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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA SULLA SPIANATA DELLA «RENCONTRE»

OMELIA DI GIOVANNI PALO II

Ars (Francia) - Lunedì, 6 ottobre 1986

 

1. “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi” (Mt 9, 35). È così che Gesù svolgeva la sua missione di Messia in Terra Santa, senza andare al di là delle frontiere del paese. È ciò che continua ad avvenire, quando i discepoli di Gesù portano il Vangelo “fino alle estremità della terra”. Il Salvatore ha detto loro: “Io sono con voi” (Mt 28, 20). Là dove essi annunciano il Vangelo, anch’egli è presente.

Talvolta questa presenza - la presenza salvifica di Cristo - viene avvertita in modo particolare. E allora, sul grande mappamondo dell’evangelizzazione, una città o un villaggio acquistano un fulgore particolare. È proprio quello che è avvenuto in questo villaggio di Ars il secolo scorso, negli anni in cui il curato Giovanni-Maria Vianney adempiva qui il servizio sacerdotale. A poco a poco tutta la Francia, e anche gli altri paesi, le altre parti del mondo, sono arrivati a conoscere il curato d’Ars. La gente veniva da dovunque per avvicinarlo, per ascoltarlo parlare dell’amore di Dio, per essere guariti e liberati dal peccato. Dopo la sua morte, il suo esempio ha acquisito nuovo splendore. Pio XI l’ha dichiarato santo patrono dei curati del mondo intero. E oggi vi sono qui rappresentanti dei sacerdoti di numerosi paesi. Sì, attraverso questo sacerdote, è Cristo che è divenuto particolarmente presente in questo lembo di Francia.

2. Giovanni-Maria Vianney è venuto ad Ars per esercitarvi il “santo sacerdozio”, per “offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2, 5). Egli stesso offriva questi sacrifici. Offriva ogni giorno, e con quale fervore, il sacrificio di Cristo. “Tutte le buone opere insieme non equivalgono al sacrificio della Messa, perché . . . la santa Messa è l’opera di Dio” (“Giovanni-Maria Vianney, curato d’Ars, il suo pensiero, il suo cuore”, ed. Abate Bernard Nodet, Le Puy 1958, p. 107; in seguito: Nodet). Invitava i fedeli a unirvi la loro vita “come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12, 1). Si offriva egli stesso: “Un sacerdote fa dunque bene a offrirsi in sacrificio ogni mattina” (Nodet, 107). Offriva tutta la sua vita, costantemente unita a Dio nella preghiera, divorato dal servizio spirituale ai suoi fedeli, segretamente segnato dalle penitenze personali accettate per la loro conversione e la propria salvezza. Ha cercato di imitare Cristo fino ai limiti delle umane possibilità. Ed è divenuto non solo sacerdote, ma vittima, offerta, come Gesù.

Sapeva e proclamava con chiarezza che Gesù Cristo è “la pietra viva” e che tutti gli uomini - attraverso di lui, con lui e in lui - dovevano anch’essi divenire “pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (1 Pt 2, 5).

In Francia, cari fratelli e sorelle, avete numerosissime chiese, templi splendidi nei quali il genio degli artisti ha cercato, a partire dalle pietre inerti, di formare in un certo senso uno spazio esterno per la presenza di Dio. Giovanni-Maria Vianney è sbocciato beneficiando di tutta la splendida tradizione di questi templi. Egli stesso si prodigava ad abbellire la sua piccola chiesa, secondo il gusto della sua epoca, in modo da onorare Dio e favorire la preghiera del suo popolo. Tuttavia sapeva che nessuno spazio esterno può essere questa “costruzione” di cui parla san Pietro nella sua prima lettera, perché nessuno di essi è di per sé un “tempio spirituale”. Il tempio spirituale deve essere costruito con le “pietre vive” del sacerdozio santo, comune a tutti i credenti battezzati. E la radice di questo sacerdozio è unica; esso ha una sola fonte: Gesù Cristo.

