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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Paolo fuori le Mura
Domenica, 23
ottobre 1983

 

1. “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11, 25).

Queste parole pronunciate da Cristo nel massimo trasporto dello spirito, desideriamo ripeterle oggi, nel giorno in cui tutta la Chiesa celebra la Giornata missionaria. Desideriamo “benedire” il Padre per la rivelazione dei misteri divini, per il disegno divino della salvezza dell’uomo e del mondo: “cose che ha rivelate ai piccoli”. Desideriamo “benedire” il Padre, ringraziandolo per la fede mediante la quale la rivelazione e il disegno divino della salvezza si innestano nelle anime umane. Desideriamo in modo particolare ringraziare perché la fede diventa, per molti, la consapevolezza di una missione e di una vocazione simile a quella degli Apostoli. E infatti loro hanno costituito la prima comunità di quei “piccoli” ai quali il Padre, Signore del cielo e della terra, ha rivelato le cose “nascoste ai sapienti e agli intelligenti”.

Nella giornata odierna visitiamo la Basilica romana di San Paolo fuori le Mura, per celebrare proprio in essa la liturgia eucaristica della Giornata missionaria dell’Anno della Redenzione. Tra tutti gli Apostoli del Signore proprio Paolo di Tarso è stato colui che ha trasformato in una missione universale la rivelazione ricevuta davanti le mura di Damasco: l’ha trasformata in una grande opera missionaria, come scrive egli stesso nella lettera a Timoteo: “affinché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili” (2 Tm 4, 17).

In questa opera missionaria paolina è iscritto, in modo particolarmente profondo, il mistero della Redenzione. Mediante le sue opere e i suoi scritti egli è diventato il primo artefice del programma missionario della Chiesa. Attingendo a queste opere e scritti - le lettere paoline - scopriamo sempre di nuovo la verità profonda delle parole di Cristo, che nella potenza della sua Croce e della Risurrezione ha ordinato agli Apostoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 19).

La verità e la forza del mandato messianico nasce dalla profondità del mistero della Redenzione. L’opera missionaria di san Paolo ne dà una particolare testimonianza di carattere fondamentale e intramontabile. Ecco perché, nella Giornata missionaria del Giubileo dell’Anno Santo della Redenzione, ci riuniamo nella Basilica di San Paolo.

2. “Ho combattuto la buona battaglia” (2 Tm 4, 7), ci ha detto proprio Paolo nella seconda lettura. Come non avvertire in queste parole la santa fierezza per aver adempiuto il mandato missionario? Questo aspetto “battagliero” dell’azione missionaria va certamente bene inteso; non c’è dubbio tuttavia che esso debba farne parte essenziale. Una battaglia tutta spirituale, certo, ma pur sempre una battaglia, nella quale occorre lottare con abilità e coraggio, pronti al sacrificio, fino al conseguimento della vittoria. Quale vittoria? La liberazione delle anime, mediante il Sangue di Cristo.

L’opera del missionario non è una “battaglia” che si scaglia contro le persone per soggiogarle. Essa è piuttosto una battaglia per le persone, che ancora si trovano lontane dalla luce di Cristo, una battaglia quindi che ha il suo movente nell’amore verso chi è ancora prigioniero dell’errore, della miseria, del male. Ciò suppone, nel missionario, accanto ad un grande rispetto delle persone e del loro vero bene, l’energia, la prudenza e la carità necessarie per illuminarle e per aiutarle concretamente a raggiungere tale bene.

3. Allo stimolante esempio di Paolo, si aggiunge incalzante la voce dei poveri, dei poveri di valori nei nostri Paesi un tempo cristiani e dei poveri ancora ignari dell’annuncio evangelico; ad essi siamo debitori della Parola della Salvezza (Rm 1, 14), del Vangelo che è potenza di Dio per la Salvezza di chiunque crede (Rm 1, 16).

La parola divina dell’odierna liturgia ci dimostra l’opera missionaria della Chiesa come un compito particolarmente legato con lo spirito evangelico della povertà. “Il povero grida e il Signore lo ascolta” (Sal 34, 7a) proclama il ritornello del Salmo responsoriale. Perché “la preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata” (Sir 35, 17), come leggiamo nel libro del Siracide.

Ma i poveri gridano anche verso di noi; anche a noi giunge il loro grido. Dio li ascolta, ascoltiamoli pure noi! A loro appartiene la “Lieta Novella”. Noi l’abbiamo ricevuta; a loro dobbiamo trasmetterla, agli affamati di verità, di giustizia e di pace. Dobbiamo recare loro il vero significato della vita, dovunque essi si trovano. È dai “poveri” che occorre andare preferenzialmente, a coloro cioè che, per la loro umiltà e sete di perdono, sono disponibili a ricevere la Buona Novella, che è appunto annuncio di misericordia e di perdono.

4. E la migliore illustrazione di questa verità si trova nell’odierno Vangelo, cioè la parabola sul fariseo e sul pubblicano. La “povertà in spirito” è qui sinonimo dell’apertura interiore alla luce e all’azione di Dio, al dono della salvezza che viene all’anima dell’uomo nella potenza della Croce di Cristo per opera dello Spirito Santo. In seguito viene anche quella giustificazione davanti a Dio che ha trovato proprio il pubblicano dell’odierna parabola, e non il fariseo.

