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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(8-14 GIUGNO 1987)

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA CON I GIOVANI DI DANZICA

OMELIA DI GIOVANI PAOLO II

Penisola di Westerplatte di Danzica - Venerdì, 12 giugno 1987

 

1. A voi, che oggi siete riuniti qui a Westerplatte, a voi, nuova generazione di uomini del mare polacco e della Pomerania, e a voi, giovani di tutta la terra patria, trasmetto il saluto della Chiesa di Cristo e il bacio della pace.

Vi trasmetto questo saluto a nome di tutte le vostre coetanee e i vostri coetanei, dei diversi paesi e continenti, che mi è stato dato di visitare, adempiendo il servizio di Pietro, che è unito nella Chiesa alla sede vescovile romana.

In modo particolare vi porto il saluto della gioventù riunita la Domenica delle Palme di quest’anno a Buenos Aires per celebrare la “Giornata della Gioventù” insieme a Cristo crocifisso e risorto.

Questa “Giornata”è il frutto di molti pellegrinaggi che i giovani sono soliti compiere per incontrarsi proprio in tale giorno, con il Papa, in piazza san Pietro a Roma. E in particolare è il frutto della nostra partecipazione all’“Anno Internazionale della Gioventù” proclamato nel 1985 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Oggi ci incontriamo qui, nella vostra comunità giovanile di Danzica, Gdynia e Sopot - delle tre città e della Pomerania, a questo incontro prendono parte anche i rappresentati della gioventù di tutta la Polonia, specialmente degli ambienti universitari. Ci incontriamo sentendoci uniti a tutti i giovani del mondo, in cammino verso il futuro - e in cerca di vie verso quel futuro tra timori, ma anche tra speranze - come dice la costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.

Tutti desideriamo un mondo più umano, in cui ognuno possa trovare il posto rispondente alla propria vocazione. In cui ciascuno possa essere il soggetto della propria sorte e allo stesso tempo compartecipe della comune soggettività di tutti i membri della propria società. Coartefici della casa del futuro, che tutti debbono costruire insieme, consapevoli dei propri doveri ma anche dei propri inalienabili diritti umani.

2. Durante l’“Anno Mondiale della Gioventù” ci siamo chinati, insieme ai giovani di tutta la Chiesa, proprio su questo testo del Vangelo che è stato letto oggi qui. Tutta la “Lettera ai giovani e alle giovani del mondo”, che in quello stesso anno ho indirizzato a tutti - ovviamente anche alla gioventù polacca - vuole essere infatti un’ampia analisi dell’incontro e del colloquio di Cristo con il giovane.

E anche oggi ricorro a quella lettera. E allo stesso tempo, prendendo in considerazione le particolari circostanze del nostro incontro a Wasterplatte, riprendo - insieme a voi - ancora una volta l’analisi di quell’incontro e di quel colloquio.

Il giovane domanda a Cristo: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Mc 10, 17). In risposta, colui che il giovane ha chiamato “Maestro buono” (cf. Mc 10, 17) gli indica i comandamenti divini. “Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza (cioè: sii sincero), non ingannare, onora il padre e la madre” (Mc 10, 19).

I comandamenti di Dio. Il Decalogo. Li conosciamo bene. Li sappiamo a memoria - e spesso li ripetiamo. Essi convincono ogni uomo con la diretta ovvietà della verità in essi contenuta. Dio ha dato questi comandamenti al popolo dell’antica alleanza, tramite Mosè, ma contemporaneamente essi sono, anche senza questa consegna, già inscritti “nel cuore dell’uomo”. La consegna di questi comandamenti da parte di Dio è in un certo senso la conferma della loro presenza nella coscienza morale dell’uomo. Ed insieme il rafforzamento del loro obbligo nella coscienza di ciascuno.