3. Gesù Cristo! Giovanni-Maria Vianney è venuto ad Ars per annunciare ai suoi parrocchiani questa verità fondamentale della nostra fede: Gesù Cristo, la pietra angolare, scelta da Dio, affinché su di essa si innalzi il tempio della salvezza eterna di tutta l’umanità, il tempio che riunisce “tutto il popolo dei redenti” (Preghiera eucaristica III), il popolo dei salvati.

E questo tempio è contemporaneamente quello della gloria di Dio che l’uomo è chiamato a contemplare, alla quale parteciperà, secondo le magnifiche parole di sant’Ireneo di Lione: “Lo splendore di Dio dà la vita; avranno dunque parte alla vita coloro che vedono Dio . . . La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Adversus haereses, IV, 20, 5-7). Questa fede faceva dire al curato d’Ars: “Il nostro amore sarà la misura della gloria che avremo in paradiso. L’amore di Dio riempirà e inonderà tutto . . . Noi lo vedremo . . . Gesù è tutto per noi . . . Tutti insieme non formate che un solo corpo con Gesù Cristo” (Nodet, 245-249).

È vero che questa pietra angolare - Gesù Cristo - è stata scartata dagli uomini, scartata sino alla condanna alla morte della croce, sul Golgota; ma dinanzi a Dio egli rimane la pietra “scelta e preziosa”. Si legge infatti nella Scrittura: “Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso” (1 Pt 2, 6).

4. Giovanni-Maria Vianney è venuto ad Ars quale uomo che aveva creduto. Aveva creduto con tutta la sua anima e con tutto il suo cuore, con tutta la grazia del suo sacerdozio. Aveva creduto in Cristo come pietra angolare. “Chi crede in essa non resterà confuso”.

Il curato d’Ars ha portato ai suoi parrocchiani questa certezza fondamentale della fede: la certezza della salvezza che è in Gesù Cristo. “Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d’inciampo e pietra di scandalo. Vi inciampano perché non credono alla parola” (1 Pt 2, 7-8). Ecco che cosa ha insegnato Pietro. Ecco che cosa ha insegnato il curato d’Ars.

La parola “salvezza” è quella che torna più spesso sulle labbra di Giovanni-Maria Vianney. Egli non ha mai smesso di avvertire i propri fedeli, specialmente le anime tiepide, indifferenti, peccatrici, incredule, del rischio che correvano per la loro salvezza, rifiutando di seguire la via della fede e dell’amore tracciata dal Salvatore; voleva evitar loro di cadere, di essere smarrite, allontanate dalla Luce e dall’Amore per sempre. Tuttavia aggiungeva: “Questo buon Salvatore è così colmo d’amore che ci cerca dappertutto” (Nodet, 50).

Le parole di Pietro e del curato d’Ars non sono forse un’eco di quelle profetiche che Simeone aveva già pronunciate su Gesù appena nato, quaranta giorni dopo la sua nascita. “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti . . . segno di contraddizione”? (Lc 2, 34).

5. Il curato d’Ars ha avuto la stessa fede in Cristo Gesù che hanno avuto Simeone e l’apostolo Pietro. “In nessun altro c’è salvezza” (At 4, 12). Forte di questa fede, è venuto qui, mandato dal vescovo per rendere presente ed efficace l’opera della salvezza.

I suoi parrocchiani d’allora forse non erano molto familiarizzati con le questioni di fede, il vicario generale l’aveva avvertito: “Non c’è molto amore di Dio in questa parrocchia, voi ne metterete”. Ed ecco che a queste genti di Ars - e a tutti coloro che sarebbero venuti a unirsi a loro - egli non esitava ad annunciare, attraverso la sua parola e la sua vita, questo messaggio di Pietro che risuona con tanta forza nell’insegnamento del Concilio Vaticano II: “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato” (1 Pt 2, 9).

Sì, ecco che cosa siete, cari fratelli e sorelle. Questa è la vostra dignità, questa è la vostra vocazione di laici battezzati e confermati: “perché proclamiate le opere meravigliose di Colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1 Pt 2, 9). Il curato d’Ars ha camminato egli stesso in questa luce. Egli sapeva che era destinata a tutti: tutti sono chiamati a questa “ammirabile luce”.

