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VISITA PASTORALE AD ALATRI

MESSA PER I FEDELI DELLA CIOCIARIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 2 settembre 1984

 

“O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede”.

1. Così abbiamo pregato insieme, carissimi fratelli e sorelle della diocesi di Alatri, nell’orazione di questa messa che oggi mi è dato di celebrare per voi e con voi. La liturgia del giorno ha posto sulle nostre labbra e nel nostro cuore questa bellissima implorazione: “Suscita in noi l’amore . . . ravviva la nostra fede”.

Entriamo, così, subito, in sintonia con il tema del Sinodo, che sarà celebrato nei prossimi giorni: “La Chiesa di Alatri, comunità di fede e di amore”. Come non vedere in questa orazione, che, venendo per la prima volta tra voi, ho pronunciato oggi in mezzo alla vostra festosa assemblea, come non vedere come un segno del cielo, che è di lieto auspicio per l’evento ecclesiale che state per celebrare? Il vostro vescovo, tutti i sacerdoti della diocesi, e i rappresentanti delle varie categorie del laicato cattolico, dedicheranno i giorni del Sinodo allo studio delle sollecitudini, dei metodi, delle esigenze perché si estenda nella vostra comunità la vita di fede e di amore: e oggi, insieme con voi, io, vescovo di Roma venuto ad Alatri come vicario e rappresentante di Cristo in terra, ho pregato proprio a questo fine per tutta la vostra diocesi: “O Dio, nostro Padre . . . suscita in noi l’amore . . . ravviva la nostra fede”.

In quest’ora di giubilo, per me anzitutto e per voi, nel gioioso presagio di questa coincidenza, io saluto tutti voi qui presenti: le autorità civili e militari, monsignor vescovo Umberto Florenzani, i parroci e i presbiteri tutti, i religiosi e le religiose, i padri e le madri di famiglia, i giovani tanto cari al mio cuore, i lavoratori, gli esponenti della cultura, gli anziani, e specialmente gli ammalati, al cui capezzale vorrei trovarmi singolarmente per dir loro tutto il mio affetto. È una giornata storica, questa odierna, per la pur storica città e diocesi di Alatri, che sorge fiera attorno alla sua Acropoli e si affaccia sull’orizzonte dei monti Ernici, abbracciando le fertili e pittoresche vallate di questa benedetta terra di Ciociaria. Il mio saluto va all’intera diocesi, alle varie comunità che ne compongono il territorio e si distinguono per l’operosità e l’impegno nel lavoro quotidiano, per l’amore alle loro antiche tradizioni di civiltà e di religione, e soprattutto per la fedeltà alla Chiesa.

Per tutti, oggi, da questa Acropoli santa, il vescovo di Roma ha pregato: “Suscita in noi l’amore . . . ravviva la nostra fede”!

O sì, che la Chiesa di Alatri in questo post-Concilio, e raccogliendo i frutti del Giubileo straordinario della redenzione, diventi sempre più “comunità di fede e di amore”!

2. Il programma per la vita di fede ci è stato tracciato da san Paolo nel brano della lettera ai Romani, udito come seconda lettura:

“Vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 1-2).

Ecco, fratelli e sorelle carissimi. La fede cristiana è anzitutto offerta di se stessi come sacrificio vivente: perché Dio, prima di ogni cosa, chiede il nostro cuore; aspetta noi, la nostra persona, il nostro lavoro, le nostre sofferenze. Così si esercita il sacerdozio regale, a cui il Concilio Vaticano II ha invitato tutti, laicato compreso. E infatti, parlando del ruolo dei laici nella Chiesa, ha rilevato che “tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiuti nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventino sacrifici spirituali graditi a Dio per Gesù Cristo” (Lumen Gentium, 34).

In tal modo la nostra vita, pur nascosta, pur monotona, pur insignificante agli occhi degli uomini, diventa straordinariamente preziosa davanti a Dio: diventa adesione a lui, alla sua parola di verità e al suo messaggio evangelico; diventa convinta adesione alla santa Chiesa e al suo magistero; diventa un sacrificio continuo, in unione con quello di Gesù: diventa ferma ripulsa di errori e concezioni che vanno contro la parola di Dio, facendo argine, con i valori eterni, agli pseudo-valori che “la mentalità di questo secolo” vorrebbe contrapporre all’indefettibile rivelazione, andando contro la santità dei costumi, il rispetto della vita umana in tutte le sue forme, già fin dal concepimento, l’indissolubilità e sacralità del matrimonio, eccetera.

“Non conformatevi . . . ma trasformatevi”, ci esorta san Paolo: e allora la fede si traduce in pratica affettiva, coerente, decisa, nel “discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.

Queste parole, ne sono certo, cadono in voi, fratelli e sorelle di Alatri, come sul terreno buono della parabola (cf. Mt 13, 8.23). La fede è stata ed è il patrimonio più prezioso della vostra diocesi. Con la vostra devozione al patrono della diocesi, san Sisto I, papa e martire, romano di nascita e vescovo di Roma, voi siete e vi sentite legati da specialissimo vincolo con la Chiesa di Roma. Le sue spoglie giunsero a voi mirabilmente l’11 gennaio 1132, sotto il vescovo Pietro, e furono riscoperte l’11 marzo 1584, esattamente quattro secoli fa, dal vescovo Danti: state perciò celebrando il centenario di questo ritrovamento. Auguro a voi tutti che il ricordo di quegli avvenimenti sia per tutti un forte stimolo a ravvivare la fede - la fede che da Dio, in Cristo, ci è comunicata dalla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica - e a vivere la fede in tutte le forme della vita individuale e collettiva, familiare e sociale, pubblica e privata, in modo che la diocesi possa dare veramente a Dio il suo “culto spirituale”, ed essere quella “comunità di fede” che il prossimo Sinodo vuole ravvivare e consolidare.

