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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN PORTOGALLO
(12-15 MAGGIO 1982)

SANTA MESSA PER GLI AGRICOLTORI

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Vila Viçosa
Venerdì, 14 maggio 1982


Amato fratello, Monsignor Maurilio de Gouveia, Arcivescovo di Évora,
amati fratelli nell’Episcopato,
eccellentissime Autorità,
carissimi fratelli e sorelle presenti e
cari agricoltori e lavoratori di queste terre portoghesi.

1. “Andate anche voi alla mia vigna ed avrete il salario giusto” (Mt 20,4).

In questo ed altri brani evangelici Gesù si esprime per mezzo di parabole, il cui contenuto è preso dal mondo che gli è intorno. In esse il Maestro Divino si riferisce, molte volte, al lavoro dei campi.

Così avviene, nel testo della celebrazione della Parola di oggi, con la parabola dei lavoratori della vigna. Cristo, per mezzo di esempi colti dal mondo creato e di fatti conosciuti dai suoi ascoltatori, li introduce nella realtà soprasensibile ed indivisibile del Regno di Dio. In verità, era così che lui faceva comprendere agli uomini il suo regno spirituale.

L’uomo che lavora onestamente, come essere libero ed intelligente, continua l’opera della creazione, realizzando la comunione con Dio; diventando partecipe della Redenzione fino ad arrivare alla graduale e piena partecipazione alla Vita divina. È in questa prospettiva che mediteremo la parabola, cari figli del Portogallo e specialmente delle regioni del Ribatejo, Alentejo e Algarve, ed anche con voi cari nomadi e pellegrini venuti da altre terre portoghesi o dalla vicina Spagna. Ringrazio il signor Arcivescovo di Évora, per le sue amabili parole di saluto e, ugualmente, il giovane lavoratore che si è fatto interprete dei sentimenti dei suoi compagni.

Anch’io vi saluto e voglio dirvi, a tutti voi che vivete nel duro lavoro di coltivare la terra: la mia presenza qui, ed anche quella del signor Arcivescovo di Évora e di altri Vescovi del Portogallo e della Spagna, è segno concreto che la Chiesa comprende e riconosce le vostre legittime aspirazioni di giustizia, progresso e pace nell’impegno della vostra professione. La Chiesa, il Papa, i Vescovi del Portogallo sono con voi per aiutarvi a vincere incomprensioni ed ingiustizie, per dare la mano ai più poveri e sfavoriti, dentro la sfera della sua missione, perché tutti possano progredire e partecipare con serenità agli alti valori umani e cristiani di un lavoro degno e produttivo. Qui, nel Santuario di nostra Signora della Concezione di Vila Vicosa, sotto lo sguardo della “Regina” del Portogallo, coronata da Dom João Quarto, facciamo la nostra riflessione, chiedendo allo Spirito Santo, Spirito di verità e di amore, che ci illumini ed assista.

2. La parabola dei lavoratori della vigna, che è stata appena letta, include due importanti verità di ordine soprannaturale. La prima è che la giustizia del Regno di Dio si realizza anche mediante l’opera dell’uomo, attraverso “il suo lavoro nella vigna del Signore”. Ciascuno è invitato da lui, per “costruire” il mondo nei vari modi, momenti ed aspetti della vita umana e terrestre. La seconda verità è che il dono del Regno di Dio, offerto all’umanità, sta sopra ogni e qualunque misura che gli uomini di solito usano per valutare la relazione tra lavoro e salario. Questo dono trascende l’uomo.

Essendo soprannaturale, non si può misurare con criteri puramente umani.

Il testo evangelico dei lavoratori della vigna e gli altri dell’odierna celebrazione, c’invitano ad una riflessione sul Lavoro dell’uomo, specialmente sul lavoro della terra, nella prospettiva dell’ordine e della giustizia che dovrebbero regnare nella società.

La Chiesa, come ben sapete, ha dedicato molta attenzione a questi problemi della chiamata “Questione sociale”, soprattutto nell’ultimo secolo. Nonostante la sua primordiale attenzione sia andata all’industria e al lavoro industriale, anche il lavoro dell’uomo che coltiva la terra ha costituito parte esplicita ed importante dell’insegnamento della Chiesa, fin dal tempo dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Così Pio XI denunciava l’influenza negativa del capitalismo industriale sull’agricoltura, deplorando la situazione di tanti contadini, “ridotti ad una condizione di vita inferiore, privati della speranza di raggiungere qualsiasi porzione di terra e, per conseguenza, soggetti per sempre alla condizione di proletari, se non si utilizzano rimedi opportuni ed efficaci” (Pio XI, Quadragesimo Anno, III, 59).

