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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN MOZAMBICO, MADAGASCAR E MAURIZIO
(4 - 10 SETTEMBRE 2019)

SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Campo Diocesano di Soamandrakizay (Antananarivo)
Domenica, 8 settembre 2019

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Il Vangelo ci ha detto che «una folla numerosa andava con Gesù» (Lc 14,25). Come quelle folle che si accalcavano lungo il percorso di Gesù, voi siete venuti in gran numero per accogliere il suo messaggio e per mettervi alla sua sequela. Ma voi sapete bene che camminare al seguito di Gesù non è molto riposante! Voi non avete riposato, e tanti di voi avete anche passato la notte qui. Il Vangelo di Luca, infatti, oggi ricorda le esigenze di questo impegno.

È importante notare che queste prescrizioni sono date nel quadro della salita di Gesù a Gerusalemme, tra la parabola del banchetto in cui l’invito è aperto a tutti (specialmente alle persone rifiutate che vivono nelle strade e nelle piazze, nei crocevia) e le tre parabole chiamate della misericordia, dove si organizza la festa quando ciò che è perduto viene trovato, quando colui che sembrava morto è accolto, festeggiato e restituito alla vita nella possibilità di un nuovo inizio. Ogni rinuncia cristiana ha significato solo alla luce della gioia e della festa dell’incontro con Gesù Cristo.

La prima esigenza ci invita a guardare alle nostre relazioni familiari. La vita nuova che il Signore ci propone sembra scomoda e si trasforma in scandalosa ingiustizia per coloro che credono che l'accesso al Regno dei Cieli possa limitarsi o ridursi solamente ai legami di sangue, all’appartenenza a un determinato gruppo, a un clan o una cultura particolare. Quando la “parentela” diventa la chiave decisiva e determinante di tutto ciò che è giusto e buono, si finisce per giustificare e persino “consacrare” alcuni comportamenti che portano alla cultura del privilegio e dell’esclusione (favoritismi, clientelismi, e quindi corruzione). L’esigenza posta dal Maestro ci porta ad alzare lo sguardo e ci dice: chiunque non è in grado di vedere l’altro come un fratello, di commuoversi per la sua vita e la sua situazione, al di là della sua provenienza familiare, culturale, sociale, «non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Il suo amore e la sua dedizione sono un dono gratuito a motivo di tutti e per tutti.

La seconda esigenza ci mostra come risulti difficile seguire il Signore quando si vuole identificare il Regno dei Cieli con i propri interessi personali o con il fascino di qualche ideologia che finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, esilio, terrorismo ed emarginazione. L’esigenza del Maestro ci incoraggia a non manipolare il Vangelo con tristi riduzionismi, bensì a costruire la storia in fraternità e solidarietà, nel rispetto gratuito della terra e dei suoi doni contro qualsiasi forma di sfruttamento; con l’audacia di vivere il «dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019); non cedendo alla tentazione di certe dottrine incapaci di vedere crescere insieme grano e zizzania nell’attesa del padrone della messe (cfr Mt 13,24-30).

E infine: come può essere difficile condividere la nuova vita che il Signore ci dona quando siamo continuamente spinti a giustificare noi stessi, credendo che tutto provenga esclusivamente dalle nostre forze e da ciò che possediamo; quando la corsa ad accumulare diventa assillante e opprimente – come abbiamo ascoltato nella prima Lettura – esacerbando l’egoismo e l’uso di mezzi immorali! L’esigenza del Maestro è un invito a recuperare la memoria grata e a riconoscere che, piuttosto che una vittoria personale, la nostra vita e le nostre capacità sono il risultato di un dono (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 55), intessuto tra Dio e tante mani silenziose di persone delle quali arriveremo a conoscere i nomi solo nella manifestazione del Regno dei Cieli.

Con queste esigenze, il Signore vuole preparare i suoi discepoli alla festa dell’irruzione del Regno di Dio, liberandoli da quell’ostacolo rovinoso, in definitiva una delle peggiori schiavitù: il vivere per sé stessi. È la tentazione di chiudersi nel proprio piccolo mondo che finisce per lasciare poco spazio agli altri: i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata, non si gode più la dolce gioia del suo amore, non palpita più l’entusiasmo di fare il bene... Molti, in questo rinchiudersi, possono sentirsi apparentemente sicuri, ma alla fine diventano persone risentite, lamentose, senza vita. Questa non è la scelta di un’esistenza dignitosa e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, non è la vita nello Spirito che scaturisce dal cuore di Cristo risorto (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 2).

Sulla strada verso Gerusalemme, il Signore, con queste esigenze, ci invita ad alzare lo sguardo, ad aggiustare le priorità e soprattutto creare spazi affinché Dio sia il centro e il cardine della nostra vita.

Guardiamoci intorno: quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi ​​di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio. Quanto è urgente questo invito di Gesù a morire alle nostre chiusure, ai nostri orgogliosi individualismi per lasciare che lo spirito di fraternità – che promana dal costato aperto di Cristo, da dove nasciamo come famiglia di Dio – trionfi, e ciascuno possa sentirsi amato, perché compreso, accettato e apprezzato nella sua dignità. «Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui» (Omelia in occasione della Giornata mondiale dei poveri, 18 novembre 2018).

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a riprendere il cammino, a osare questo salto di qualità e adottare questa saggezza del distacco personale come base per la giustizia e per la vita di ognuno di noi: perché insieme possiamo combattere tutte quelle idolatrie che ci portano a focalizzare la nostra attenzione sulle ingannevoli sicurezze del potere, della carriera e del denaro e sulla ricerca di glorie umane.

Le esigenze che Gesù indica cessano di essere pesanti quando iniziamo a gustare la gioia della vita nuova che Egli stesso ci propone: la gioia che nasce dal sapere che Lui è il primo a venirci a cercare agli incroci delle strade, anche quando ci siamo persi come quella pecora o quel figlio prodigo. Possa questo umile realismo – è un realismo, realismo cristiano – spingerci ad affrontare grandi sfide, e dia a voi il ​​desiderio di rendere il vostro bel Paese un luogo in cui il Vangelo possa diventare vita, e la vita sia per la maggior gloria di Dio.

Decidiamoci e facciamo nostri i progetti del Signore.



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