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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Qual è la gioia del vescovo

Lunedì, 3 novembre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.251, Mart. 04/11/2014)

 

«I sentimenti di un vescovo» o «la gioia di un vescovo». È stato proprio Papa Francesco a indicare il titolo ideale per il passo della Lettera di san Paolo ai Filippesi (2, 1-4) proposto dalla liturgia di lunedì 3 novembre. E ha messo in guardia dalle rivalità e dalla vanagloria che minano la vita della Chiesa, dove invece bisogna far tesoro delle indicazioni di Gesù e anche di Paolo: non cercare il proprio interesse ma servire umilmente gli altri senza chiedere nulla in cambio. Ed è su questo tema che ha centrato l’omelia nella messa celebrata nella cappella della Casa Santa Marta.

Paolo sviluppa questi consigli pratici, ha spiegato il Pontefice, in un testo dove «fa vedere quali sono i suoi sentimenti verso i Filippesi: forse la Chiesa di Filippi era quella che lui più amava». E «incomincia come chiedendo un favore, un piacere». Infatti scrive: «Se c’è qualche consolazione, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione», insomma, «se voi siete così, fatemi questo favore: rendete piena la mia gioia».

Dunque, Paolo chiede espressamente ai Filippesi che «rendano piena la gioia del vescovo». E «qual è la gioia del vescovo? Qual è la gioia che Paolo chiede alla Chiesa di Filippi?». La risposta è «avere un medesimo sentire con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi». Ecco che «Paolo, come pastore, sapeva che questa è la strada di Gesù. E, anche, che questa è la grazia che Gesù, nella preghiera dopo la Cena, ha chiesto al Padre: l’unità; la concordia; che i discepoli rimanessero unanimi e concordi con la stessa carità e il medesimo sentire, cioè l’armonia della Chiesa».

«Tutti sappiamo — ha spiegato Francesco — che questa armonia è una grazia: la fa lo Spirito Santo, ma noi dobbiamo fare, da parte nostra, di tutto per aiutare lo Spirito Santo a fare questa armonia nella Chiesa»; e anche «per aiutare a capire quello che lui chiede alla Chiesa». Lo Spirito, infatti, «dà consigli, diciamo così, per via negativa: cioè non fate questo, non fate quello!». E «cosa non devono fare i Filippesi?». Lo dice Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria». E così, ha fatto notare Papa Francesco, «si vede che questa non è soltanto cosa del nostro tempo» ma «viene da lontano».

Paolo dunque raccomanda di non fare nulla per «rivalità», di «non lottare l’uno contro l’altro, neppure per farsi vedere, per darsi l’aria di essere migliore degli altri». E «quante volte — ha fatto notare il vescovo di Roma — nelle nostre istituzioni, nella Chiesa, nelle parrocchie, per esempio, nei collegi, troviamo la rivalità, il farsi vedere, la vanagloria». Si tratta di «due tarli che mangiano la consistenza della Chiesa, la rendono debole: la rivalità e la vanagloria vanno contro questa armonia, questa concordia».

Per non cadere in queste tentazioni «cosa consiglia Paolo?». Lo scrive ai Filippesi: «Ciascuno di voi, con tutta umiltà — cosa deve fare con umiltà? — consideri gli altri superiori a se stesso». Paolo «sentiva questo», tanto che «lui si qualifica non degno di essere chiamato apostolo». Si definisce «l’ultimo» e così «anche si umilia fortemente». Questo era «un suo sentimento: pensare che gli altri erano superiori a lui».

Sulla stessa linea, Francesco ha ricordato la testimonianza del santo peruviano Martino de Porres, umile frate domenicano, di cui il 3 novembre ricorre la memoria liturgica. «La sua spiritualità — ha spiegato — era nel servizio perché sentiva che tutti gli altri, anche i più grandi peccatori, gli erano superiori. Lo sentiva davvero». Oltretutto, «è uno dei nostri tempi più vicini, che viveva così», con «umiltà».

«La gioia del vescovo — ha perciò riaffermato il Papa — è questa unità della Chiesa: umiltà, senza rivalità o vanagloria». E poi Paolo continua: «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri». Occorre dunque «cercare il bene dell’altro. Servire gli altri». Proprio «questa è la gioia di un vescovo quando vede la sua Chiesa così: un medesimo sentire, la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi». E «questa è l’aria che Gesù vuole nella Chiesa. Si possono avere opinioni diverse, va bene! Ma sempre dentro quest’area, quest’atmosfera di umiltà, carità, senza disprezzare nessuno».

Paolo raccomanda chiaramente di «non cercare l’interesse proprio, ma anche quello degli altri». Insomma, esorta a «non cercare di approfittare per sé stessi» guardando esclusivamente al proprio interesse. Ed «è brutto — ha detto Francesco — quando nelle istituzioni della Chiesa, di una diocesi, troviamo nelle parrocchie gente che cerca il suo interesse, non il servizio, non l’amore». È quello che anche «Gesù ci dice nel Vangelo: non cercare il proprio interesse, non andare sulla strada del contraccambio, del do ut des». Insomma, non dire: «Ma sì, io ti ho fatto questo favore, ma tu mi fai questo». Gesù lo ricorda con la parabola del Vangelo di Luca (14, 12-14) che racconta l’invito a cena di «quelli che non possono contraccambiare niente: è la gratuità».

«Quando in una Chiesa — ha sottolineato il Pontefice — c’è l’armonia, c’è l’unità, non si cerca il proprio interesse, c’è questo atteggiamento di gratuità». Così «io faccio il bene» e non «un affare con il bene». C’è in giro, invece, un’«abitudine all’utilitarismo»; ma «la carità che chiede Paolo respinge l’utilitarismo: fai il bene, umile, agli altri che tu nel tuo cuore consideri migliori di te».

Francesco ha suggerito di pensare durante la giornata a «com’è la mia parrocchia» o «com’è la mia comunità». E di chiedersi se queste realtà e tutte le nostre istituzioni, hanno «questo spirito di sentimenti di amore, di unanimità, di concordia, senza rivalità o vanagloria». Vivono «con l’umiltà e il pensare che gli altri sono superiori a noi?». C’è davvero «questo spirito» o «forse troveremo che c’è qualcosa da migliorare?». Allora — ha esortato — è bene domandarci «oggi come posso migliorare questo». E seguire così il consiglio di Paolo, «perché la gioia sua, del vescovo, sia piena; perché la gioia di Gesù sia piena».

   



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