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  I
ADNEXUM

IL SIGNIFICATO PASTORALE
DELLA VISITA « AD LIMINA APOSTOLORUM »
DI CUI AGLI ARTICOLI 28-32

Lo spirito pastorale, preminente nella revisione della Costituzione Apostolica sulla Curia Romana, ha anche portato ad una più intensa valorizzazione delle Visite « ad limina Apostolorum », facendo sì che si ponesse in maggiore evidenza l'importanza pastorale che esse hanno raggiunto nella odierna vita della Chiesa.

1. Come è noto, queste Visite sono compiute periodicamente, quando alle « soglie degli Apostoli » giungono tutti i Vescovi che presiedono nella carità e nel servizio alle Chiese particolari in ogni parte del mondo, in comunione con la Sede Apostolica.

Esse, da una parte, offrono ai Vescovi l'occasione di rafforzare la consapevolezza della propria responsabilità di successori degli Apostoli e di sentire più a fondo la loro comunione gerarchica col Successore di Pietro; dall'altra rappresentano un momento centrale dell'esercizio del ministero universale del Santo Padre, che in tale circostanza riceve i Pastori delle Chiese particolari, Suoi fratelli nell'Episcopato, e tratta con essi le questioni concernenti la loro missione ecclesiale.

2. Le visite « ad limina » sono la realizzazione visibile di quel movimento o circolazione vitale tra Chiesa Universale e Chiese particolari, che teologicamente si può definire come una certa quale « perichoresis », oppure paragonare al movimento di diastole-sistole, per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore.

Troviamo la traccia di una prima Visita « ad limina » nella lettera di San Paolo ai Galati, dove egli parla della sua conversione e del suo cammino verso l'apostolato per i pagani, e - benché fosse Apostolo chiamato e istruito immediatamente dal Signore risorto - dice: « In seguito . . . andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni . . . ».1

« Dopo 14 anni andai di nuovo a Gerusalemme esposi loro il Vangelo, che io predico per i pagani per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano ».2

3. L'incontro col Successore di Pietro, primo custode del deposito di verità trasmesso dagli Apostoli, tende a rinsaldare l'unità nella stessa fede, speranza e carità, e a far conoscere ed apprezzare sempre di più l'immenso patrimonio di valori spirituali e morali, che tutta la Chiesa, in comunione col Vescovo di Roma, ha diffuso nel mondo intero.

Nella Visita « ad limina » si incontrano due persone, il Vescovo di una Chiesa particolare e il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, ciascuno con la sua responsabilità inderogabile, ma non come persone isolate: ciascuno infatti rappresenta a suo modo il « noi » della Chiesa, il « noi » dei fedeli, il « noi » dei Vescovi, che in un certo senso costituiscono l'unico « noi » nel Corpo di Cristo. Nella loro comunione, comunicano i loro fedeli, comunicano la Chiesa universale e Chiese particolari.

4. Per tutti questi motivi, le Visite « ad limina » sono, in se stesse, espressioni di quella sollecitudine pastorale, che opera nella Chiesa intera. Si tratta infatti dell'incontro dei Pastori della Chiesa, uniti tra di loro nell'unità collegiale che si fonda sulla successione apostolica. In questo Collegio, infatti, tutti e ciascuno dei Vescovi manifestano ed ereditano la sollecitudine di Gesù Cristo, Buon Pastore.

Tale è il più profondo senso dell'apostolato - e di fare apostolato - nella Chiesa, specie per quanto riguarda i Vescovi, uniti al Successore di Pietro. Infatti, ciascuno di essi è centro dell'apostolato integrale di ciascuna delle Chiese particolari, unite, in pari tempo, con la dimensione universale della Chiesa intera. Questo apostolato integrale esige e abbraccia il contributo di tutti coloro che nella Chiesa, sia universale sia particolare, edificano il Corpo di Cristo: dei sacerdoti, delle persone consacrate a Dio - Religiosi e Religiose -, dei laici.

5. Considerate da questo punto di vista, le Visite « ad limina » sono pure un momento particolare di quella comunione, che decide così profondamente della sostanza della Chiesa, com'è mirabilmente descritta nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, specie nei capitoli II e III.

