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CONCELEBRAZIONE PER L'INIZIO DELL'ANNO ACCADEMICO 1987-1988
DELLE UNIVERSITÀ ECCLESIASTICHE DI ROMA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Martedì, 20 ottobre 1987

 

1. “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra” (Mt 11, 25).

Desideriamo che queste parole, pronunziate da Cristo quando - come annota l’evangelista - “esultò nello Spirito Santo” (cf. Lc 10, 21), diventino per noi motivo ispiratore nel giorno in cui inauguriamo un nuovo anno accademico.

In tale giorno ci ritroviamo uniti insieme. Come vescovo della Chiesa che è in Roma sento un particolare bisogno di questa comunità, di quest’assemblea eucaristica, e traggo perciò una particolare gioia da questa inaugurazione.

La prima parola, in questo nuovo anno di lavoro iniziato dagli Atenei ecclesiastici, sia di Cristo, proprio questa parola: “Ti benedico, o Padre”.

2. Le parole dell’odierna liturgia contengono una lode della sapienza, dell’intelligenza, della scienza. Questa lode è proclamata dall’autore del Libro del Siracide il quale ci pone davanti agli occhi un uomo dotato di questi attributi, che sono insieme grandi doni di Dio.

L’autore biblico scrive: “Molti loderanno la sua intelligenza, egli non sarà mai dimenticato. I popoli parleranno della sua sapienza, l’assemblea proclamerà le sue lodi” (Sir 39, 9-10).

Per mezzo di queste parole della liturgia tutti siamo chiamati a partecipare in modo creativo alla grande opera dell’intelligenza, della conoscenza, della scienza, della sapienza. Sono chiamati a questo simultaneamente i professori e gli studenti, i docenti e i discepoli ciascuno nel modo che gli è proprio. Questa chiamata si rinnova all’inizio di ogni anno accademico.

3. È Gesù che benedice il Padre, Signore del cielo e della terra, parla nello stesso tempo delle cose che, nascoste ai sapienti e agli intelligenti, sono rivelate invece ai piccoli (cf. Mt 11, 25).

L’apostolo Paolo sembra andare oltre in questa direzione, quando scrive ai Corinzi: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i forti” (1 Cor 1, 27).

Così, alla soglia di un nuovo anno accademico, ci troviamo dinanzi a un particolare paradosso.

Siamo chiamati a partecipare alla grande opera dell’intelletto umano, della conoscenza, della scienza, della sapienza umana, e nello stesso tempo siamo come prevenuti a non fermarci soltanto alla dimensione umana di quest’opera. Siamo chiamati sulla via dei “piccoli” del Vangelo. Secondo le parole dell’Apostolo, proprio ciò che “è stolto” nel mondo, diventa sinonimo della via che conduce al Signore; sinonimo di elezione.

4. Il periodo degli studi, così come il periodo di preparazione al sacerdozio, oppure alla professione religiosa, è tempo per affrontare con coerenza questo grande paradosso.

Esso non comporta, in realtà, una grande contraddizione.

Non vi è una contraddizione tra tutto ciò che l’uomo è in grado di conoscere con l’intelletto e ciò che, oltre a questo, Dio vuole dire all’uomo nella sua Parola.

Vuole dirlo, perché così gli piace (cf. Mt 11,26).

Cristo dice: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).

Siamo quindi chiamati alla conoscenza come frutto del lavoro intellettuale, dell’imparare, e insieme come frutto del simultaneo aprirci al mistero di Dio.

Una tale conoscenza è compimento della Sapienza.

5. L’odierna liturgia contiene ancora un altro appello, che è in un certo senso parallelo a quello precedente.

Il salmista dice “Con tutto il cuore ti cerco: / non farmi deviare dai tuoi precetti. / Conservo nel cuore le tue parole / per non offenderti con il peccato. / Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia / più che in ogni altro bene” (Sal 119, 10-11.14).

Così dunque in questa grande opera che iniziamo alla soglia dell’anno nuovo, deve essere presente l’uomo intero: l’intelletto e il cuore; l’intelletto e la volontà. Quest’opera, infatti, è nello stesso tempo istruzione ed educazione. È scienza ed ascesi.

Bisogna mantenere un equilibrio organico tra l’uno e l’altro aspetto. Bisogna fare costantemente una sintesi.

6. Una tale sintesi è esigente, ma è ad un tempo attraente.

Si può applicare ad essa ciò che Gesù dice del “giogo”:

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 29-30).

Quante cose ha detto Cristo in queste parole! Quanto profondamente ha caratterizzato la via sulla quale ci chiama!

La sintesi della sapienza e dell’umiltà è l’eterna eredità dei discepoli del divin Maestro: “Imparate da me”.

7. Che cosa dobbiamo augurarci reciprocamente in occasione dell’odierno avvio dell’anno accademico? Che cosa dobbiamo augurare a quanti si impegnano nello stesso lavoro nelle varie Università ecclesiastiche sparse in ogni parte del mondo?

Penso che tutto sia contenuto in queste parole: “Imparate da me”.

Quest’anno, che sta per iniziare, ci aiuti a diventare maggiormente discepoli di Cristo. Ci aiuti tutti: quelli che insegnano e quelli che sono discepoli. Tutti e ciascuno.

Gesù dice “Venite a me, voi tutti”.

Muoviamoci, dunque, e andiamo!

Voglio affidare questo nuovo anno accademico, a Roma e dappertutto nel mondo, in modo speciale a colei che la Chiesa venera come “Sedes Sapientiae”.

 

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