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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La vera identità

Venerdì, 26 settembre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.220, Sab. 27/09/2014)

La carta d’identità del cristiano deve coincidere in tutto e per tutto con quella di Gesù. Ed è la croce ciò che ci accomuna e ci salva. Perché «se ognuno di noi non è disposto a morire con Gesù, per resuscitare con lui, ancora non ha una vera identità cristiana». È questo il profilo essenziale di ogni credente tracciato da Papa Francesco nella messa celebrata venerdì mattina, 26 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta.

Una riflessione, quella del Pontefice, scaturita dalla domanda diretta di Gesù ai suoi discepoli — «E voi chi dite che io sia?» — così come riportata da Luca nel passo del Vangelo (9-18-22) proposto dalla liturgia. Gesù, ha subito fatto notare Francesco, «custodiva in una maniera speciale la sua vera identità». E lasciava che la gente dicesse di lui: «È un grande, nessuno parla come lui, è un grande maestro, ci guarisce!». Però «quando qualcuno si avvicinava alla sua vera identità, lo fermava». Ed è importante capire il perché di questo atteggiamento.

Il vescovo di Roma ha ricordato che «già dall’inizio, nelle tentazioni nel deserto, il diavolo cercava che Gesù confessasse la sua vera identità» dicendogli: «Se tu sei il giusto, se tu sei il Figlio di Dio, fai questo! Mostrami che tu sei!». E poi «dopo alcune guarigioni o in alcuni incontri, i demoni che erano cacciati via lo sgridavano» con le stesse parole: «Tu sei il giusto! Tu sei il Figlio di Dio!». Ma lui, ha fatto notare il Papa, «li faceva tacere».

«Il diavolo — ha commentato in proposito — è intelligente, sa più teologia di tutti i teologi insieme». E quindi voleva che Gesù confessasse: «Io sono il Messia! Io sono venuto a salvarvi!». Questa confessione, ha spiegato, avrebbe suscitato una «grande confusione nel popolo», che avrebbe pensato: «Questo viene a salvarci. Adesso facciamo un esercito, cacciamo via i romani: questo ci darà la libertà, la felicità!».

Invece proprio perché «la gente non sbagliasse, Gesù custodiva quel punto sulla sua identità». E il Vangelo di Luca racconta in che modo il Signore «mette alla prova i suoi discepoli». Lo fa dopo essere tornato da un luogo solitario dove si era raccolto in preghiera. Si presenta a loro e domanda: «Le folle chi dicono che io sia?». La risposta dei discepoli è: «Giovanni il Battista, altri dicono Elia, altri dicono uno degli antichi profeti che è risorto».

Una risposta che per certi versi, ha fatto presente Francesco, richiama quello che «abbiamo sentito ieri nel passo del Vangelo: Erode era preoccupato perché non sapeva se questo Gesù fosse Giovanni il Battista o un altro». La stessa cosa, dunque, rispondono i discepoli. Ed ecco che il Signore pone la questione direttamente a loro: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro risponde a nome di tutti: «Il Cristo di Dio. Questa è la tua identità! Tu sei il Messia! Tu sei il Cristo di Dio! Tu sei l’unto, quello che noi aspettiamo!». Ma anche in questa situazione Gesù «ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno».

Egli dunque voleva «custodire l’identità». E poi «spiega, incomincia a fare la catechesi sulla vera identità». E dice che «il Figlio dell’uomo, cioè il Messia, deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e degli scribi; e essere ucciso e risorgere». Proprio questa, dice agli apostoli, «è la strada della vostra liberazione, questa è la strada del Messia, del giusto: la passione, la croce». Ma «loro — ha rilevato il Pontefice — non vogliono capire e nel brano di Matteo si vede come Pietro rifiuta questo: No, no, Signore!». Con i discepoli, perciò, il Signore «incomincia ad aprire il mistero della sua propria identità» confidando loro: «Sì, io sono il Figlio di Dio. Ma questo è il mio cammino: devo andare in questa strada di sofferenza».

Soltanto «la domenica delle Palme — ha affermato il Papa — permette che la folla dica, più o meno, la sua identità». Lo fa «soltanto lì, perché era l’inizio del cammino finale». E «Gesù fa questo per preparare i cuori dei discepoli, i cuori della gente a capire questo mistero di Dio: è tanto l’amore di Dio, è tanto brutto il peccato che lui ci salva così, con questa identità nella croce».

Del resto, ha proseguito Francesco, «non si può capire Gesù Cristo redentore senza la croce». E «possiamo arrivare fino a pensare che è un gran profeta, fa cose buone, è un santo. Ma il Cristo redentore senza la croce non lo si può capire». Però, ha spiegato, «i cuori dei discepoli, i cuori della gente non erano preparati per capirlo: non avevano capito le profezie, non avevano capito che lui era proprio l’agnello per il sacrificio». Solo «quel giorno delle Palme» egli lascia che la gente gridi: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». E «se questa gente non grida — disse — grideranno le pietre!».

«La prima confessione della sua identità», ha affermato il Pontefice, «è stata fatta alla fine, dopo la morte». Già «prima della morte, indirettamente, l’ha fatta il buon ladrone»; ma «dopo la morte è stata fatta la prima confessione: “Veramente questo era il giusto! Il dikaios!”». E a dire queste parole, ha sottolineato, è «un pagano, il centurione».

Francesco ha osservato che «la pedagogia di Gesù, anche con noi, è così: passo a passo ci prepara per capirlo bene». E «anche ci prepara ad accompagnarlo con le nostre croci nella sua strada verso la redenzione». In pratica «ci prepara a essere dei cirenei per aiutarlo a portare la croce». Tanto che «la nostra vita cristiana senza questo non è cristiana». È soltanto «una vita spirituale, buona». E lo stesso Gesù diventa solo «il grande profeta». La realtà è un’altra: Gesù ha salvato tutti noi facendoci percorrere «la stessa strada» scelta da lui. Così «anche la nostra identità di cristiani deve essere custodita». E non si deve cadere nella tentazione di «credere che essere cristiani è un merito, è un cammino spirituale di perfezione: non è un merito, è pura grazia». È anche «un cammino di perfezione», ma «da solo non basta». Perché, ha concluso il Pontefice, «essere cristiano è il segmento di Gesù nella sua propria identità, in quel mistero della morte e della risurrezione».

   



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