Oggi, quando la società umana tende ad una più effettiva unificazione, e la Chiesa sa di essere « segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unita di tutto il genere umano »,3 appare indispensabile promuovere e favorire una continua comunicazione tra le Chiese particolari e la Sede Apostolica, specie con la condivisione della sollecitudine pastorale circa problemi, esperienze, sofferenze, orientamenti e progetti di lavoro e di vita.

Nell'ambito dell'incontro dei Pastori, a Roma, si attua un particolare e splendido « scambio di doni », tra ciò che nella Chiesa è particolare, ossia locale, e ciò che è universale, secondo il principio della cattolicità; in virtù di questa, infatti, « le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti s'accrescono, comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per una pienezza dell'unità ».4 Inoltre, anche da questo punto di vista, le Visite « ad limina » hanno per scopo non solo una reciproca informazione, ma anche la crescita e il consolidamento di una formazione collegiale del corpo (organismo) della Chiesa, che costituisce una particolare unità nella diversità.

Il movimento di questa comunicazione ecclesiale e duplice. Da una parte c'è la convergenza verso il centro e fondamento visibile dell'unità che, nell'impegno e nella responsabilità personale di ogni Vescovo e con lo spirito della collegialità (affectus collegialis), si esprime nei gruppi e nelle Conferenze; dall'altra c'è l'ufficio « concesso singolarmente a Pietro »5 a servizio della comunione ecclesiale e dell'espansione missionaria, affinché nulla sia lasciato di intentato per promuovere e custodire l'unità della fede e la disciplina comune alla Chiesa intera, e si ravvivi la coscienza che la cura d'annunziare ovunque il Vangelo appartiene principalmente al corpo dei Pastori.

6. Dall'insieme di tali principi, sopra descritti, che chiarificano questo importante processo, si deduce con quale significato debba essere inteso e praticato questo apostolico « vedere Pietro ».

Anzitutto, la Visita assume un significato sacrale, nella visita e nella preghiera dei Vescovi ai sepolcri dei Santi Pietro e Paolo, pastori e colonne della Chiesa Romana.

La Visita ha poi un significato personale, poiché ciascun Vescovo incontra personalmente il Papa.

Infine, vi è un significato « curiale », cioè comunitario in quanto i Vescovi hanno colloqui anche con i responsabili dei Dicasteri, dei Consigli ed Uffici della Curia Romana: e questa costituisce una « comunità » più strettamente legata al Papa sul terreno del « ministero Petrino », rivolto alla sollecitudine per tutte le Chiese.6

La visita fatta ai Dicasteri da parte dei Vescovi, che compiono la Visita « ad limina », ha un duplice scopo:

-  da una parte si dà accesso ai rispettivi organismi della Curia Romana, ed a quei problemi dei quali questi direttamente si occupano conforme alle loro competenze e secondo le loro speciali capacità;

-  d'altra parte i Vescovi, dall'ambito di tutto il mondo, ove si trova ciascuna Chiesa particolare, vengono introdotti ai problemi della comune sollecitudine pastorale della Chiesa universale.

Tenendo presente questa speciale angolatura, la Congregazione per i Vescovi, d'intesa con le Congregazioni direttamente interessate al problema, sta elaborando un « Direttorio » di prossima pubblicazione, per l'opportuna preparazione, remota e prossima, delle Visite « ad limina ».

7. Ogni Vescovo - in forza della natura del proprio « ministero » - è chiamato e invitato alla Visita delle « soglie degli Apostoli ».

Prendendo in considerazione il fatto che i Vescovi, nell'ambito dei rispettivi territori (Paesi oppure regioni), si sono uniti per formare una Conferenza Episcopale - unione collegiale che si fonda su amplissime e valide ragioni7 - è particolarmente conveniente che le Visite « ad limina » si svolgano conforme a questa stessa chiave collegiale, con un significato ecclesiale molto chiaro.

I rispettivi organi della Sede Apostolica, e specialmente le Nunziature e le Delegazioni Apostoliche, sono ben disposte alla collaborazione per accordare e organizzare tali Visite.

Sintetizzando quanto è stato finora sottolineato, l'istituto delle Visite  « ad limina », di grande importanza per la sua antichità e per il chiaro significato ecclesiale, è strumento di grandissima utilità ed espressione concreta della cattolicità della Chiesa, dell'unità del Collegio dei Vescovi, fondata sul Successore di Pietro e significata dal luogo del martirio dei Principi degli Apostoli: e perciò non se ne può ignorare il valore teologico, pastorale, sociale e religioso.