Ma fu soprattutto il Papa Giovanni XXIII, discendente da una famiglia di campagna, che dedicò speciale attenzione ai problemi della vita agricola, rivendicando per l’agricoltura il posto che le compete. Nella Mater et Magistra egli raccomanda non solo di superare lo squilibrio esistente tra i vari settori di ogni Paese, ma tratta anche del problema in una prospettiva mondiale, mettendo in evidenza la necessità di nuovi equilibri e della cooperazione solidaria dei Paesi ricchi e prevalentemente industrializzati con i poveri, in via di sviluppo e con un’economia agricola in ritardo.

Nei nostri tempi di accentuate tensioni economiche e sociali, prevale la visione unilaterale del progresso, rivolta prevalentemente all’industrializzazione. Ma è consolante vedere anche che si sta ponendo in evidenza la necessità di restituire all’agricoltura il posto che le compete nell’ambito dello sviluppo di ogni nazione e del progresso internazionale. Proprio recentemente i vostri Vescovi, alla luce dell’enciclica Laborem Exercens, mostravano la necessità di “attaccare con decisione le croniche infermità dell’agricoltura in Portogallo, nella linea del riconoscimento della dignità e dei diritti degli uomini, delle donne e delle famiglie dei campi”. Osservavano molto bene loro “che non basta proclamare diritti”, ma è urgente “creare le condizioni economiche, sociali e culturali, affinché sia possibile soddisfare a questi diritti, e così gli agricoltori, specialmente i giovani, si sentano veramente stimolati a fissarsi alla terra e al lavoro agricolo”. È una sfida per tutti e alla quale “gli stessi lavoratori rurali non possono lasciare di rispondere, aprendosi a nuove forme di associazione e cooperazione tra di loro e ad opportune iniziative di modernizzazione di tecniche e di cultura”.

3. Per la nostra visione dei problemi del lavoro dei campi perché sia quello che dev’essere, dobbiamo fissare il pensiero – in continuità con la tradizione della dottrina sociale della Chiesa – sulla dignità e posizione dell’uomo in questo mondo. In verità è l’uomo che realizza il lavoro ed è per causa degli uomini che tutto il lavoro umano dev’essere fondato nella giustizia, ispirata e valorizzata dal reale ed effettivo amore al prossimo.

Attraverso il Salmo 8, recitato poco fa, possiamo comprendere cos’è l’Uomo nel pensiero di Dio e nell’ordine della creazione. Nella presenza del Signore, il Salmista fa a se stesso questa domanda: “Cos’è l’uomo?”. In certo modo, la domanda è fatta allo stesso Dio: “Quando contemplo i cieli, opera delle tue mani, / la luna e le stelle che tu hai fissate, / cos’è l’uomo, che ti ricordi di lui, / il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,4s).

Queste parole parlano della piccolezza dell’uomo, in confronto con le grandi opere della creazione.

Allo stesso tempo proclamano la sua incomparabile dignità. Difatti, nonostante la piccolezza dell’uomo, Dio “si ricorda di lui e se ne cura”. La dignità umana eccelle ancor più con le frasi che il salmista aggiunge: “Gli hai dato il dominio sulle opere delle tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8,7).

Nell’enciclica Laborem Exercens io ho voluto esaltare la figura preminente dell’“uomo che lavora”.

Questa è la “chiave essenziale” per l’interpretazione e la soluzione dei problemi sociali. Con la parola “Lavoro” indico tutta l’attività umana, a partire dalla più modesta e di esecuzione umile, fino alla più elevata. Anche al lavoro della terra si devono applicare i criteri o principi generali esposti in quell’enciclica, nella quale dedico alcune pagine “alla dignità del lavoro agricolo” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 21).