3. In questo modo ci troviamo il centro stesso del problema, che si chiama: uomo. L’uomo: ognuno e ognuna di voi.

L’uomo è se stesso in virtù della verità interiore. Questa è la verità della coscienza, che si riflette nelle opere. In questa verità ogni uomo è affidato a se stesso. Ognuno di questi comandamenti, elencati con convinzione dal giovane interlocutore di Cristo, ogni principio della morale, è un punto particolare da cui partono le vie di comportamento e prima di tutto le vie delle coscienze. L’uomo agisce secondo la verità ivi espressa, la quale allo stesso tempo gli viene dettata dalla coscienza, oppure agisce contro questa verità. In questo punto inizia il dramma essenziale antico quanto l’uomo. Nel momento in cui viene mostrato il comandamento divino, l’uomo sceglie tra il bene e il male. Nel primo caso - cresce come uomo, diventa sempre più quello che deve essere. Nel secondo caso - l’uomo si degrada. Il peccato sminuisce l’uomo.

Non è così? Guardatevi intorno! Guardate gli ambienti più vicini e più lontani! Non è così?

4. Si parla giustamente dei diritti dell’uomo.

Si sottolinea, specialmente nella nostra epoca, la loro importanza. Non si può tuttavia dimenticare, che i diritti dell’uomo esistono affinché ognuno abbia lo spazio necessario l’adempimento dei propri compiti e obblighi. Perché possa in questo modo svilupparsi.

Perché possa diventare più uomo. I diritti dell’uomo devono essere la frase di quella forza morale, che l’uomo raggiunge mediante là fedeltà alla verità e al dovere. Mediante la fedeltà alla retta coscienza. Sì, mediante la fedeltà ai comandamenti di Dio, così come si parla nel colloquio di Cristo con il giovane. Si tratta infatti di valori duraturi ed immutabili.

Il giovane del Vangelo è consapevole, che l’osservanza dei comandamenti divini è la via per “la vita eterna”. Sì. L’uomo vive in questa prospettiva. E questa prospettiva di vita eterna, dell’incontro con Dio, che è il mio Creatore, Padre, e Giudice - costituisce la sorgente della forza morale dell’uomo.

Che cosa posso augurare a voi, giovani in terra patria, e in condizioni materiali a volte difficili, a volte addirittura privi in qualche modo della stessa speranza? Che cosa? Penso che a questo punto certamente non sbagliamo leggendo il testo evangelico.

Questa prospettiva, consolidata in noi dalle parole di Cristo, è per l’uomo, sin dalla giovinezza, sorgente di forza morale. Un ragazzo, una ragazza che impareranno ad aver contatto con Dio in base all’intima verità della propria coscienza, sono forti. Possono far fronte a svariate situazioni, persino molto difficili.

5. Una minaccia è il clima di relativismo. Una minaccia è il vacillare di principi e di verità sulle quali si edificano la dignità e lo sviluppo dell’uomo. Una minaccia è l’infiltrarsi di opinioni e di idee, che servono a questo vacillare.

Qui sono attuali le parole del Cardinale Newman, che vi è bisogno “di uomini che conoscono la propria religione e l’approfondiscono; che sanno precisamente quale è la loro posizione, che sono consapevoli di ciò in cui credono e in che cosa non credono; che conoscono così bene il loro “Credo” da essere capaci di renderne conto; che hanno talmente conosciuto la storia da saperla difendere” (J. H. Newman, On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine, London 1986, p. 76).

Il giovane del Vangelo aveva una idea molto chiara dei principi secondo i quali si dovrebbe costruire la vita umana. E tuttavia anche lui, in un certo momento non ce l’ha fatta a superare la soglia dei propri condizionamenti. Quando Cristo, disse fissandolo con amore: “vieni e seguimi” (cf. Mc 10, 21) - lui non ci andò.

Non ci andò perché “aveva molti beni” (Mc 10, 22). Il desiderio di conservare tutto quello che possedeva glielo impedì. Il desiderio di “avere”, di “avere di più” gli impedì di “essere di più”. Infatti la via indicata da Cristo portava ad “essere di più”! Sempre concludono a questo le indicazioni del Vangelo. In ogni professione o vocazione, senza alcuna eccezione - la chiamata di Cristo porta a questo. La vostra vocazione e le vostre mansioni sono varie. Dovete ben riflettere - su ciascuna di queste vie - quale è il rapporto tra l’“essere di più” e l’“avere di più”.

