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VISITA PASTORALE IN VALLE D’AOSTA

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA SUL CAMPO MONT FLEURY

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Campo di Mont Fleury (Aosta)- Domenica, 7 settembre 1986

 

1. Mentre siamo riuniti attorno all’altare per offrire il sacrificio di lode, parli - in questo luogo circondato da montagne stupende - il meraviglioso salmo della creazione, di cui è ricolma l’intera giornata odierna.

La creazione stessa proclama la gloria del Creatore. La catena delle Alpi, che ho potuto ammirare stamattina, entra ora, in un certo senso, nelle parole della liturgia che la Chiesa pronuncia. Sono parole espresse dall’uomo che diventa così voce di tutto il creato: “Grande è il Signore e degno di ogni lode . . . / il Signore ha fatto i cieli. / Maestà e bellezza sono davanti a lui, / potenza e splendore nel suo santuario” (Sal 95, 4-6).

Desideriamo racchiudere, per così dire, nella nostra preghiera pomeridiana, questa “maestà” e questa “bellezza” del Creatore, di cui parlano li vette alpine e tra di esse la più alta, il Monte Bianco. Desideriamo anche che tutta la liturgia della creazione sia compenetrata da questo mistero specifico al quale è stato chiamato l’uomo: l’uomo in mezzo a tutto il creato; l’uomo corona del mondo visibile.

2. La liturgia parla oggi della vocazione dell’uomo da parte di Dio. È la sconvolgente testimonianza del profeta Geremia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Il profeta avverte con tutta umiltà la propria debolezza, la propria impreparazione: “Sono giovane - dice -; non so parlare”. L’uomo, con le sue sole forze, non è capace di proferire le parole di Dio, se non è Dio stesso che, in certo senso, gliele “mette sulla bocca”. Ora, Geremia è appunto incaricato da Dio di essere messaggero della parola divina, la parola profetica.

Geremia riceve una missione tutta speciale, straordinaria: quella di essere “profeta delle nazioni”: (Ger 1, 5) un messaggio per l’intera umanità, presente e futura. Dall’eternità Dio ha pensato a questa sua missione; e ora gliela rivela, promettendogli gli aiuti necessari al suo pieno compimento.

3. Il testo del profeta Geremia ha carattere autobiografico. Parla della propria vocazione. Al tempo stesso vi è in questa descrizione un “modello” universale secondo il quale occorre leggere il mistero divino della vocazione in ogni caso: in relazione a ogni uomo.

Oggi ricordiamo in modo speciale la vocazione del vescovo san Grato, patrono della vostra diocesi. Assai scarse, per la verità, sono le notizie certe che si hanno della sua vita, svoltasi tanti secoli fa, all’inizio dell’era cristiana. Ciò tuttavia non ha impedito, lungo il corso della storia, la fioritura di un culto fervente, perseverante e tenace non solo tra i fedeli di Aosta, ma anche tra altre buone popolazioni di queste vallate alpine, soprattutto tra gli agricoltori, che lo considerano loro protettore.

Anche san Grato - come il profeta Geremia - sentì la chiamata da parte di Dio per una consacrazione totale all’annunzio del Vangelo, per la conversione dei popoli a Cristo e per la loro salvezza. La sua opera fu talmente efficace, che dopo tanti secoli noi ancora lo veneriamo e lo preghiamo, e la città di Aosta si sente affidata alla sua intercessione.

Le vicende particolari della vita e dell’apostolato di san Grato si perdono nell’oscurità del passato; tuttavia si conosce con certezza la solidità della sua fede in Cristo, Verbo incarnato, in tempi in cui serpeggiava l’eresia dell’arianesimo (sottoscrizione al Concilio provinciale di Milano nel 451), la sua devozione per i martiri, la sua strenua difesa della dottrina e della morale cristiana. Egli si sentì totalmente a servizio di Cristo e delle anime e visse pienamente questa missione e questo ideale. Sembra inoltre che egli fosse greco di origine e quindi l’essere venuto da una terra lontana unicamente per servire Dio e le anime dimostra quanto grande fosse il suo amore a Cristo e quanto eroica la sua virtù.

