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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Scandalosi cristiani

Lunedì, 10 novembre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.257, Mart. 11/11/2014)

 

«Scandalo, perdono e fede»: sono le tre parole, strettamente collegate tra loro, proposte dal Papa nella messa celebrata lunedì mattina, 10 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta. Parole che Francesco ha ricavato dal brano liturgico del Vangelo di Luca (17, 1-6), dove appunto «si parla di tre cose: lo scandalo, il perdono e la fede». Queste, ha fatto notare, «sono tre parole di Gesù: forse non sono state dette insieme, allo stesso tempo, ma l’evangelista le mette insieme». Di qui il filo conduttore della riflessione del Pontefice.

Il primo dei termini su cui si è soffermato il Papa è «lo scandalo». «A me — ha confidato — colpisce come Gesù finisce» il suo discorso: dopo aver parlato dello scandalo dice infatti: «State attenti a voi stessi!». Usa, dunque, un’espressione «forte» per chiedere di «non dare scandalo». È lui stesso a dire, come scrive Luca, che «è inevitabile che vengano scandali»; ma aggiunge anche: «Guai a colui a causa del quale vengono!». E più precisamente: «Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli, il popolo di Dio; i deboli nella fede, i bambini, i giovani, gli anziani che hanno vissuto tutta una vita di fede, guai a chi scandalizza questi! Meglio morire!».

Con questo parlare così «forte» Gesù si rivolge anche «a noi, ai cristiani». E di conseguenza «noi dobbiamo farci la domanda: io scandalizzo?». E prima ancora: «cos’è lo scandalo?». A questo proposito il Papa ha spiegato che lo scandalo «è dire e professare uno stile di vita — “sono cristiano” — e poi vivere come un pagano che non crede in nulla». E «questo fa scandalo perché manca la testimonianza: la fede confessata è vita vissuta».

In questo ragionamento Francesco si è ricollegato alla prima lettura, tratta dalla Lettera a Tito (1, 1-9), sottolineando che «Paolo scrive al suo discepolo, il vescovo Tito, e consiglia come devono comportarsi i sacerdoti, i vescovi, che sono amministratori di Dio». E «dà alcuni consigli: il sacerdote — sia prete o vescovo — sia irreprensibile; non sia arrogante, non vada così guardando tutti dall’alto; non collerico, ma sia mite; non dedito al vino; spirituale, non spiritoso; che sia non violento, pacifico; non avido di guadagni disonesti, non attaccato ai soldi, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone di sé, fedele alla parola degna di fede che gli è stata insegnata». Perché «quando un sacerdote — sia prete o vescovo — non vive così, scandalizza, fa lo scandalo». E si è portati a fargli notare: «Ma tu sei maestro, dici una cosa e vivi dell’altra!». Da qui la constatazione del Papa: «Quanto male fanno al popolo di Dio gli scandali dei sacerdoti, quanto male! La Chiesa è tanto sofferente per questo!».

Queste parole riguardano i sacerdoti ma sono valide anche «per tutti i cristiani». Per il fatto di non essere sacerdoti, infatti, non diviene certo «lecito essere arroganti, collerici, ubriachi». Si tratta dunque di parole valide «per tutti», ha rimarcato il Pontefice. Si deve tener conto che «quando un cristiano o una cristiana, che va in chiesa, che va in parrocchia, non vive così, scandalizza».

Del resto, ha insistito Francesco, «quante volte abbiamo sentito: “Ma io non vado in Chiesa — uomini e donne — perché è meglio essere onesto a casa o non andare come quello, quella o quella che vanno in Chiesa e poi fanno questo, questo e questo...». Così si vede che «lo scandalo distrugge, distrugge la fede». Ed è «per questo che Gesù è tanto forte» e ripete: «State attenti, state attenti!». Proprio questa esortazione di Gesù «ci farà bene ripetere oggi: State attenti a voi stessi!». Perché «tutti noi siamo capaci di scandalizzare».

La seconda parola suggerita da Luca è «perdono». Gesù, nel Vangelo, «parla del perdono e — ha evidenziato il Papa — ci consiglia di non stancarci di perdonare: sempre perdonare. Perché? Perché io sono stato perdonato». Infatti «il primo perdonato nella mia esistenza sono io. E per questo non ho diritto a non perdonare: sono costretto, per il perdono ricevuto, a perdonare gli altri». Dunque, «perdonare: una volta, due, tre, settanta volte sette, sempre! Anche nello stesso giorno». E qui, ha chiarito il Pontefice, Gesù in un certo senso «esagera per farci capire l’importanza del perdono». Perché «un cristiano che non è capace di perdonare scandalizza: non è cristiano». Tanto che è il caso di dirgli «per spaventarlo un po’: ma se tu non sei capace di perdonare, non sei neanche capace di ricevere il perdono di Dio». Insomma, noi «dobbiamo perdonare» perché siamo stati «perdonati».

Questa verità «è nel Padre Nostro: Gesù lo ha insegnato lì», ha rammentato il Pontefice. Certo, ha riconosciuto, il discorso del perdono «non si capisce nella logica umana». Infatti «la logica umana ti porta a non perdonare, alla vendetta; ti porta all’odio, alla divisione». E così vediamo «quante famiglie divise per non perdonarsi, quante famiglie! Figli allontanati dai genitori; marito e moglie allontanati...». Per questa ragione, allora, «è tanto importante pensare questo: se io non perdono non ho, sembra che non avrei, diritto a essere perdonato o non ho capito cosa significa che il Signore mi abbia perdonato».

Certo, ha affermato ancora il Papa, «si capisce che, sentendo queste cose, i discepoli abbiano detto al Signore: accresci in noi la fede». Infatti «senza la fede non si può vivere senza scandalizzare e sempre perdonando». Abbiamo bisogno proprio della «luce della fede, di quella fede che noi abbiamo ricevuto, della fede di un Padre misericordioso, di un Figlio che ha dato la vita per noi, di uno Spirito che è dentro di noi e ci aiuta a crescere, della fede nella Chiesa, della fede nel popolo di Dio, battezzato, santo». E «questo è un dono: la fede è un regalo. Nessuno — ha detto Francesco — con i libri, andando a conferenze, può avere la fede». Del resto, proprio perché «la fede è un regalo di Dio che ti viene, gli apostoli chiesero a Gesù: Accresci in noi la fede».

Il Pontefice ha concluso suggerendo di riflettere bene su «queste tre parole: lo scandalo, il perdono e la fede». Per lo scandalo, ha riepilogato, basta ricordare «soltanto quelle parole di Gesù: state attenti a voi stessi! E questo è pericoloso»: meglio infatti «essere buttati in mare» che scandalizzare. Riguardo al perdono, poi, il Papa ha invitato a ricordare sempre che noi per primi siamo perdonati. E, infine, l’aspetto della fede, senza la quale, ha ribadito, «non potrei mai portare avanti una vita senza scandalizzare e una vita di perdono».

 

 



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