Mai però deve vincere solo l’“avere di più”. Poiché allora l’uomo può perdere la cosa più preziosa: la sua umanità, la sua coscienza, la sua dignità, tutto ciò che costituisce anche la prospettiva “della vita eterna”. “La vita eterna” - è il regno di Dio. I comandamenti di Dio sono la via ad esso.

Però . . . Non è forse vero che allo stesso tempo dipende da essi ciò che qui sulla terra si può chiamare il “regno dell’uomo”? Può la vita in qualunque luogo della terra essere il “regno dell’uomo” se si respingono questi comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre?

6. Il giovane interlocutore di Cristo “se ne andò” e “se ne andò afflitto” (Mc 10, 22). Perché afflitto?

Può darsi che egli si rendesse conto di quanto perdeva. Davvero. Perdeva moltissimo. Se fosse rimasto con Cristo come gli apostoli, sarebbe arrivato al giorno della Pasqua di Gerusalemme. Sarebbe arrivato alla croce sul Golgota ma poi anche alla risurrezione. E alla discesa dello Spirito Santo. Sarebbe arrivato alla trasformazione mirabile concessa agli apostoli il giorno di Pentecoste. Divennero uomini nuovi.

Raggiunsero la forza interiore della verità e dell’amore. Se fosse rimasto con Cristo, quel giovane si sarebbe convinto che egli - il Maestro - “dopo aver amato i suoi . . . li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). E proprio per mezzo di questo amore “sino alla fine”, ha dato loro “il potere di diventare figli di Dio” (cf. Gv 1, 12). Essi - uomini comuni, uomini deboli.

Proprio per questo la Chiesa in Polonia nel corso di questi giorni del Congresso Eucaristico si concentra su questo amore di Cristo “sino alla fine”, per scoprire la sorgente della stessa forza spirituale davanti a tutti i figli e le figlie di questa terra polacca tanto provata. Per scoprire questa forza davanti a voi: giovani.

7. Scoprire questa forza dello spirito, la forza delle coscienze, la potenza della grazia e del carattere è particolarmente indispensabile proprio in questa generazione.

Questa forza è necessaria per non cadere nella tentazione della rassegnazione, dell’indifferenza, del dubbio, oppure dell’emigrazione interiore; nella tentazione di una multiforme fuga dal mondo, dalla società, dalla vita. Anche nella tentazione di fuga nel senso letterale della parola - di abbandonare la patria; nella tentazione dell’assenza di speranza, che porta all’autodistruzione della propria personalità, della propria umanità mediante l’alcolismo, la droga, gli abusi sessuali, la ricerca di sensazioni e il rifugio nelle sette o associazioni così estranee alla cultura, alla tradizione e allo spirito della nostra nazione.

Questa forza è necessaria, per saper da soli raggiungere le fonti della conoscenza del vero insegnamento di Cristo e della Chiesa, specialmente quando in diversi modi si cerca di convincervi, che ciò che è “scientifico” e “progressista” contraddice il Vangelo, quando vi si offre la liberazione e la salvezza senza Dio, o persino contro Dio. Vi è bisogno di questa forza per vivere autenticamente nella comunità della Chiesa, per partecipare alla formazione di ambienti che si basano sull’accettazione di Cristo. Verità, per condividere con la comunità la propria ricchezza ed anche le proprie ricerche.

Vi è bisogno di questa forza per vivere eroicamente ogni giorno, anche in una realtà oggettivamente difficile, per mantenere la fedeltà alla coscienza nel lavoro professionale, per non soccombere al conformismo, oggi di moda, per non rimanere muti mentre l’altro subisce un torto, ma avere il coraggio di esprimere una giusta opposizione ed assumere la difesa. L’eroismo odierno di un giovane è il coraggio pieno di iniziativa, di una palpitante persistenza in una testimonianza di fede e di speranza. Non la fuga da una situazione difficile. Vi è bisogno di questa forza per vivere un’autentica vita di fede, vita sacramentale, rinnovata specialmente nel sacramento della penitenza e dell’Eucaristia.