4. Carissimi lavoratori rurali, uomini e donne, giovani ed anziani: Anche a voi il Signore della vigna si dirige nel Vangelo con l’invito: “Va anche tu alla mia vigna e io ti darò il salario giusto”. Anche se concisa, questa frase ci porta allo studio di vari problemi, la cui soluzione può essere ottenuta solo mediante l’applicazione dei fondamentali principi etici, di valore universale, in cui si basa il reale progresso della società. Applicandoli bisogna dare importanza alle situazioni particolari, ai diversi modi e gradi di sviluppo di ogni zona umana. In una parola, è necessario guardare alle esigenze della giustizia e attribuire il primato morale a ciò che deriva dalla verità totale sull’uomo.

Il mondo contemporaneo, nonostante l’enorme progresso scientifico e della tecnica, vive sotto il terrore di una grande catastrofe, che potrà capovolgere i suoi grandi successi, se la guerra prevarrà sulla pace. Per questo, le spese per gli armamenti dovrebbero essere ridotte, per garantire a tutti i paesi un minimo di condizioni necessarie allo sviluppo globale, specialmente per quello che si riferisce al settore agricolo ed alimentare. Lo stato di povertà assoluta di certi gruppi umani di molti Paesi, con economia arretrata, offende la dignità di milioni di persone costrette a vivere in condizioni di degradante miseria. È perciò urgente dare ai lavoratori dei campi la possibilità di realizzare concretamente i diritti umani fondamentali.

5. Nella prima lettura biblica, tratta dal libro di Amos, si parla di edificare dalle rovine, cioè di “ricostruzione”. Se è difficile costruire, costa ancora di più, dopo certe fasi di declino, incontrare nuove forme di equilibrio e di rinnovamento, per superare concetti o processi antiquati e produrre più e meglio.

Dentro una strategia nazionale di sviluppo, adattata alle concrete condizioni di capacità e di cultura proprie, lo sviluppo armonico e progressivo dell’agricoltura ha bisogno di essere inquadrato in un programma globale dei diversi settori dell’economia nazionale, che tenga in considerazione gli obiettivi umani fondamentali; cioè, non appena l’effettivo aumento della produzione, ma anche un’equa distribuzione del prodotto del lavoro. Con tale inquadramento in un programma globale, si deve badare a garantire l’esistenza di infrastrutture adeguate, di opportune condizioni di credito, di mezzi moderni e sufficienti di trasporto e di lavoro, col rispettivo commercio interno ed esterno dei prodotti agricoli, all’interno di uno spirito creativo e di sana competizione.

6. “Vi darò quello che è giusto”, dice il padrone della parabola evangelica. Sono parole di importanza capitale, perché si riferiscono alla grave problematica del salario giusto e dei diritti umani e della dignità del lavoratore dei campi (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 16-23). In questo punto occorre riconoscere il posto privilegiato di chi lavora la terra, sia che si tratti di agricoltori proprietari o di semplici lavoratori non proprietari. Le grandi imprese devono utilizzare la terra, facendola produrre sempre di più, con l’opportuna partecipazione dei lavoratori, e subordinando il rendimento e l’utilità proprie al diritto del giusto salario di quanti contribuiscono per la produzione, senza perdere di vista la funzione sociale della proprietà.

Per questo, sono da apprezzare le iniziative e azioni congiunte di grandi associazioni di agricoltori e lavoratori, senza trascurare il valore economico delle imprese agricole di gruppi più ridotti, di famiglie e perfino di singoli, con possibilità di sfruttamento vantaggioso della proprietà. Sarebbe ottimo se i contadini potessero lavorare in terra propria, creando imprese agrarie veramente funzionali.

7. Carissimi agricoltori e lavoratori rurali; con spirito di collaborazione, voi dovete essere gli artefici del progresso dell’agricoltura, come elemento importante dello sviluppo economico e sociale della vostra patria. Cercate, dunque, di sviluppare lo spirito di iniziativa, promuovendo l’inserzione di giovani qualificati nelle imprese agricole. Permettete che vi ricordi: i principi espressi nella Laborem Exercens sull’uomo che lavora, in particolare sul lavoratore del campo, si applicano anche alla donna che lavora la terra.

Però, come ben sapete, il desiderato progresso agricolo non può esserci senza sufficiente istruzione e formazione professionale, che segua la modernizzazione dei metodi e mezzi dell’attività agricola.

Per questo non possiamo lasciare di raccomandare lo sforzo di quanti in Portogallo lavorano in questo senso.

