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SANTA MESSA PER I SEMINARISTI DELLA TOSCANA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

26 gennaio 1982

 

1. “Grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro” (2Tm 1,2).

Con questo augurio dell’Apostolo mi rivolgo a voi, carissimi seminaristi della Toscana, che ho la gioia di vedere stretti intorno a me, stamani, per la celebrazione di questa Eucaristia, nel giorno in cui la Liturgia ci propone la memoria dei santi Timoteo e Tito, discepoli di Paolo e coraggiosi testimoni di Cristo nella Chiesa dei primissimi tempi.

È un saluto e un augurio che estendo con speciale pensiero al Cardinale Benelli, ai Rettori, ai Professori ed agli altri Superiori dei vostri Seminari, come anche ai Vescovi ed alle comunità diocesane, da cui provenite. Posso dire anch’io con san Paolo che “sempre mi ricordo di voi nelle mie preghiere, notte e giorno” (cf. 2Tm 1,3) perché, se v’è un aspetto della vita ecclesiale che sta a cuore al Papa, è certamente quello delle vocazioni. Ogni giorno io pongo davanti al Signore l’urgente necessità che ha la Chiesa del nostro tempo di trovare giovani generosi, disposti ad assumersi il compito esaltante, anche se costoso ed impegnativo, di annunciare il Vangelo alla generazione che vedrà concludersi il secondo millennio dell’era cristiana. Voi, cari seminaristi, siete la speranza della Chiesa.

Ogni giorno ho pregato e prego per voi. Valgono perciò, in un modo del tutto concreto, anche per me le parole con cui san Paolo continua la sua lettera asserendo di provare la nostalgia di rivedere il suo discepolo (cf. 2Tm 1,4). Sì, anch’io sentivo il desiderio di vedere voi, carissimi, “per essere pieno di gioia” (2Tm 1,4). Questo desiderio stamani s’è compiuto ed io ne ringrazio di cuore il Signore.

2. Voi siete venuti dal Papa per udire una parola di incoraggiamento e di guida, che vi stimoli a prepararvi con impegno, se Cristo vi chiama, a ricevere il “dono di Dio”, che un giorno sarà in voi “per l’imposizione delle mani” del vostro Vescovo (cf. 2Tm 1,6). Ebbene, quali esortazioni potrei io rivolgervi più adatte di quelle che la Liturgia odierna suggerisce?

Ripeterò, dunque, innanzitutto con san Paolo: “non vergognatevi della testimonianza da rendere al Signore nostro” (2Tm 1,8). “Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore, di saggezza” (2Tm 1,7). Siamo circondati da un ambiente che spesso ostenta indifferentismo religioso ed anche aperta insofferenza per ogni richiamo ai superiori valori del Vangelo. La secolarizzazione ha largamente influenzato la mentalità corrente, trasformandosi in non poche coscienze in dichiarato secolarismo.

Non è il caso di nascondersi le difficoltà che un simile “clima” culturale oppone all’azione evangelizzatrice del ministro di Dio. Può succedere che la previsione di tali ostacoli freni lo slancio di un cuore attratto dalla chiamata del Signore e lo distolga dall’avventurarsi in una missione, che gli appare superiore alle sue forze. San Paolo esorta a non cedere ad una simile tentazione, ma ad avere il coraggio di farsi avanti e di “soffrire per il Vangelo”, fidando non nelle proprie capacità, ma nella “forza di Dio” (cf. 2Tm 1,8). Rientra, infatti, nella “tattica” da lui preferita “salvare i credenti con la stoltezza della predicazione”, perché “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,21.25).

Del resto, non raramente accade di scoprire, dietro l’atteggiamento disinvolto e persino spavaldo di quanti asseriscono di non credere, una profonda e spesso sofferta insicurezza, derivante dal persistere di interrogativi di fondo ancora irrisolti. L’uomo contemporaneo, infatti, conosce molte cose circa le strutture e i meccanismi che condizionano i processi della sua vita e della sua attività.

Ha spinto il proprio occhio indagatore entro i segreti più reconditi del micro e del macrocosmo. E tuttavia egli ignora spesso la risposta agli interrogativi supremi concernenti il senso ultimo delle cose e della stessa esistenza. Rimane per se stesso e per gli altri un incomprensibile enigma.

La fede soltanto possiede la risposta pienamente appagante, capace di acquietare l’assillo dell’intelligenza e di recare conforto al bisogno di certezza che tormenta lo spirito di ogni persona pensosa del proprio destino. Di questa risposta voi siete chiamati ad essere i messaggeri ed i testimoni di un mondo che vi attende, pur non conoscendovi ancora.

3. Sì, nei disegni misteriosi della Provvidenza già sono previsti gli incontri apostolici a cui vi condurrà il vostro ministero di domani, se saprete corrispondere generosamente, oggi, alla chiamata del Signore. Sono ragazzi, sono giovani, sono uomini e donne, che mediante la vostra testimonianza potranno incontrare Cristo e in lui trovare la ragione per lottare e per donarsi, la ragione per vivere e per morire.

Volete conoscere il segreto di un ministero pastorale fruttuoso, capace di vincere le diffidenze e di conquistare il cuore anche di chi è prevenuto ed ostile? Ve lo suggerisce Gesù stesso nel brano evangelico or ora ascoltato. “Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve” (Lc 22,26).

L’umiltà: ecco il segreto per farsi strada nei cuori! Noi non siamo i padroni né della Parola che annunciamo, né delle persone a cui la annunciamo. Siamo piuttosto i servi dell’una e delle altre, impegnati dalla grazia di Dio a farci “tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22).

Vivere questa consapevolezza traendone le conseguenze per quanto concerne il comportamento quotidiano, significa fare spazio nella propria esistenza allo Spirito di Cristo ed assicurare altresì alla propria azione le migliori possibilità di incidenza sull’animo della gente.

“Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo”. La parola di Gesù è un invito ed una consegna.

Diventare “piccoli”, è la strada regale per “comprendere” Cristo e per raggiungere, in lui, il cuore dei fratelli, che incontrerete domani sulla strada del vostro ministero, a cui vi state preparando.


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