Tale istituzione dev'essere pertanto conosciuta ed avvalorata in ogni modo, specialmente in questo momento della storia della salvezza, nel quale i contenuti e il magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II risplendono di sempre maggior luce.

 (1) Gal. 1, 18.

(2) Ibid. 2, 2.

(3) Lumen Gentium, 1.

(4) Lumen Gentium, 13.

(5) Ibid. 20.

(6) Cfr. 2 Cor. 11, 28.

(7) Cfr. Lumen Gentium, 23. 

 

II
ADNEXUM

I COLLABORATORI DELLA SEDE APOSTOLICA
COME COSTITUENTI UNA COMUNITÀ DI LAVORO,
DI CUI AGLI ARTICOLI 33-36

1. La caratteristica saliente, che ha improntato la revisione della Costituzione Apostolica « Regimini Ecclesiae Universae » per adeguarla alle esigenze emerse negli anni seguenti alla sua promulgazione, è stata il mettere nel giusto rilievo la fisionomia pastorale della Curia Romana, e l'indole specifica vista in questa luce, delle attività che gravitano intorno alla Sede Apostolica per fornirle gli strumenti atti all'esercizio della missione del Papa, voluta da Cristo Signore.

Il servizio, infatti, che il Sommo Pontefice offre alla Chiesa è quello di « confermare nella fede i fratelli »,8 Pastori e fedeli della Chiesa universale, al fine che sia nutrita e salvaguardata la comunione ecclesiale, nella quale « sono legittimamente presenti le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità.9 Tutela le varietà legittime, e insieme vigila affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto serva ad essa.10

2. A tale servizio Petrino, che si irraggia a tutto il mondo con un'azione costante che esige l'apporto di uomini e di mezzi in tutta la Chiesa, collaborano in modo diretto, e si può dire anche privilegiato, tutti coloro che, in vari incarichi, operano nella Curia Romana, come nei diversi organi che compongono la struttura organizzativa della Sede Apostolica: sia nell'ordine episcopale come sacerdotale, sia come membri di Famiglie Religiose e di Istituti Secolari maschili e femminili, sia come fedeli del laicato cattolico, uomini e donne, chiamati a questi incarichi.

Deriva pertanto da questa composizione una fisionomia essenziale ed una complessità di compiti, che non trovano riscontro in nessun altro ambito della società civile, con la quale, per la stessa propria natura, la Curia Romana non può essere comparata: e ciò costituisce la ragione fondamentale di quella Comunità di lavoro di tutti coloro che, nutriti di una medesima fede e carità, come « un solo cuore e un'anima sola »,11 compongono le menzionate strutture di collaborazione. Collaborando a qualunque titolo e in qualsiasi forma con il Papa, garante principale della comunione ecclesiale, quanti coadiuvano la sua missione universale, sono chiamati a costituire anch'essi una comunione di intenzioni e di propositi, di principi e di norme, alla quale meglio di ogni altra si adatta il titolo di Comunità.

3. La « Lettera del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II circa il significato del lavoro prestato alla Sede Apostolica », del 20 novembre 1982, si è soffermata sulle caratteristiche di questa Comunità di lavoro. Ne ha rilevato l'unitarietà pur nella diversità dei compiti, che affratella quanti in tal modo « partecipano realmente all'unica ed incessante attività della Sede Apostolica »,12 deducendo da questo fatto la necessità di avere « la consapevolezza di tale specifico carattere delle loro mansioni: consapevolezza che è sempre stata tradizione e vanto di chi ha voluto dedicarsi al nobile servizio ».13 Ed il documento ha aggiunto: Questa considerazione tocca sia gli ecclesiastici e i religiosi che i laici; sia coloro che occupano posti di alta responsabilità che gli impiegati e gli addetti a lavori manuali, cui sono assegnate funzioni ausiliarie ».14

