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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Sanguisughe di oggi

Giovedì, 19 maggio 2016

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.114, 20/05/2016)

La meditazione sul giusto rapporto che il cristiano deve avere con il denaro, con la ricchezza, ha portato Papa Francesco, durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì 19 maggio, a denunciare le «schiavitù di oggi» e chi, approfittando della diffusa mancanza di lavoro, «sfrutta la gente» e la costringe ad accettare contratti iniqui, in nero. Trafficanti che «ingrassano in ricchezza» e vivono come «vere sanguisughe», vivono «del sangue della gente. E questo è peccato mortale», ha commentato con parole dure.

Del resto hanno preso il via dalla lettura tratta dalla lettera dell’apostolo Giacomo (5, 1-6) dal Papa stesso definita «un pochettino forte». Evidentemente, ha fatto notare Francesco, «l’apostolo aveva capito il pericolo che c’è quando un cristiano si lascia comandare dalle ricchezze» e per questo nel suo testo «non risparmia parole: è diretto e chiaro» e scrive: «Ora voi ricchi piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi. Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme». «Cosa penserà un ricco che sente questo»? Per la verità, ha spiegato il Papa, se andiamo a vedere «cosa ci insegna la Parola di Dio sulle ricchezze», capiamo che «le ricchezze in se stesse sono buone», tant’è che Dio stesso dà all’uomo il compito di prosperare («Crescete e moltiplicatevi, riempite la Terra, assoggettatela»). E anche nella Bibbia «troviamo tanti uomini giusti ricchi». Il Pontefice ne ha ricordati alcuni: di Giobbe, ad esempio, si trova l’elenco «di tutte le ricchezze che Dio gli dà»; ma possiamo anche ricordare Tobia, Gioacchino, il marito di Susanna. A tanti «il Signore dà la ricchezza come una benedizione».

Quindi «le ricchezze sono buone», ma, ha aggiunto Francesco, sono anche «relative». Infatti il Signore «loda Salomone per aver chiesto non ricchezze ma la saggezza del cuore per giudicare il popolo». Le ricchezze, cioè, «non sono una cosa assoluta». Alcuni invece, ha detto, credono «in quella che è chiamata la “teologia della prosperità”, cioè Dio ti fa vedere che tu sei giusto se ti dà tante ricchezze». Ma «è uno sbaglio». Perciò anche il salmista dice: «Alle ricchezze non attaccare il cuore». Ed è proprio questo il «problema» che coinvolge ognuno di noi: «il mio cuore è attaccato alle ricchezze, o no? Com’è il mio rapporto con la ricchezza?». A tale riguardo Gesù «parla di “servire”: non si può servire Dio e le ricchezze; sono opposte. In se stesse sono buone, ma se tu preferisci servire Dio, le ricchezze vengono in secondo piano: al giusto posto». Per farsi meglio comprendere, il Papa ha richiamato l’episodio evangelico del «giovane ricco che Gesù amò, perché era giusto», lui «era buono ma attaccato alle ricchezze e queste ricchezze alla fine per lui sono diventate catene che gli hanno tolto la libertà di seguire Gesù».

È lo stesso problema che san Giacomo affronta nella sua lettera, dove «guarda quelli che considerano quasi le ricchezze come dio» e «vivono per le ricchezze!». A loro, duramente, l’apostolo scrive: «Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine. La loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni». Per chiarire che «il rapporto con la ricchezze che questa gente ha avuto è un rapporto cattivo», Giacomo usa parole che, ha sottolineato il Pontefice, sembrano scritte da uno che vive «oggi, in una delle nostre città del mondo: “Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente”». Punta il dito, cioè, contro quelle situazioni in cui «le ricchezze si fanno con lo sfruttamento della gente» e «quella povera gente diviene schiava». A questo punto Francesco ha invitato a pensare al mondo di oggi dove «accade lo stesso» e capita, ad esempio, che a chi cerca lavoro fanno un contratto «da settembre a giugno, senza possibilità di pensione, senza assicurazione sanitaria», poi lo sospendono per i mesi estivi, come se a luglio e ad agosto si mangiasse aria, quindi a settembre lo rifanno. Quanti fanno questo, ha detto chiaramente il Papa, «sono vere sanguisughe e vivono dei salassi del sangue della gente che rendono» schiava del lavoro.