3. Dalla fede nasce l’amore: ecco quindi questo secondo polo insostituibile della “comunità d’amore”, che è anch’esso obiettivo del Sinodo diocesano.

Le letture della Messa di questa domenica ci danno un insegnamento fortissimo sulla totalitarietà dell’amore, che Dio ci chiede. Il profeta Geremia, nel brano letto che è stato definito le sue “Confessioni”, riconosce in termini drammatici la potenza dell’amore di Dio, che lo ha chiamato a profetare per la conversione del suo popolo: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre . . . Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20, 7.9). Il profeta ha risposto pienamente alla chiamata di Dio, che pure lo faceva segno di contraddizione, si e lasciato “afferrare” da Dio, a cui ha aderito con tutte le proprie forze.

Altrettanto chiede a noi Gesù Cristo, Figlio del Padre: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita, la troverà . . . Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?” (Mt 16, 24ss.).

Dobbiamo seguire Cristo con la forza dell’amore. Dobbiamo dare amore per amore. Perché egli per primo ha amato noi: si è incamminato per amor nostro sulla via della croce, prevedendone in anticipo tutti i dolorosi particolari, e opponendosi risolutamente alle interpretazioni riduttive e ai consigli di umana prudenza che perfino Pietro aveva cercato di dare. Chi più di Pietro è stato privilegiato da Cristo? Eppure egli lo chiama addirittura “satana”, quando cerca di sviare il Maestro dalla via regale della croce. Ecco quanto ci ha amato Gesù Cristo: a prezzo del suo stesso sangue, nell’obbedienza offerta al Padre senza chiedere nulla per sé.

Anche a ciascuno Gesù chiede la totalità del dono di noi stessi: ci chiede di seguirlo sulla nostra “via crucis” quotidiana, di non rifiutargli quelle conquiste, compiute talora anche a prezzo di eroismi nascosti, che egli esige da chi gli vuole rimanere fedele, sempre e a tutti i costi; ci chiede di portare la croce della nostra vita quotidiana, senza indietreggiare, aggrappandoci a lui per non cadere per sfiducia o stanchezza, tanto meno senza tradire mai, nella prospettiva del giudizio finale: “Poiché è il Figlio dell’uomo - così conclude il Vangelo odierno - verrà nella gloria del Padre suo . . . e renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16, 27). E, come è stato detto, saremo giudicati sull’amore.

Amore a Dio “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente”; amore al fratello, come noi stessi (cf. Mt 22, 37.39). “Per questo l’amore di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento - ha tenuto a ribadire il Vaticano II -. Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come io e te siamo una cosa sola" (Gv 17, 21-22) . . . ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé” (Gaudium et Spes, 24).

4. “O Dio, nostro Padre, suscita in noi l’amore e ravviva la nostra fede”.

Questa preghiera elevo al Signore per voi e con voi, in questa messa, all’inizio ormai del Sinodo diocesano di Alatri. E questo programma, basilare e insostituibile per la vita di tutta la Chiesa, vi lascio come ricordo della mia venuta tra voi.

Siate fedeli, carissimi fratelli e sorelle!

Fedeli sempre, senza conformarvi alla mentalità di questo secolo.

Fedeli sempre, nel trasformare la vostra mente, ed essere un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio.

Fedeli nel seguire la croce di Cristo.

Nel mettere Dio al primo posto. “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, / di te ha sete l’anima mia, / a te anela la mia carne . . . / Poiché la tua grazia vale più della vita, / le mie labbra diranno la tua lode. / Così ti benedirò finché io viva (Salmo responsoriale).

Sì, fratelli e sorelle; così sia per voi, ogni giorno della vostra vita.

Con la protezione di san Sisto, papa e martire.

Con la continua intercessione della Madre di Dio, che tanto amate, e che tanto vi ama.

Affinché siate comunità di fede e di amore.

Amen, amen.


Vi ringrazio per questa vostra adunanza e per la vostra presenza alla celebrazione. Vi auguro tutto il bene della vostra vita sacerdotale, della vostra vocazione e del vostro ministero, che è diverso ma è sempre pastorale. Vi auguro la grazia di questo ministero e di questa vita con cui siete molto vicini a Gesù perché diventate quasi le sue labbra, per pronunciare le sue parole, per “conficere Eucharistiam”, nella sua persona, “in persona Christi”. Vi auguro di contemplare sempre questa realtà che è vostra, che è nostra, che è la nostra realtà, e di fare strada per questa realtà verso gli altri, verso le nuove generazioni, verso i giovani che vogliono anch’essi servire Cristo e, “in persona Christi”, il popolo di Dio e i suoi destini soprannaturali; i destini terrestri come viatores e poi i loro destini eterni, come contemplatores della Santissima Trinità. Vi auguro di avere questa fede, di approfondirla sempre, di trovare in essa la forza per voi stessi, per il vostro sacerdozio e per il popolo di Dio, per tutti gli altri.

Questi sono i miei voti per il presbiterio della Chiesa di Alatri e a tutti gli ospiti presenti, specialmente alla vigila del Sinodo che abbiamo oggi aperto.

 

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