Ecco le più profonde radici della missione salvifica della Chiesa, dalle quali sgorga l’opera missionaria. Essa viene partecipata dalla “Chiesa dei poveri” dei quali il primo modello è la Madre di Cristo e la Regina degli Apostoli. Infatti in lei si è fatto “povero” l’eterno Figlio di Dio, “perché noi diventiamo ricchi per mezzo della sua povertà” (cf. 2 Cor 8, 9). L’opera missionaria della Chiesa attinge sempre a questa povertà del Figlio di Dio, Figlio di Maria, che infinitamente l’arricchisce. Essa trasmette sempre agli uomini e ai popoli questa povertà che universalmente arricchisce, povertà che il Padre, Signore del cielo e della terra, “rivela” e trasmette ai “piccoli”.

5. E l’opera missionaria della Chiesa cerca sempre appoggio nella preghiera, che è il più forte tra tutti i “mezzi dei poveri” del Regno di Dio: “la preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata” (Sir 35, 17). Per tale motivo, da questa Basilica, custodita dai monaci benedettini, rivolgo un particolare appello agli Ordini maschili e femminili contemplativi, perché offrano agli uomini del nostro tempo, specialmente ai giovani, la loro esperienza di preghiera e di vita spirituale (cf. Mutuae Relationes, 25) e compiano ogni sforzo per fondare nuove comunità nelle giovani Chiese. Come san Gregorio Magno, con i monaci guidati da sant’Agostino in Inghilterra, iniziò quella campagna missionaria del monachesimo occidentale che, unitamente all’opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio, rese civile e cristiana l’Europa, così anch’io oggi, in sintonia con l’invito di Paolo VI, esorto i figli di san Benedetto ad incrementare la loro presenza in America Latina e in Africa, e ad assumersi un particolare impegno verso i paesi dell’Asia, le cui religioni, tanto sensibili al messaggio monastico, attendono dal monachesimo cristiano la luce della piena rivelazione!

6. San Paolo, nel fondare nuove comunità, impegnava tutte le categorie di persone: laici, sposi come Aquila e Priscilla, discepoli e apostoli. Un elenco di essi è presentato nell’ultimo capitolo della Lettera ai Romani.

Quella illustre schiera continua oggi con voi che ricevete il crocifisso per partire. Voi, sacerdoti, ricordate a tutti i presbiteri che a loro incombe la sollecitudine per tutte le Chiese (cf. Presbyterorum Ordinis, 10); voi, religiosi e religiose, ricordate a tutte le persone consacrate che la professione religiosa le rende per eccellenza volontari e liberi per l’annuncio evangelico (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 69); voi laici, voi sposi, siate il segno di un laicato che divenga sempre più protagonista della missione della Chiesa di oggi, come lo era nella Chiesa dei primi tempi!

In questa Giornata missionaria mondiale rivolgo a tutta la Chiesa, a tutti i membri della Chiesa, a tutte le comunità, diocesane e parrocchiali, un invito cordiale e pressante per un sempre maggiore impegno missionario. È vero, si fa molto per le missioni! È commovente ed esemplare lo slancio che anima i cristiani, uomini, donne, giovani, ragazzi, ragazze, per questo grande ideale; la generosità, che li spinge a donare e donarsi per le varie iniziative e per le opere missionarie; ma specialmente i sacrifici interiori e le preghiere, che essi fanno per la dilatazione del Regno di Dio sulla terra!

Ma occorre anche notare con realismo che i bisogni, spirituali e materiali, delle giovani Chiese in stato di missione aumentano vertiginosamente. Molto si è fatto; molto si fa; ma moltissimo resta ancora da fare in tutti i campi: nel campo della scuola; dell’assistenza ospedaliera; della formazione e della preparazione culturale del clero locale . . .

Mi rivolgo, in modo speciale, alle diocesi e alle parrocchie di tutto il mondo, perché sentano ed esprimano con sempre maggiore concretezza e incisività questa responsabilità missionaria, come ha sottolineato il Concilio Vaticano II: “Poiché il Popolo di Dio vive nelle comunità specialmente in quelle diocesane e parrocchiali, e in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle genti. La grazia del rinnovamento non può avere sviluppo alcuno nelle comunità, se ciascuna di esse non allarga la vasta trama della sua carità sino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per quelli che sono suoi propri membri” (Ad Gentes, 37).

Nell’avvicinarsi del terzo millennio dell’era cristiana, l’evento straordinario del Giubileo della Redenzione, che si va compiendo nelle diocesi e con particolare risonanza qui a Roma, ravvivi nel cuore di tutti i fedeli l’ardore missionario, come avvenne per i due pellegrini di Emmaus, i quali, accesi nel cuore dalla Parola e rinvigoriti dalla rivelazione del Maestro, ripresero con entusiasmo la strada per correre dai fratelli e renderli partecipi della straordinaria avventura d’aver riconosciuto il Signore nello spezzare il pane (cf. Lc 24, 13-35).

 

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