L’apostolo Giacomo faceva riferimento al lavoro dei mietitori, oggi più in generale, conosciamo la «schiavitù del lavoro». A tale proposito il Pontefice ha raccontato l’esperienza di una ragazza alla quale hanno proposto undici ore di lavoro al giorno con salario in nero a 650 euro mensili. Di fronte alle sue proteste le hanno detto: «Ma guarda: guarda dietro di te la coda che c’è. Se ti piace, prendilo, se no, vattene. Ce ne sono altri che aspettano». Questi ricchi, ha commentato Francesco, «ingrassano in ricchezze» e sembrano gli stessi di cui l’apostolo scrive: «Vi siete ingrassati per il giorno della strage». E rivolgendosi idealmente a loro il Papa ha aggiunto: «Il sangue di tutta questa gente che avete succhiato» è «un grido al Signore, è un grido di giustizia».

Coloro che si comportano in questa maniera, ha detto il Pontefice, sono dei «trafficanti» e «non se ne accorgono». Noi, ha spiegato, «pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. È vero, la gente non va a prenderli in Africa per venderli in America: no. Ma è nelle nostre città», è nello «sfruttamento della gente, lo sfruttamento non solo dei bambini, dei ragazzi», ma di «tutta la gente» che, nel lavoro, viene trattata «senza giustizia».

Riflettendo su questi temi, il Papa ha anche richiamato la catechesi dell’udienza generale del giorno precedente, dedicata al ricco Epulone e Lazzaro. Quel ricco, ha detto, «era nel suo mondo, non si accorgeva che dall’altra parte della porta della sua casa c’era qualcuno che aveva fame» e «lasciava che l’altro morisse». Qui invece, ha sottolineato, c’è di «peggio»: qui assistiamo all’«affamare la gente con il loro lavoro per il mio profitto! Vivere del sangue della gente. E questo è peccato mortale. È peccato mortale. E ci vuole tanta penitenza, tanta restituzione per convertirsi da questo peccato».

A sostenere le dure parole dell’apostolo Giacomo, nella liturgia odierna, c’è anche il Salmo 48, «una bella meditazione, serena, sulla povertà — “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”», dove dei ricchi si legge in modo “chiaro” che questi «scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà di loro ogni traccia; gli Inferi saranno la loro dimora».

A tale riguardo, il Pontefice ha raccontato un altro breve aneddoto ricordando «un uomo avaro» sul quale, quando morì, la gente scherzava: «“Il funerale è stato rovinato” – “perché?”, dicevano. “Eh, non avevano potuto chiudere la bara” – “Ma perché?” – “Perché voleva prendere con sé tutto quello che aveva, e non poteva”». Nessuno, ha chiosato Francesco, «può portare con sé le proprie ricchezze».

Concludendo l’omelia, il Papa ha invitato di nuovo a pensare a «questo dramma di oggi: lo sfruttamento della gente». E non solo ai traffici riguardanti la prostituzione o il lavoro minorile, ma a «quel traffico più — diciamo — “civilizzato”» per cui c’è chi dice: «Io ti pago fino a qua, senza vacanze, senza assicurazione sanitaria, tutto in nero... così io divento ricco!». E, richiamando un passo del Vangelo del giorno (Marco, 9, 41-50), ha pregato il Signore affinché «ci faccia capire oggi quella semplicità che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: è più importante un bicchiere d’acqua in nome di Cristo che tutte le ricchezze accumulate con lo sfruttamento della gente».

 



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