4. La considerazione della “vocazione” del profeta Geremia e del vostro patrono san Grato, deve essere letta sempre di nuovo alla luce della nuova alleanza, che chiama ciascuno di noi e ci inserisce nella storia della salvezza. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, afferma: “L’amore di Cristo ci spinge”. Infatti, “Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto ed è risuscitato per loro” (2 Cor 5, 14-15).

Queste parole ci riportano alla radice stessa della vocazione cristiana: essa inizia nel mistero del Battesimo. Noi crediamo fermamente che, nel piano provvidenziale della creazione, ogni persona umana ha una sua speciale missione da compiere. Ad ognuno Dio rivolge la sua chiamata per il fatto stesso che gli dà la vita. Ma soprattutto il Battesimo è una vera vocazione che Dio ci rivolge, una chiamata misteriosa ma reale, che trasforma e responsabilizza. Infatti, mediante il Battesimo incominciamo a vivere della vita stessa di “Colui che è morto e risuscitato per noi”. Per mezzo di Cristo diventiamo “una creatura nuova” (2 Cor 5, 17).

5. Scendendo da questi presupposti teologici al piano concreto della nostra vita, vediamo che vivere della vita di Cristo - diventare in Cristo “una creatura nuova” - vuol dire servire. “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” dice Cristo (Lc 22, 27). E lo dice agli apostoli tra i quali era sorta una discussione: “chi di loro poteva essere considerato il più grande” (Lc 22, 24).

Cristo risponde: il più grande è colui che serve. La vocazione cristiana è una vocazione di “servizio”, in quanto è un mettersi a disposizione: di Dio, anzitutto, per accogliere la sua volontà su di noi, e poi degli uomini, al fine di aiutarli nel loro cammino verso Dio e verso la salvezza. Tutti sono chiamati, in tal senso, a vivere con la vita di Cristo, a servire l’uomo e a servire Dio come lui, li ha serviti. Anche voi, cari fratelli di Aosta, avete la vostra particolare missione di servizio, sia come singoli, sia come comunità di fede, sia a favore della diocesi, sia nella linea di una missione extradiocesana, i cui confini sono quelli del mondo stesso e della storia intera, come avvenne per le grandi vocazioni di Geremia e di san Grato, la cui voce risuona ancor oggi e risuonerà nei secoli, perché seppero farsi strumenti e portavoce di quella verità, di quella parola di vita divina, che non passa, ma dà luce e vita a tutti gli uomini, quali che siano i luoghi e i tempi ai quali essi appartengono.

6. A voi, cari fratelli, intendo ora rivolgermi con un cordiale saluto: al vescovo, mons. Ovidio Lari, ai suoi collaboratori, alle autorità civili qui convenute, al clero, religiosi e religiose qui presenti, ai fedeli che stanno partecipando a questa assemblea eucaristica, ai giovani in modo particolare. So infatti che essi hanno atteso con viva partecipazione il momento di questo nostro incontro. A voi, dunque, cari giovani, un mio particolare pensiero. Possiate voi contemplare, in questa santa liturgia, la bellezza della vocazione cristiana. Al di là dei suoi elementi universali, propri ad ogni vocazione, essa, nel concreto, si realizza in modi sempre nuovi e sempre diversi. E aggiungiamo anche: sempre belli e meravigliosi. Perché Dio è sempre meraviglioso in tutto ciò che fa. Noi possiamo guastare, purtroppo, le sue opere; ma esse sono belle. E la vocazione è, tra tutte le sue opere, la più bella, perché ci assimila a Cristo, la più stupenda di tutte le opere del Padre, il centro e il vertice di tutta la creazione visibile e invisibile.

Corrispondete, cari giovani, al disegno di Dio su di voi. Questo è, per voi, il mio augurio e la mia esortazione.