Successivamente, il Concilio Vaticano II ha sottolineato questa dignità e questa responsabilità dei battezzati: essi partecipano al sacerdozio di Cristo per l’esercizio del culto spirituale, alla sua funzione profetica per testimoniare, al suo servizio regale. Essi “hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio . . . Comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione . . . alla santità (Lumen Gentium, 32). Il curato d’Ars non ha mai cessato di ricordare ai fedeli la loro dignità di esseri amati da Dio, santificati da Cristo, e chiamati a seguirlo.

6. Sì, tutti sono chiamati, e costantemente chiamati, a venire alla luce, a uscire dalle tenebre. Talvolta da tenebre molto profonde. Tenebre che oscurano lo spirito, tenebre del peccato. L’oscurità dell’incredulità.

Cento anni dopo, il Concilio Vaticano II avrà dinanzi agli occhi la stessa realtà. Esso ricercherà le strade dell’incontro, di dialogo coi non-credenti, coi credenti di altre religioni. E sapendo che, in definitiva, si tratta sempre del “dialogo della salvezza”, così come lo ha ben definito il mio predecessore Paolo VI. Il curato d’Ars sapeva bene che ciò che importa è il dialogo della salvezza. E lo faceva costantemente progredire con tutti i mezzi permessigli dalla sua epoca. Lo si potrebbe rimproverare di aver condotto questo dialogo della salvezza in luoghi così semplici, così spogli, che ci commuovono ancora: questa vecchia cattedra di catechismo, questo confessionale che ha occupato in modo instancabile?

7. Ciò che conta è innanzitutto il fatto che si trattava di un vero dialogo della salvezza, di un dialogo straordinariamente fruttuoso che ci lascia, ancor oggi, confusi. I frutti che esso dava erano dovuti a questa “ammirabile luce” che non viene dall’uomo, ma da Dio. Il ministero sacerdotale del perdono è sempre un dono dall’alto; tramite il sacerdote che è stato ordinato a questo ministero, è Cristo che illumina, che guarisce, che perdona. L’anima ardente d’amore del curato d’Ars si prestava meravigliosamente a questa azione di Cristo. I frutti che esso dava erano frutti di misericordia, vale a dire dell’amore misericordioso di Dio, grazie al quale coloro che erano “un tempo esclusi dalla misericordia”, tornavano indietro avendo “ottenuto misericordia” (1 Pt 2, 10). Tornavano convertiti. Tornavano assolti dai loro peccati.

Il curato d’Ars prestava a Cristo queste parole: “Incaricherò i miei ministri di annunciare loro che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita” (Nodet, 135).

Oh, cari fratelli e sorelle, misurate voi a sufficienza la grazia incredibile che vi è nell’essere assolti dai propri peccati, nel tornare all’amore di Dio, allo stato di amicizia con lui, nel rinascere alla Vita di Dio, nell’essere abitato da lui, nell’essere reintegrato nel popolo di coloro che sono santificati da Dio? Guardate voi la croce sulla quale Cristo ha dato la propria vita per questa redenzione? Desiderate questo perdono, questa rinascita spirituale, che non ci si può dare da soli, e senza i quali la comunione con Dio e con i nostri fratelli non è vera? Vi preparate ad essa seriamente? Andate a chiedere questo sacramento di riconciliazione ai vostri sacerdoti? Lo vivete e lo celebrate degnamente?

Grazie all’umile servizio del curato d’Ars, coloro che non erano “affatto il popolo di Dio” divenivano vero “popolo di Dio”, tempio fatto di pietre vive, edificato sulla pietra angolare, su Cristo.