Ricordano però i vostri Vescovi, nel citato documento, che “la riforma agraria non può essere un modo strumentale per ottenere interessi faziosi, perché tocca la vita degli uomini dell’agricoltura in tale dimensione e profondità che è criminoso fare di essa uno strumento di parte. La riforma agraria deve essere la riforma dell’agricoltura in Portogallo, nel senso di personalizzare il lavoro agricolo. È importante far notare, in questo punto, il dovere che tutti attuino con metodi che rispettino la libertà, l’autonomia e la partecipazione responsabile dei contadini e di tutti i cittadini, nel fomento della giustizia sociale”.

8. Ritorniamo, carissimi lavoratori del campo, ancora una volta alla parabola evangelica. Essa ci insegna che l’uomo non solo vive nel mondo, nella società, in uno stato o nazione, ma è pure chiamato, allo stesso tempo, al Regno di Dio, di cui parla l’immagine della vigna. Il lavoro umano della terra (e per la terra) e la costruzione del Regno di Dio si incontrano e si uniscono tra di loro. Il Regno di Dio non può essere valutato dalle dimensioni di ordine sociale e terreno. La sua edificazione avviene non solo per il merito, ma anche per la grazia, e soprattutto per la grazia, la quale fa diventare possibile ogni e qualunque merito. Come frutto della grazia e del merito, il Regno di Dio non è un premio corrispondente al merito, come sarebbe il salario in ordine al lavoro prestato, ma è, prima di tutto, un dono soprannaturale: un Dono che è sopra ogni merito.

Tutti noi siamo cittadini della patria celeste. Il nostro lavoro è di straordinaria importanza per la consecuzione del bene comune. Ma noi siamo pure cittadini del Regno di Dio, che non è di questo mondo e che arriva a noi come dono divino e come vocazione cristiana.

Il Signore ci invita a rispondere a questa vocazione e ad unirci a lui, attraverso la preghiera che significa il nostro lavoro di cristiani. “Ora et labora” – prega e lavora – è un principio antico dato da san Benedetto ai suoi monaci. Unire il lavoro alla preghiera e facendo del lavoro preghiera, vi darà coraggio, costanza e serenità per vincere difficoltà ed incomprensioni, farà più gioioso il vostro lavoro, con le migliori incidenze nel vostro essere cristiani, nella costruzione di una società migliore e più felice.

Mi piace rievocare qui la figura tradizionale e cristiana del lavoratore rurale di queste terre portoghesi, che, da quello che mi hanno raccontato, al suono dell’Ave-Maria o delle “Trinità” e, già a casa, al suono delle “Anime”, nel campanile delle Chiese, sospende, per un momento, la sua attività per elevare il pensiero all’Alto, pregando a Dio, donatore di tutti i beni.

9. “O Signore nostro Dio, com’è grande il tuo nome in tutta la terra”! Qui, in questo Santuario della Vergine Immacolata, oggi il Vescovo di Roma, e successore di san Pietro, eleva a te le mani, il pensiero ed il cuore, insieme con tutti i figli e figlie della Nazione portoghese in unione soprattutto con quelli che coltivano la terra col lavoro delle loro mani e col sudore del loro volto. All’unisono con loro, o Padre di bontà e Signore di tutto l’universo, imploro la tua benedizione sul loro duro lavoro. Benedici, Signore, i loro campi e le loro fatiche! Scenda copiosa la tua benedizione sulle loro famiglie e su tutte le loro comunità! Benedici, Signore, la loro Patria, il Portogallo!

Creatore dell’Universo, è frutto del lavoro di questa gente il pane e il vino che ogni giorno offriamo nel Sacrificio eucaristico, perché si trasformino nel Corpo e Sangue del tuo Figlio Gesù Cristo. È un lavoro che serve per l’Eucaristia!

Che queste terre, tutti i campi del Portogallo, dal Minho a Tràs-os Montes all’Algarve, siano sempre favoriti da raccolti abbondanti. Che la grazia del tuo Regno inondi i cuori di tutti i suoi abitanti!

Nel tuo Regno di giustizia, di pace e di amore, concedi, Signore, il premio eterno a tutti loro. Tu sei questo premio, allo stesso tempo il vincolo sacro per unirli nell’amore e nella pace, che non avranno mai fine.



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