Index   Back Top Print

[ IT  - PT ]

MESSA PER IL GIUBILEO INTERNAZIONALE DEI MILITARI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 8 aprile 1984

 

(Saluto ai militari prima della Messa)

1. “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11, 21.32).

Queste parole, che avete sentito leggere nel Vangelo della messa odierna, sono pronunciate prima da Marta, poi da Maria, le due sorelle di Lazzaro, e sono rivolte a Gesù di Nazaret, che era amico loro e del fratello.

L’odierna liturgia presenta alla nostra attenzione il tema della morte. Questa è ormai la quinta domenica di Quaresima e si avvicina il tempo della passione di Cristo. Il tempo della morte e della risurrezione. Oggi guardiamo a questo fatto attraverso la morte e la risurrezione di Lazzaro. Nella missione messianica di Cristo questo evento sconvolgente serve di preparazione alla Settimana santa e alla Pasqua.

2. “. . . mio fratello non sarebbe morto”.

Risuona in queste parole la voce del cuore umano, la voce di un cuore che ama e che dà testimonianza di ciò che è la morte. Continuamente sentiamo parlare di morte e leggiamo notizie circa la morte di diverse persone. Esiste una sistematica informazione su questo tema. Esiste anche la statistica della morte. Sappiamo che la morte è un fenomeno comune e incessante. Se ogni giorno muoiono sul globo terrestre circa 145.000 persone, si può dire che ad ogni istante muoiono delle persone. La morte è un fenomeno universale e un fatto ordinario. L’universalità e la normalità del fatto confermano la realtà della morte, l’inevitabilità della morte, ma, al tempo stesso, cancellano in un certo senso la verità sulla morte, la sua penetrante eloquenza.

Non basta qui il linguaggio delle statistiche. È necessaria la voce del cuore umano: la voce di una sorella, come nell’odierno Vangelo, la voce di una persona che ama. La realtà della morte può essere espressa in tutta la sua verità solo col linguaggio dell’amore.

L’amore infatti resiste alla morte, e desidera la vita . . .

Ognuna delle due sorelle di Lazzaro non dice “mio fratello è morto”, ma dice: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”.

La verità sulla morte può essere espressa solamente a partire da una prospettiva di vita, da un desiderio di vita: cioè dalla permanenza nella comunione amorosa di una persona.

La verità sulla morte viene espressa nell’odierna liturgia in rapporto con la voce del cuore umano.

3. Contemporaneamente essa viene espressa in rapporto con la missione di Cristo, il redentore del mondo.

Gesù di Nazaret era amico di Lazzaro e delle sue sorelle. La morte dell’amico si è fatta sentire anche nel suo cuore con un’eco particolare. Quando giunse a Betania, quando udì il pianto delle sorelle e di altre persone affezionate al defunto, Gesù “si commosse profondamente, si turbò”, e in questa disposizione interiore chiese: “Dove l’avete posto?” (Gv 11, 33).

Gesù di Nazaret è al tempo stesso il Cristo, colui che il Padre ha mandato al mondo: è l’eterno testimone dell’amore del Padre. È il definitivo Portavoce di questo amore di fronte agli uomini. È in un certo senso l’Ostaggio di esso riguardo a ciascuno e a tutti. In lui e per lui l’eterno amore del Padre si conferma e compie nella storia dell’uomo, si conferma e compie in modo sovrabbondante.

E l’amore si oppone alla morte e vuole la vita.

La morte dell’uomo, fin da Adamo, si oppone all’amore: si oppone all’amore del Padre, il Dio della vita.

La radice della morte è il peccato, il quale pure si oppone all’amore del Padre. Nella storia dell’uomo la morte è unita al peccato e come il peccato si oppone all’amore.

4. Gesù Cristo è venuto nel mondo per redimere il peccato dell’uomo; ogni peccato che è radicato nell’uomo. Per questo egli si è posto di fronte alla realtà della morte; la morte infatti è unita al peccato nella storia dell’uomo: è frutto del peccato. Gesù Cristo divenne il redentore dell’uomo mediante la sua morte in croce, la quale è stata il sacrificio che ha riparato ogni peccato.

In questa sua morte Gesù Cristo ha confermato la testimonianza dell’amore del Padre. L’amore che resiste alla morte, e desidera la vita, si è espresso nella risurrezione di Cristo, di colui che, per redimere i peccati del mondo, liberamente accettò la morte sulla croce.

Questo evento si chiama Pasqua: il mistero pasquale. Ogni anno ci prepariamo ad essa mediante la Quaresima, e l’odierna domenica ci mostra ormai da vicino questo mistero, nel quale si sono rivelati l’amore e la potenza di Dio, poiché la vita ha riportato la vittoria sulla morte.

5. Ciò che è avvenuto a Betania presso il sepolcro di Lazzaro, fu quasi l’ultimo annuncio del mistero pasquale.

Gesù di Nazaret si fermò accanto al sepolcro del suo amico Lazzaro, e disse: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11, 43). Con queste parole, piene di potenza, Gesù lo risuscitò alla vita e lo fece uscire dalla tomba.

Prima di compiere questo miracolo, Cristo “alzò gli occhi e disse: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato"” (Gv 11, 41-42).

Presso il sepolcro di Lazzaro avvenne un particolare confronto della morte con la missione redentrice di Cristo. Cristo era il testimone dell’eterno amore del Padre, di quell’amore che resiste alla morte e desidera la vita. Risuscitando Lazzaro, rese testimonianza a quest’amore. Rese anche testimonianza all’esclusiva potenza di Dio sulla vita e sulla morte.