7. E anche a voi tutti, cari fratelli qui presenti, vorrei rivolgere in modo particolare alcuni pensieri che concretizzano, in qualche modo, le istanze che nascono da quella parola di Dio dalla quale oggi siamo interpellati. La novità di vita in Cristo alla quale ci chiama la nostra vocazione cristiana spinge oggi i credenti a sottolineare alcuni valori che l’andamento del mondo vorrebbe in qualche modo offuscare o dimenticare. Mi riferisco in modo speciale alla necessità di perseverare e di testimoniare con coraggio nell’accoglienza e nel rispetto della vita dal suo primo sorgere fino al suo estremo palpito; alla necessità di coltivare e rafforzare, a tutti i livelli, lo spirito di comunione e solidarietà; al dovere di liberarci o restare liberi dalle tentazioni del materialismo e dell’individualismo, aperti o mascherati che siano. Occorre vigilanza, coraggio, senso profondo della comunione ecclesiale, conoscenza quanto più esatta possibile dei reali bisogni dell’uomo in ordine alla venuta del regno di Dio. Occorre uno sforzo nuovo per cogliere la novità e la gratuità del messaggio evangelico, il quale, nel momento in cui soddisfa le esigenze più profonde dell’uomo, le oltrepassa, indicando all’uomo una prospettiva di vita - la vita eterna -, alla quale egli senza il soccorso della grazia divina non potrebbe mai giungere.

La “novità di vita” portata dal cristianesimo non si risolve quindi nell’ambito dell’umano - che essa pur porta a radicale rinnovamento - ma assurge a un livello di realtà - quello divino - del quale dice san Paolo: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2, 9; cf. Is 64, 3).

8. Così dunque, uniti in Gesù Cristo, divenendo in lui “una creatura nuova”, assumendo, ciascuno, questo servizio al quale egli ci chiama, ci accostiamo all’altare, per fungere da ambasciatori di Dio stesso per Cristo (cf. 2 Cor 5, 20). Dio infatti ha riconciliato con sé l’intera umanità mediante Cristo. Dio riconcilia costantemente con sé il mondo, non imputando agli uomini i loro peccati, rimettendoli “a un prezzo” che supera ogni cosa: col sacrificio della croce di Cristo! Infatti, in questo sacrificio sovrabbondante del Figlio, vi è la divina potenza di riconciliazione, alla quale noi uomini possiamo partecipare.

Ecco, Dio stesso ha affidato “a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5, 19). Dio stesso ha affidato a noi il “ministero della riconciliazione”. Lo ha affidato a noi sacerdoti in modo speciale, rendendoci ministri del sacramento della Riconciliazione. Ma in un senso lato, e non meno reale, lo ha affidato a ogni cristiano, perché ogni cristiano dev’essere operatore di pace e di riconciliazione. E oggi è più che mai richiesta questa funzione decisiva e insostituibile del cristiano, a servizio di un’umanità divisa e minacciata.

9. Ed ecco che noi, nella potenza del ministero della riconciliazione di Cristo, diveniamo “una creatura nuova”, ci accostiamo all’altare portando a Dio in Cristo l’intera creazione, l’intero universo, che ci circonda. Infatti il salmo dell’odierna liturgia proclama così: “Date al Signore, o famiglie dei popoli, / date al Signore gloria e potenza, / date al Signore la gloria del suo nome. / Portate offerte ed entrate nei suoi atri . . . / Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude; / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta / davanti al Signore che viene” (Sal 95, 7-8. 11-13).

Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli. Nell’alto di tutte le vette alpine. Osanna. Amen.


A tous ceux qui sont familiers de la langue française, habitants de cette vallée ou des pays voisins, j’adresse mes vœux cordiaux, pour eux et pour leurs familles, et je leur renouvelle mes encouragements à vivre fidèlement l’Evangile qui se présente souvent comme une rude montée vers le Christ, préféré à tout, lui qui seul peut nous sauver et combler le cœur des joies les plus hautes, notamment celle de l’amour de Dieu. Que le Seigneur vous bénisse et demeure toujours avec vous!

Ecco una nostra traduzione italiana delle parole del Papa.

A tutti gli abitanti di questa valle e dei paesi vicini di lingua francese, indirizzo i miei voti cordiali per loro e per le loro famiglie, rinnovo i miei incoraggiamenti a vivere fedelmente il Vangelo che si presenta spesso come una dura salita verso Cristo, preferito a tutto, lui solo può salvarci e colmare il cuore con le gioie più alte, quelle dell’amore di Dio. Che il Signore vi benedica e rimanga sempre con voi!