La Lettera ha richiamato poi la natura specifica della Santa Sede, che, pur costituendo uno Stato sovrano al fine di garantire l'esercizio della libertà spirituale e « l'indipendenza reale e visibile »15 della Santa Sede medesima, è uno Stato « atipico »,16 che la diversifica da ogni altro; e ha delineato le conseguenze pratiche di questa situazione sul piano economico: in special modo l'assenza totale sia di contributi economici derivanti dai diritti propri degli altri Stati, sia di attività economica produttiva di beni e di rendite: talché « la base primaria per il sostentamento della Sede Apostolica è rappresentata dalle offerte spontaneamente elargite »,17 in una solidarietà universale, proveniente da tutta la cattolicità e anche da fuori di essa, che mirabilmente esprime quella comunione di carità, a cui la Sede Apostolica presiede nel mondo, e di cui essa stessa vive. Da un tale stato di cose scaturiscono alcune conseguenze sul piano pratico e nel quotidiano comportamento di chi collabora con la Santa Sede: « lo spirito di parsimonia », la « disponibilità a tener sempre conto delle reali, limitate possibilità finanziarie della medesima Santa Sede e della loro provenienza »,18 la « profonda fiducia nella Provvidenza »: e tutto ciò deve unirsi alla convinzione, per i dipendenti, « che il loro lavoro comporta innanzitutto una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede e che gli aspetti giuridico-amministrativi del rapporto con la medesima Sede Apostolica si collocano in una luce particolare ».19

4. La retribuzione del lavoro prestato, spettante ai dipendenti sia ecclesiastici che laici della Santa Sede secondo le loro specifiche condizioni di vita, è regolata dalle norme fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, sulle quali il Magistero pontificio, a partire dall'Enciclica « Rerum Novarum » di Leone XIII, fino alle Encicliche « Laborem Exercens » e « Sollicitudo Rei Socialis » di Giovanni Paolo II, si è espresso nel modo più completo.

La Santa Sede, pur nell'accennata scarsità dei mezzi economici a sua disposizione, cerca in ogni modo di adempiere la sua grave responsabilità nei riguardi dei propri collaboratori - anche favorendo alcune facilitazioni di ordine pratico nella caratteristica, sopra indicata dalla Lettera del Santo Padre, di quella « atipicità » sua propria, che la priva di comuni possibilità di proventi economici che non siano quelli donati dalla carità universale. La Santa Sede è tuttavia ben consapevole - e la menzionata Lettera vi fa chiaro accenno - che una attiva collaborazione di tutti, con particolare riguardo ai dipendenti laici, sia necessaria perché vengano sempre tutelati i principi e le norme, i diritti e i doveri originati dalla retta applicazione della « giustizia sociale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro ».20 In tale prospettiva, la Lettera ha ricordato l'azione che, a tale scopo, possono offrire le Associazioni di prestatori d'opera, come l'« Associazione Dipendenti Laici Vaticani », allora recentemente costituita nel quadro di un fruttuoso dialogo tra le diverse istanze al fine di promuovere lo spirito di sollecitudine e di giustizia. Peraltro, la stessa Lettera ha posto in guardia dal pericolo che tali organismi possano travisare lo spirito fondamentale che deve ispirare la Comunità di lavoro prestato alla Sede di Pietro, dicendo: « Non risponde alla dottrina sociale della Chiesa lo slittamento di questo tipo di organizzazione sul terreno della conflittualità a oltranza o della lotta di classe; né esse debbono avere impronta politica o servire, palesemente o occultamente, interessi di partito o di altre entità miranti a obiettivi di ben diversa natura ».21

5. Il Santo Padre ha espresso al tempo stesso la certezza che Associazioni, come quella menzionata, non avrebbero mancato di « tener presente in ogni caso il particolare carattere della Sede Apostolica nell'impostare i problemi concernenti il lavoro e nello sviluppare un dialogo costruttivo e continuo con gli organi competenti ».22

Poiché era particolarmente sentita dai dipendenti laici la necessità di regolare la fisionomia delle prestazioni d'opera e tutto l'insieme dei problemi del lavoro, il Santo Padre ha disposto che fossero preparati « gli opportuni documenti esecutivi, per assecondare, tramite convenienti norme e strutture, la promozione di una comunità di lavoro secondo i principi esposti ».23

A questa sollecitudine del Supremo Pastore corrisponde ora l'istituzione dell'« Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica » (ULSA), che viene promulgata con apposito « Motu Proprio » unitamente al documento che ne descrive e specifica la composizione, la competenza, i compiti, gli organi direttivi e il retto, efficace e spedito funzionamento di tale Ufficio, che, essendo di nuova creazione, necessita di un determinato periodo di attività « ad experimentum » per collaudarne l'effettiva incidenza. Il menzionato « Motu Proprio », ed il regolamento del nuovo Ufficio del lavoro sono pubblicati contemporaneamente alla promulgazione della Costituzione Apostolica per il rinnovamento della Curia Romana.