Al tempo stesso, presso la tomba di Lazzaro, Cristo fu il profeta del suo proprio mistero: del mistero pasquale, nel quale la morte redentrice sulla croce divenne la sorgente della nuova vita nella risurrezione.

6. Proprio oggi, quinta domenica di Quaresima, celebra il proprio Giubileo dell’Anno della Redenzione un particolare pellegrinaggio, quello dei militari.

La presenza di un numero così rilevante di persone che servono la patria sotto le armi solleva interrogativi profondi: è possibile essere buoni cristiani e buoni militari? Come può un uomo d’armi essere davanti a Cristo, che è mite e umile di cuore? (cf. Mt 11, 29). Come si può servire con le armi la pace interna ed internazionale? Che cosa significa per dei giovani militari celebrare il Giubileo della Redenzione? Una prima risposta sta nel fatto della vostra presenza intorno all’altare in un pellegrinaggio che accomuna militari provenienti da nazioni diverse, affratellati da una medesima fede in un unico Dio e Signore. Voi siete qui convenuti come uomini che desiderano operare per la pace, per dar forza alla giustizia, per vincere la morte con l’amore. Ripeto: la vostra odierna presenza lo conferma nei fatti.

Animati da un profondo desiderio di preghiera e di riconciliazione interiore, voi, uniti fraternamente da questa liturgia di lode, diventate una cosa sola, pur nella diversità della provenienza. Voi siete qui convenuti, perché uomini consapevoli che la salvezza viene solo da Cristo e perché siete desiderosi di collaborare alla redenzione per esprimere nel mondo la pienezza della giustizia, dell’equità e della santità.

7. Ma c’è una risposta più profonda ed è che impedire la guerra è già far opera di pace. In questo senso quanti “dediti al servizio della patria, militano nelle file dell’esercito”, osservava già il Concilio Vaticano II, possono considerarsi “come ministri della sicurezza e della libertà dei popoli e, quando rettamente adempiono a tale dovere, concorrono veramente alla stabilità della pace” (Gaudium et Spes, 79).

L’ideale della pace totale è connaturale al cristianesimo. Guai se venisse a mancare. Ma questo non deve impedire la realistica considerazione della condizione umana, indebolita e spesso compromessa dal peccato. È da tale considerazione che scaturisce la consapevolezza del dovere di difendere la vita e anche, e più ancora, di salvaguardare i valori della vita. Da tempo la Chiesa propone un concreto superamento degli equilibri del terrore mediante una più efficace organizzazione internazionale. Come non rinnovare l’auspicio, già espresso dai padri del Concilio Vaticano II, di “un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci” per scoraggiare ogni violazione del diritto e, all’occorrenza, ristabilire l’ordine violato (cf. Gaudium et Spes, 79)? La realizzazione progressiva di questo ideale porterebbe a incidere radicalmente sugli attuali condizionamenti, conservando il primato alla trattativa politica, fondata sulla ragione, sulla convinzione, sul rispetto reciproco, e avvalorata, al tempo stesso, dalla presenza di serie garanzie internazionali, nelle quali la forza militare sarebbe sottratta ad ogni tentazione di egemonie di parte.

La moralità della vostra professione, cari militari, è legata a questo ideale di servizio alla pace nelle singole comunità nazionali e più ancora nel contesto universale. La logica del servizio, cioè dell’impegno per gli altri, è fondamentalmente nella visione cristiana della vita. Ricondursi a questa sorgente significa scoprire la motivazione profonda della vostra condizione, che comporta disponibilità, sacrificio, spirito di solidarietà al di là dei pur legittimi interessi personali e familiari.

I cristiani sono così i primi sia nel lavorare per superare la tentazione della violenza, sia nell’affrontare la fatica dell’impegno concreto per difendere le ragioni della pace e dell’amore.

8. Il pellegrinaggio, che oggi avete intrapreso a motivo del Giubileo, vi introduce, cari militari qui convenuti da Paesi differenti, nel mistero della redenzione, mediante la liturgia dell’odierna domenica di Quaresima, la quale ci invita a fermarci, direi, sulla frontiera della vita e della morte, per adorare la presenza e l’amore di Dio.

Ecco le parole del profeta Ezechiele: “Dice il Signore Dio: "Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio"” (Ez 37, 12.13).

Queste parole si sono compiute presso il sepolcro di Lazzaro in Betania. Si sono compiute definitivamente presso il sepolcro di Cristo sul Calvario. Di questo ci rende consapevoli l’odierna liturgia.

Nella risurrezione di Lazzaro si è manifestata la potenza di Dio sullo spirito e sul corpo dell’uomo.

Nella risurrezione di Cristo è stato concesso lo Spirito Santo come sorgente della nuova vita: la vita divina. Questa vita è l’eterno destino dell’uomo. È la sua vocazione ricevuta da Dio. In questa vita si realizza l’eterno amore del Padre.

L’amore infatti desidera la vita e si oppone alla morte.

Cari fratelli! Viviamo di questa vita! Che in noi non domini il peccato! Viviamo di questa vita, il prezzo della quale è la redenzione mediante la morte sulla croce di Cristo!

“E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8, 11).

Che lo Spirito Santo abiti in voi sempre per mezzo della grazia della redenzione di Cristo. Amen.

 

© Copyright 1984 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana