso i peccatori" (Portavoce del beato Mandic, XVIII (1978), pp. 148-150). Raccontava di aver sostato davanti al Paradiso di Jacobello da Fiore... e di avervi trovato al centro, in alto e in grande Gesù che incorona sua Madre e poi, sotto ed in piccolo i numerosissimi angeli e santi. E concludeva "Bisogna incominciare da Gesù: non si capiscono i santi senza Gesù; essi sono in piccolo ciò che Lui è stato in grande; senza il suo esempio e il suo continuo aiuto, essi non sarebbero quello che sono: hanno lavorato e sofferto molto; perché? Perché si sentivano amati da Gesù, lo hanno amato e hanno creduto che la forza di Lui sostenesse la loro debolezza" (Papa Luciani, un pensiero al giorno, ed. Messaggero De Bastiani, 1988, pag. 247).

A Luciani, fin da quando era il giovane don Albino e faceva il semplice catechista ai ragazzi della parrocchia o della scuola, piaceva paragonare l'amore ad una specie di viaggio, lui stesso lo confiderà nella memorabile Udienza Generale che come Giovanni Paolo I, diede ai fedeli sulla carità. E nelle sue catechesi giovanili già diceva: "Quando si dice: Ama il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (cfr Dt 6, 49), si dice: devi assolutamente sforzarti di essere santo. Qui c'è un totalitarismo: lo dice tante volte quell'ex toto, ex tota, che evidentemente il Signore ci vuole totalitari nella via della santità. Ma non occorre che tu faccia cose straordinarie. Fa le cose che fanno tutti, soltanto cerca di farle santamente... Santità di piccolo cabotaggio... Come le colombe, che fanno un saltello da qui a lì, da un comignolo all'altro... Qualcuno sarà anche aquila, ma noi accontentiamoci di essere colombe" (Ivi pag. 229, 230).

Quanta umanità, anzi bisogna dire pienezza di umanità in questa visione che don Albino aveva del santo e della santità, umanità elevata, perfezionata dalla grazia e dai doni dello Spirito. Grazia che, però non distrugge la natura, ma la perfeziona:  "gratia non tollit naturam sed perfecit" (Sup.2 Sent., d.9, q. 1, a.8, arg.3).

3. In una lettera, forse meno nota ai più, datata 10 agosto 1978, scritta da Roma poco prima che iniziasse il Conclave che doveva eleggere il successore di Paolo VI, il Patriarca di Venezia Cardinale Albino Luciani, scrive con affetto ai suoi seminaristi di Venezia. È davvero un documento d'eccezione. In esso si dilunga a raccontare come Roma vive quel momento storico particolare e commenta, tra l'altro: "Qui, Roma, al momento è ancora tutta piena di Paolo VI". Come un padre con i suoi figli, si lascia andare alla confidenza e dice di essere andato anche lui a rendere omaggio alla salma del Pontefice defunto. Significativo di uno stile di vita che l'accompagna da sempre, è il come l'ha fatto. Infatti ci va confuso fra le migliaia di persone, incolonnato a lungo tra la gente che avanza lentamente dalla piazza verso la Basilica di San Pietro, tanto che a un certo punto crede di non farcela ad arrivare in fondo. Lo riconoscono soltanto quando arriva davanti al feretro e, allora, lo portano in disparte, su di un inginocchiatoio apposito a pregare. Se solo si fosse presentato, il servizio d'ordine in pochi secondi l'avrebbe fatto avanzare, senza difficoltà.

Ma questo è lo stampo dell'umile Patriarca di Venezia che viene dal popolo e con il popolo ama stare, senza proclami, senza mettere manifesti, nel silenzio. Ma veniamo alla lettera dove, a un certo punto scrive ai seminaristi: "Anche i giornali sono pieni di Paolo VI. Parlano di lui fanciullo, studente, giovane e operoso sacerdote, diplomatico, tutto dato al servizio della Santa Sede, Arcivescovo di Milano e infine Papa. "Che bella carriera" ha scritto qualcuno. Ma la "carriera" è niente in sé. Più bello, che di lui abbia potuto dire il Cardinale Baggio: "Paolo VI era un santo". Questo sì che conta; non è però la carriera a fare i santi, ma la volontà decisa a corrispondere con perseveranza alla grazia del Signore. È questo che io auguro a ciascuno di voi, qualunque sia la "carriera" che dovrete percorrere nella vita" (cfr "Humilitas", febbraio 1993). Sono sottolineature che la dicono lunga e non hanno bisogno di tanti commenti.

4. All'Angelus del 3 settembre 1978, suscitando ilarità e simpatia, ebbe a dire: "Lassù nel Veneto sentivo dire: Ogni buon ladrone ha la sua devozione. Il Papa ne ha parecchie di devozioni, tra l'altro a san Gregorio Magno (...) A Belluno - disse - il Seminario si chiama Gregoriano in onore di s. Gregorio Magno, io ci ho passato sette anni come studente e venti come insegnante..." e dopo alcuni aspetti sulla vita del santo concluse citando la Regola Pastorale: "Io ho descritto il buon Pastore, ma non lo sono, io ho mostrato la spiaggia, ma personalmente mi trovo ancora nei marosi dei miei difetti, delle mie mancanze e allora, per piacere, ha detto san Gregorio perché non abbia a naufragare, gettatemi una tavola di salvezza con le vostre preghiere" e concludeva: "Non solo il Papa ha bisogno di preghiere, ma tutto il mondo" (cfr A. Luciani, Con il cuore verso Dio, Intuizioni profetiche di Giovanni Paolo I, Ed. Neri Pozza, Vicenza, 1995, pag. 59-60).

Benediciamo il Signore che ci ha concesso di vedere in questo giorno, l'apertura della causa di beatificazione del nostro amatissimo don Albino, e, senza voler interferire né condizionare l'oggettività e serietà del processo di canonizzazione, preghiamo affinché un giorno possiamo invocare, come Beato, questo grande uomo di Chiesa, che da Canale d'Agordo è arrivato alla Cattedra di Pietro, dalla Chiesa locale di Belluno a quella universale come Vescovo di Roma. Allora sarà don Albino, questa volta, a gettarci una tavola di salvezza, e aiutarci a navigare attraverso i flutti della vita.

Sarà l'inchiesta diocesana, che oggi vede la sua sessione inaugurale, istruita qui a Belluno super fama sanctitatis, super vita et virtutibus del servo di Dio Albino Luciani, a mettere in luce il nesso tra pensiero e fatti concreti della sua vita quotidiana, in tutto il suo arco, tra l'ideale e il reale, attraverso i riscontri dei documenti e dei testimoni, escussi anche attraverso i tre processi rogatoriali, ciascuno con un proprio elenco di testi, uno a Vittorio Veneto, uno a Venezia, uno a Roma. A tutti l'augurio di buon lavoro e l'invocazione allo Spirito perché tutto si svolga nella ricerca della maggior gloria di Dio e del bene dei fedeli.

    

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