8. Edificare la Chiesa! È ciò che il curato d’Ars ha fatto in questo villaggio. La conversione, il perdono, preparati dalla sua predicazione rude e semplice, dovevano permettere ai suoi parrocchiani di progredire nella vita di unione con Dio, nel comportamento cristiano, nella testimonianza e nelle responsabilità apostoliche. L’Eucaristia era il culmine del raduno parrocchiale. Egli la celebrava in modo tale che ciascuno prendesse viva coscienza della presenza di Cristo. Invitava alla comunione frequente chi vi si era preparato. Insegnava ai suoi parrocchiani a pregare, ad adorare il santissimo Sacramento. O meglio, essi stessi si sentivano attratti a venire a pregare come lui in questa Chiesa.

Vegliava a che nessun lavoro o impegno impedisse la celebrazione della domenica. Correndo il rischio di opposizioni calunniose, combatteva, nella sua predicazione, i costumi o le abitudini che gli sembravano contrari allo spirito di verità, all’onestà, alla purezza, alla carità secondo il Vangelo, ma favoriva le sane feste popolari.

La sua parrocchia acquisì presto un volto nuovo. Egli stesso non mancava di andare a visitare gli ammalati, le famiglie. Si preoccupava specialmente dei poveri, delle orfanelle de “La Providence”, dei bambini senza istruzione. Radunava le giovani. Rafforzava i padri e le madri di famiglia nelle loro responsabilità educative. Formava confraternite. Suscitava la cooperazione dei parrocchiani, che, in una certa misura, si facevano carico delle opere. Affiancava a sé dei collaboratori da lui formati. Metteva in opera le missioni popolari. Educava alla preghiera e all’aiuto missionario, all’epoca in cui un altro figlio di questa diocesi, san Pietro Chanel, partiva per l’Oceania e moriva martire a Futuna.

Così il curato d’Ars incoraggiava le varie vocazioni al servizio della Chiesa, coi mezzi, secondo i metodi e seguendo i bisogni del suo tempo. Insieme ai laici, costruiva qui il tempio di Dio, in comunione coi suoi confratelli sacerdoti, il suo vescovo e il Papa. Ma tutti sapevano a che punto il suo insostituibile ministero di sacerdote, adempiuto in nome di Gesù Cristo, con lo Spirito Santo, aveva fatto scattare, animato e nutrito questo progresso.

9. Così dunque Cristo si è veramente fermato qui, ad Ars, all’epoca in cui vi era curato Giovanni-Maria Vianney. Sì, si è fermato. Egli ha visto “le folle” degli uomini e delle donne del secolo scorso “stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9, 36). Cristo si è fermato qui come il buon pastore.

“Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, diceva Giovanni-Maria Vianney, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina” (Nodet, 104).

E in questo luogo Cristo ha detto ai suoi discepoli, come una volta in Palestina, ha detto a tutta la Chiesa che è in Francia, alla Chiesa diffusa su tutta la terra: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!” (Mt 9, 37-38).

Oggi, lo dice allo stesso modo, perché i bisogni sono immensi, pressanti. I vescovi, successori degli apostoli, il successore di Pietro, vedono più di altri l’ampiezza della messe, con le promesse di un rinnovamento, e anche la miseria delle anime abbandonate a se stesse, senza operai apostolici. I sacerdoti hanno una viva coscienza di questo bisogno, loro che vedono in molti luoghi sfoltite le loro fila e che aspettano l’impegno di più giovani nel sacerdozio o nella vita religiosa. I laici, i focolari ne sono altrettanto convinti, loro che contano sul ministero del sacerdote per nutrire la loro fede e stimolare la loro vita apostolica. I bambini e i giovani lo sanno bene, loro che hanno bisogno del sacerdote per divenire discepoli di Gesù, e forse condividere la sua gioia di consacrarsi interamente al servizio del Signore, alla sua messe.

E noi tutti, che siamo qui riuniti, dopo aver meditato sulla vita e il servizio di san Giovanni-Maria Vianney, curato d’Ars, questo “operaio” insolito della messe in cui si opera la salvezza degli uomini, eleviamo una supplica fervida verso il Padrone della messe, preghiamo per la Francia, per la Chiesa attraverso il mondo intero: manda operai nella tua Messe! Manda operai!

 

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