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VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

LITURGIA DELLA PAROLA CON LE POPOLAZIONI INDIGENE DEL CANADA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Santuario dei Martiri canadesi (Huronia)
Sabato, 15 settembre 1984

 

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.

1. “Chay”. Con questa tradizionale parola di benvenuto huroniana, voglio salutarvi tutti. E vi saluto anche in nome di Gesù Cristo che vi ama e che vi ha chiamati da “ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5, 9), per essere una sola cosa nel suo corpo, la Chiesa. I canadesi sono veramente un popolo dalle molte razze e lingue, ed è perciò motivo di grande gioia per me poter pregare con voi in questo luogo sacro, il santuario dei Martiri, che è per noi simbolo dell’unità della fede in una diversità di culture. Saluto quelli di voi che sono venuti da luoghi lontani come l’estremo Nord e da zone rurali dell’Ontario, quelli delle città del Sud, quelli che sono venuti da altre province e dagli Stati Uniti. Desidero salutare in particolar modo gli autoctoni del Canada, i discendenti dei primi abitanti di questo Paese, gli indiani nord-americani.

2. Siamo riuniti in questo luogo, Midland, che riveste una grande importanza nella storia del Canada e nella storia della Chiesa. Qui si trovava una volta il santuario di Sainte Marie, destinato nel 1644 da uno dei miei predecessori papa Urbano VIII ad essere luogo di pellegrinaggi, il primo del genere nel Nord America. Qui i primi cristiani di Huronia trovarono una “casa di preghiera e un luogo di pace”. E qui si trova oggi il santuario dei Martiri, simbolo di speranza e di fede, simbolo del trionfo della croce. La lettura del brano della lettera di san Paolo ai Romani che abbiamo proprio ora ascoltata ci aiuta a comprendere il significato di questo posto sacro, e da dove i martiri attinsero il coraggio di dare la loro vita in questo Paese. Ci aiuta a comprendere la potenza che attrasse alla fede le popolazioni autoctone. E questa potenza era “l’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 39).

3. San Paolo ci parla anche della sua incrollabile fiducia nell’amore di Cristo e nel suo potere di superare tutti gli ostacoli: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?” (Rm 8, 35). Sono parole che procedono dalla profondità del suo essere e dalla sua esperienza personale di apostolo. Questo grande missionario dovette infatti affrontare molte prove e difficoltà nel suo zelante impegno a proclamare il Vangelo. Ai Corinzi scrive: “Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli dai falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese” (2 Cor 11, 26-28).

Eppure san Paolo si gloria in mezzo a queste avversità e dice che “in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8, 37). Egli sopporta con gioia tutte queste avversità perché è convinto dell’amore di Cristo, e che niente potrà separarlo dal suo amore.

4. La stessa fiducia nell’amore di Dio guidò la vita dei martiri che sono venerati in questo santuario. Come Paolo, essi stimavano che l’amore di Cristo fosse il più grande di tutti i tesori. Essi credevano inoltre che l’amore di Cristo fosse così forte che nulla avrebbe potuto separarli da esso, neanche la persecuzione e la morte. I martiri nordamericani rinunciarono alla vita per amore del Vangelo, per portare la fede agli autoctoni che servivano. Sappiamo infatti che la loro fede era così grande da indurli a chiedere la grazia del martirio. Ricordiamo per un momento questi eroici santi che sono venerati in questo luogo e che ci hanno lasciato un prezioso retaggio.

Sei di essi erano Gesuiti francesi: Jean de Brébeuf, Isaac Jogues, Gabriel Lalemant, Antoine Daniel Charles Garnier e Noël Chabanel. Infiammati di amore per Cristo e ispirati da sant’Ignazio di Loyola, da san Francesco Saverio e da altri grandi santi della Compagnia di Gesù, questi sacerdoti vennero nel Nuovo Mondo per proclamare il Vangelo di Gesù Cristo alle popolazioni autoctone di questo Paese. Perseverarono fino alla fine nonostante difficoltà di ogni genere.

Facevano parte del gruppo di missionari due fratelli laici: René Goupil e Jean de la Lande. Con uguale coraggio e fervore, aiutarono i sacerdoti nella loro opera, diedero prova di grande dedizione e spirito di servizio agli indiani, e con il sacrificio della vita conseguirono la corona del martirio.

Mentre davano la loro vita, questi missionari guardavano al futuro, al giorno in cui gli autoctoni avrebbero raggiunto la piena maturità e assunto un ruolo di leadership nella loro Chiesa. San Giovanni de Brébeuf sognava una Chiesa pienamente cattolica e pienamente huroniana.

Una giovane donna di discendenza algonquina e mohawk è anch’essa meritevole oggi di un particolare riconoscimento: la beata Kateri Tekakwitha. Chi non ha sentito parlare della sua straordinaria testimonianza di purezza e santità di vita? Appena quattro anni fa ebbi la gioia personale di dichiarare beata questa donna di grande coraggio e di grande fede, conosciuta da molti come il “Giglio dei Mohawk”. A quelli di voi che vennero a Roma per la sua beatificazione dissi allora: “La beata Kateri si pone a noi come simbolo del retaggio che è vostro, di voi indiani nord-americani” (22 giugno 1980).