Al termine della Messa il Papa benedice la prima pietra dell’erigendo monastero delle Carmelitane dedicato a Maria Madre della Misericordia. Inoltre benedice la corona che ornerà il capo della statua della Madonna della parrocchia di Maria Immacolata in Aosta, offerta in occasione del XXX anniversario dell’erezione della chiesa.
Subito dopo torna ai microfoni posti sull’altare e improvvisa le seguenti parole.
 

Carissimi fratelli e sorelle, come avete sentito, alla fine di questa celebrazione eucaristica, ho benedetto una prima pietra per una costruenda Chiesa. Si deve dire che in questa regione, nella Valle d’Aosta vi sono tante pietre, certo non mancano. Con queste splendide montagne, con queste Alpi, con il Monte Bianco, non mancano le pietre. Ed è da aggiungere che queste pietre sono molto “visitate”. Anch’io ho potuto fare questa visita alle vostre pietre, alle vostre montagne, e vi sono tanto grato per questo privilegio. Però la pietra, la pietra benedetta per costruire una Chiesa, è un simbolo di una persona, di una persona santissima, una persona divina: Gesù Cristo, Dio uomo, pietra angolare di ogni costruzione spirituale, di ogni tempio abitato dallo Spirito Santo. Ecco, passando dalle pietre alle persone, voglio ringraziare tutti voi carissimi fratelli e sorelle di questa regione, di questa diocesi, di questa Valle d’Aosta, perché voi tutti siete in Cristo Gesù pietre vive. Con queste pietre vive viene continuamente edificata la Chiesa, la Chiesa che non è pietra ma è corpo di Cristo.

Vi auguro, dopo questa giornata passata tra voi, una buona continuazione, una buona continuità, di questa edificazione della vostra Chiesa e della vostra società. Lo auguro a tutti, ringraziandovi per questa visita, per questa buona accoglienza, per questa conclusiva celebrazione eucaristica. Mi rivolgo alle autorità civili, militari, autorità comunali e regionali, all’episcopato piemontese per la sua presenza, soprattutto alla Chiesa che è in Valle d’Aosta con il vostro pastore, il vescovo di Aosta.

Devo ripetere le sue parole dette all’inizio della celebrazione, quando non trovando il testo previsto per questa inaugurazione dell’incontro con il Papa, ha improvvisato. Qualche volta, eccellenza, è una buona cosa non trovare le carte. Devo confessare che ora anch’io seguo il suo esempio, senza carta. I miei saluti e ringraziamenti vanno a tutti i sacerdoti: grazie per l’incontro della cattedrale e per la concelebrazione e partecipazione in questa liturgia eucaristica. Ringrazio anche i religiosi e le religiose. E poi tutte le famiglie, tutti i giovani. Ringrazio tutti i movimenti, molto attivi: ringrazio tutti e ciascuno. Ringraziando i giovani scendo fino ai più piccoli, ai bambini, ai neonati, tutti, per tornare dopo ai genitori, ai nonni, agli anziani, agli ammalati.

Voglio ringraziare di cuore tutti gli organizzatori di questa visita pastorale, che sono tanti, pieni di meriti: ecclesiastici, civili e militari. Come non ringraziare i piloti dell’esercito che mi hanno condotto se non sul Monte Bianco almeno vicino al Monte Bianco, molto vicino? E, certamente, non si doveva andare sul Monte Bianco in elicottero. A piedi, sì, in elicottero, no. Si poteva e si doveva andare sul ghiacciaio, contemplare la grandezza della cima e ringraziare Dio per questo privilegio che mi ha dato oggi.

Non vorrei trascurare alcuna persona. Voglio ringraziare per tutti i doni, ricevuti dappertutto, durante la Messa, prima, in diverse occasioni, ma soprattutto per questo dono del vostro cuore, della vostra presenza, della vostra partecipazione, della vostra solidarietà.

Alla fine della sacra liturgia eucaristica ho benedetto anche una corona con la quale deve essere ornata un’effigie della santissima Vergine. Questa corona significa la sua maternità nella Chiesa, nella Chiesa di Aosta, e io, ringraziandovi, vorrei affidarvi tutti, affidare questa Chiesa alla Madonna, alla sua maternità, attraverso questa corona, con la quale viene coronata la sua materna protezione, il suo materno amore verso ciascuno di noi e verso noi tutti.

Sia lodato Gesù Cristo.

 

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