6. Lo scopo principale e predominante di questo Ufficio - al di là delle finalità pratiche per le quali è stato voluto - è soprattutto quello di promuovere e garantire all'interno delle varie componenti dei collaboratori della Sede Apostolica, specialmente laici, quella Comunità di lavoro delle cui caratteristiche devono distinguersi quanti sono chiamati all'onore e alla responsabilità di servire il ministero di Pietro.

È da sottolineare ancora una volta che tali collaboratori debbono nutrire e coltivare in se stessi una particolare coscienza ecclesiale, che li abiliti sempre più all'adempimento del loro incarico, qualunque sia: incarico che non è semplicemente un rapporto di « dare e avere » come con gli enti esistenti nella società civile, ma un servizio prestato a Cristo, « venuto non per essere servito, ma per servire ».24

Pertanto, tutti i dipendenti, ecclesiastici e laici, debbono proporsi come titolo di onore, e con senso di sincera responsabilità davanti a Dio ed a se stessi, di vivere in modo esemplare la propria vita di sacerdoti e di laici, com'è proposta dai comandamenti divini, dalle leggi ecclesiali, e dai documenti del Concilio Vaticano II - in particolar modo « Lumen Gentium » « Presbyterorum Ordinis » e « Apostolicam Actuositatem ». Questa, peraltro, è una libera decisione, che permette di accettare in piena consapevolezza responsabilità, che hanno un riflesso non solo nell'ambito personale dei singoli, ma anche in quello delle rispettive famiglie, e nello stesso clima della Comunità di lavoro, composta dai dipendenti della Santa Sede.

« Dobbiamo cercare di sapere "di quale spirito siamo" 25», conclude la Lettera del Santo Padre: e la ricerca della propria autenticità umana e cristiana deve indurre, ciascuno e tutti, a mantenere fedelmente quegli impegni liberamente assunti nel momento in cui sono stati chiamati a collaborare con la Santa Sede.

7. Affinché siano tenuti presenti i principi, che il Santo Padre ha tratteggiato nella menzionata Lettera circa il significato del lavoro prestato alla Sede Apostolica, indirizzata al Cardinale Segretario di Stato - scritto che deve costituire la base ed il riferimento per ogni rapporto di collaborazione e di intesa all'interno della comunità di lavoro che coopera con la Sede Apostolica - essa si pubblica, qui di seguito, nel testo integrale. 


(8) Cfr. Luc. 22, 32.

(9) Cfr. S. IGNATII ANTIOCHENI Epist. ad Romanos, Praef.: ed. FUNK, I, p. 252.

(10) Lumen Gentium, 13.

(11) Act. 4, 32.

(12) IOANNIS PAULI PP.II Epistula de laboris significatione qui Apostolicae Sedi praebetur, ad Cardinalem Augustinum Casaroli Secretarium Status missa, 1, die 20 nov. 1982: vide infra, p. 2410.

(13) IOANNIS PAULI PP. II Epistula de laboris significatione qui Apostolicae Sedi praebetur, ad Cardinalem Augustinum Casaroli Secretarium Status missa, 1, die 20 nov. 1982: vide infra, p. 2410.

(14) Ibid.

(15) Cfr. ibid. 2, p. 2411.

(16) Ibid.

(17) Ibid.

(18) Cfr. ibid. 3, p. 2412.

(19) Ibid. 5, p. 2414.

(20) IOANNIS PAULI PP. II Epistula de laboris significatione qui Apostolicae Sedi praebetur, ad Cardinalem Augustinum Casaroli Secretarium Status missa, 1, die 20 nov. 1982: vide infra, p. 2413.

(21) Ibid., pp. 2413-2414.

(22) Ibid., p. 2414.

(23) Cfr. ibid.

(24) Matth. 20, 28.

(25) Cfr. Luc. 9, 55.



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