5. Mentre siamo oggi qui riuniti in preghiera nel santuario dei Martiri, vogliamo ricordare il grande impegno della Chiesa, cominciato tre secoli e mezzo fa, a portare il Vangelo di Cristo nella vita degli autoctoni del Nord-America. I martiri qui venerati costituiscono solo una piccola rappresentanza di tutti quegli uomini e di tutte quelle donne che parteciparono a questo grande sforzo missionario. Diamo il nostro riconoscimento anche a tutti quelli che, come la beata Kateri, abbracciarono gioiosamente la fede cristiana, e rimasero fedeli nonostante le numerose prove e avversità. Di grande importanza per la Chiesa di Huronia è Joseph Chiwatenwa, che con la consorte Aonnetta, il fratello Joseph e altri membri della famiglia attesta ancora una volta la verità di cui fu testimone l’apostolo Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”. Una statua commemora oggi la vita e la missione di Joseph Chiwatenwa. È particolarmente impressionante la testimonianza di san Carlo Garnier nell’iscrizione: “In questo cristiano ponevamo la nostra speranza in Dio”. Questi uomini e queste donne non solo professarono la fede e abbracciarono l’amore di Cristo, ma diventarono a loro volta evangelizzatori, e ancora oggi ci offrono un modello eloquente di ministero dei laici.

Vogliamo anche ricordare come le degne tradizioni delle tribù indiane furono rafforzate e arricchite dal messaggio evangelico. Questi nuovi cristiani sapevano per istinto che il Vangelo, lungi dal distruggere i loro autentici valori e costumi, aveva il potere di purificare ed esaltare il patrimonio culturale che avevano ricevuto. Nella sua lunga storia la Chiesa si è costantemente arricchita delle nuove tradizioni che sono venute via via ad aggiungersi alla sua vita e al suo retaggio.

Oggi noi siamo grati per il ruolo che le popolazioni autoctone svolgono non solo nel tessuto multiculturale della società canadese, ma nella vita della Chiesa cattolica. Cristo stesso è incarnato nel suo corpo, la Chiesa. E attraverso la sua azione la Chiesa vuole aiutare tutti i popoli “a trarre, dalle proprie tradizioni vive, espressioni originali di vita cristiana, di celebrazione e di pensiero” (Catechesi Tradendae, 53).

Così l’unica fede viene espressa in modi diversi. Escludendo che si possa in alcun modo adulterare la parola di Dio o svuotare della sua potenza la croce, la realtà è invece questa: Cristo anima il centro stesso di ogni cultura, per cui non solo il cristianesimo interessa tutte le popolazioni indiane, ma Cristo, nei membri del suo corpo, è egli stesso indiano.

La rinascita della cultura indiana sarà inoltre una rinascita di quegli autentici valori che essi hanno ereditato e custodito, che sono purificati e nobilitati dalla rivelazione di Gesù Cristo. Attraverso il suo Vangelo, Cristo conferma le popolazioni autoctone nella loro fede in Dio, nella loro consapevolezza della sua presenza, nella loro capacità di scoprirlo nel creato, nella loro dipendenza da lui, nel loro desiderio di adorarlo, nel loro senso di gratitudine per questo Paese, nella loro gestione responsabile della terra, nella riverenza per tutte le sue grandi opere, nel loro rispetto per i loro anziani. Il mondo ha bisogno di vedere questi valori - e tanti altri ancora che possiede - perseguiti nella vita della comunità e incarnati in un intero popolo.

Infine è nel sacrificio eucaristico che Cristo, unito ai suoi membri, offre al Padre tutto ciò che costituisce la vita e le culture. In questo sacrificio egli consolida tutto il suo popolo nell’unità della sua Chiesa e ci chiama tutti alla riconciliazione e alla pace.

Come il buon samaritano, siamo chiamati a fasciare le ferite del nostro prossimo in difficoltà. Insieme a san Paolo, dobbiamo dire: “Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18). È veramente arrivato per i canadesi il momento di mettere da parte tutte le divisioni sorte con il passare dei secoli tra i popoli originalmente presenti e quelli che si insediarono successivamente nel continente. Questo appello è rivolto a tutti gli individui e tutti i gruppi, a tutte le Chiese e a tutte le comunità ecclesiali del Canada. Diciamo ancora una volta, con le stesse parole di san Paolo: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2 Cor 6, 2).

6. Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, questo santuario dei Martiri di Huronia testimonia del ricco retaggio che è stato trasmesso a tutta la Chiesa. È anche un luogo di pellegrinaggio e di preghiera, un memoriale dei benefici accordati da Dio nel passato, un’ispirazione quando ci volgiamo al futuro. Lodiamo dunque Dio per la sua previdente sollecitudine e per tutto ciò che abbiamo ereditato dal passato.

Mentre proseguiamo nel nostro cammino raccomandiamoci all’intercessione dei martiri nordamericani, alla beata Kateri Tekakwitha, a san Giuseppe patrono del Canada, e a tutti i santi, insieme a Maria, Regina dei santi. E, uniti a tutta la Chiesa - nella ricchezza della sua diversità e nella potenza della sua unità - proclamiamo con la testimonianza della nostra vita che “né morte né vita . . . né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 38-39).

 

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