Vi è bisogno di questa forza per svolgere l’apostolato nel proprio ambiente per mezzo della gioia e della speranza, per donarsi agli altri nel lavoro, nella famiglia, nella scuola o nell’università, nella comunità parrocchiale e dovunque a misura delle proprie possibilità. Vi è bisogno di questa forza, per esigere da se stessi. Affinché la vostra condotta non venga guidata dalla voglia di soddisfare ad ogni costo i propri desideri, ma il senso di dover compiere ciò che è giusto, ciò che è doveroso. Accogliete le parole che ho detto una volta ai giovani a Jasna Gora: “. . .  dovete esigere da voi stessi, anche se gli altri non esigessero da voi” (Giovanni Paolo II, Discorso tenuto ai giovani a Jasna Gora, 18 giu. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 1565). Il futuro della nazione dipende da voi, da come formerete il vostro carattere, il vostro modo di vedere il mondo, la vostra volontà di impegno nella trasformazione della realtà. Ogni generazione di Polacchi si trova davanti al problema di lavoro su di sé, e nessuno deve rifuggire dal dare la risposta alla sfida dei propri tempi. Per un cristiano la situazione mai è priva di speranza. La forza scaturisce dalla preghiera e dal sacrificio che è l’espressione dell’amore.

8. Qui, in questo luogo, a Westerplatte, nel settembre del 1939, un gruppo di giovani polacchi, soldati sotto il comando del maggiore Henryk Sucharski, resisteva con una nobile ostinazione, impegnandosi in una lotta ineguale contro l’invasore. Una lotta eroica.

Sono rimasti nel ricordo della nazione come un simbolo eloquente.

Bisogna che questo simbolo continui a parlare, che esso costituisca una sfida per gli uomini sempre nuovi e per le generazioni sempre nuove di Polacchi.

Anche ognuno di voi, giovani amici, trova nella vita una sua “Westerplatte”. Una dimensione dei compiti che deve assumere ed adempiere. Una causa giusta, per la quale non si può non combattere. Qualche dovere, qualche obbligo, da cui uno non si può sottrarre. Da cui non è possibile disertare. Infine - un certo ordine di verità e di valori che bisogna “mantenere” e “difendere”: dentro di sé e intorno a sé.

Sì: difendere per sé e per gli altri. Disse il servo di Dio, Vescovo Kozal: “Di una sconfitta da arma fa inorridire di più l’abbattimento dello spirito degli uomini. Il dubbioso diventa involontariamente alleato del nemico” (Ks. W. Fratczak, Biskup Michal Kozal, in “Chrzescijanie”, vol. 12, Warszawa 1982, p. 85).

Proprio allora, in un tale momento (e simili momenti sono molti, non costituiscono solamente qualche eccezione), allora dunque, in un momento così, ricordatevi: ecco, nella tua vita sta passando il Cristo e dice: “seguimi”. Non abbandonarlo.

Non andare via. Accogli questa chiamata. Altrimenti - può darsi che tu conservi “molti beni” - però “andrai via afflitto”. Rimarrai con la tristezza della coscienza.

9. Cari amici! Desidero dire alle vostre coetanee e ai vostri coetanei che ho incontrato nei diversi luoghi della terra, come oggi mi incontro con voi, che: - vi sono in Polonia giovani, i quali desiderano un mondo migliore; più umano.

Un mondo di verità, di libertà, di giustizia e di amore; - che questo desiderio - nonostante tutte le difficoltà - essi tentano di metterlo in atto e di renderlo una realtà nei loro ambienti, nella loro nazione e società; - che essi persistono nel colloquio con Cristo: ascoltano la sua chiamata “seguimi”, e cercano di applicarla alle diverse vocazioni e ai diversi “doni”, ai quali partecipano nella Chiesa e nella società; - che essi non vogliono separarsi dal nostro Maestro e Redentore tra l’afflizione della coscienza, ma con perseveranza cercano presso di lui la forza e la gioia, una forza e una gioia che “il mondo non può dare” (cf. Gv 14, 27). Che dà solo lui: il Cristo - e la sua Eucaristia.



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