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CONCLUSIONE DEL RITIRO MONDIALE PER SACERDOTI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro - Martedì, 18 settembre 1990

 

“Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4, 20).

1. Anche i nostri occhi interiori, carissimi fratelli nel sacerdozio, sono ora fissi su Gesù di Nazaret: egli, ripieno di Spirito Santo, è “il primo e il più grande evangelizzatore”, è il modello per antonomasia, anzi la fonte inesauribile da cui deriva, giorno dopo giorno, la missione evangelizzatrice della Chiesa e di tutti i suoi membri.

Gesù presenta se stesso e la sua missione a partire dallo Spirito: “Lo Spirito del Signore è sopra di me”. Sono le parole profetiche di Isaia, che egli dichiara compiersi su di lui: “Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»” (Lc 4, 18. 21).

Lo Spirito Santo è il principio interiore, la forza e il dinamismo permanente della missione evangelizzatrice del Signore Gesù. Lo stesso Spirito sta alla radice d’ogni evangelizzazione che si compie nella storia: “L’evangelizzazione - ha scritto Paolo VI nell’esortazione Evangelii nuntiandi (n. 75) - non sarà mai possibile senza l’azione dello Spirito Santo”.

2. “Lo spirito del Signore . . . mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4, 18). La profezia di Isaia prosegue illustrando in che cosa consista tale messaggio. Esso è annuncio di liberazione da tante forme di schiavitù, che pesano sui singoli uomini e che opprimono popoli interi. Schiavitù legate a situazioni economico-sociali, ma anche a culture e ideologie non rispettose dell’uomo e della sua dignità personale. Il Messia è venuto “per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi”.

Ma la liberazione che il Messia è venuto ad annunciare riguarda anche la schiavitù più radicale che l’uomo può sperimentare, quella del male morale, del peccato: Gesù è mandato a “predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 19).

La situazione nella quale vive l’uomo contemporaneo, carissimi fratelli, è caratterizzata da una vasta e complessa condizione di schiavitù in campo morale. Il peccato dispone oggi di mezzi di asservimento delle coscienze ben più potenti e insidiosi che nel passato. La forza contagiosa delle proposte e degli esempi cattivi può avvalersi dei canali di persuasione offerti dalla multiforme gamma dei mezzi di comunicazione di massa. Avviene così che modelli di comportamento aberranti vengono progressivamente imposti alla pubblica opinione non solo come legittimi, ma anche come indicativi di una coscienza aperta e matura. Si instaura così una rete sottile di condizionamenti psicologici, che ben possono assimilarsi a vincoli inibitori di una vera libertà di scelta. Il Vangelo di Cristo deve essere oggi annunciato dalla Chiesa come fonte di liberazione e di salvezza anche nei confronti di queste moderne catene che inceppano la nativa libertà dell’uomo.

Nell’adempiere questo compito la Chiesa altro non fa che prolungare nel tempo, partecipandovi, come sposa congiunta allo Sposo, la missione evangelizzatrice di Cristo, suo Signore. Anche la Chiesa può ripetere: “Lo Spirito del Signore è sopra di me . . . mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio”.

3. Nella sua evangelizzazione Gesù non si è limitato a “proclamare” la liberazione, ma ha rimesso in libertà gli oppressi. Se questo ha potuto fare, è perché egli stesso è questa libertà annunciata e donata al mondo. È la libertà “radicale”, perché egli stesso in persona è la salvezza, è la grazia che salva e che fa il cuore “nuovo”. Ed è il fondamento e il compendio di tutte le libertà “derivate”, quelle che esprimono e attestano la dignità personale d’ogni uomo. Questa stessa dignità giunge al suo compimento con il dono della “libertà dei figli di Dio”.

Gesù opera efficacemente questa libertà di salvezza mediante il dono dello Spirito Santo: è lo Spirito la sorgente della salvezza e della libertà dei figli di Dio, quello stesso Spirito di cui Gesù dice d’essere ripieno. “Lo Spirito del Signore è sopra di me”. Così lo Spirito non è solo il principio dell’opera evangelizzatrice di Cristo, ma ne costituisce anche il contenuto e il frutto originale.

4. Dallo Spirito deriva la missione di Cristo. Essa scaturisce dall’interiore consacrazione che lo Spirito ha operato nel Signore Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato . . .”. Prima la consacrazione, e poi la missione. Una consacrazione per la missione.

Gesù è scelto dal Padre: è l’eletto per antonomasia. Lo Spirito lo “unge” nel seno purissimo della Vergine Madre, ossia lo riempie di santità, lo costituisce “proprietà sacra”, a Dio, lo fa appartenere a Dio e ai suoi disegni di salvezza. In Gesù, il “profeta grande”, si compie pienamente e definitivamente la parola del Signore rivolta a Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” (Ger 1, 5).

Così è degli apostoli, così è della Chiesa: ricevono il dono dello Spirito come dono di santificazione e come fonte e spinta alla missione. Ha scritto Paolo VI nell’esortazione Evangelii nuntiandi (n. 75): “Di fatto, soltanto dopo la discesa dello Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste, gli apostoli partono in tutte le direzioni del mondo per cominciare la grande opera di evangelizzazione della Chiesa, e Pietro spiega l’evento come realizzazione della profezia di Gioele: “Io effonderò il mio spirito”. Pietro è ricolmato di Spirito Santo per parlare al popolo su Gesù, Figlio di Dio. Paolo, a sua volta, è riempito di Spirito Santo prima di dedicarsi al suo ministero apostolico, come pure è Stefano quando è scelto per esercitare la diaconia, e più tardi per la testimonianza del martirio. Lo stesso Spirito che fa parlare Pietro, Paolo, o i dodici apostoli, ispirando loro le parole da dire, discende anche sopra coloro che ascoltano la parola di Dio”.

5. Una consacrazione per la missione. Per noi sacerdoti c’è in tutto ciò il richiamo a ritornare alle radici sacramentali del nostro sacerdozio: il sacramento dell’Ordine ci ha “unti” col carattere sacramentale e ci ha “santificati” col dono dello Spirito. Ci ha elargito una partecipazione all’unzione e santificazione stessa di Gesù. Il dono della “santità” rende possibile ed esige una continua “santificazione”. Dalla santità ontologica, conferita nel sacramento dell’Ordine, scaturisce l’impegno della santità morale.

Proprio questa santità-santificazione deve stare alla base della nostra missione evangelizzatrice. Siamo così invitati a cogliere più attentamente i molteplici e profondi legami che sussistono tra il nostro quotidiano impegno di santificazione sacerdotale e la nostra opera di evangelizzazione.

6. Il primo legame può essere così formulato: la santificazione è una “condizione” che Dio stesso ha posto per la maggior efficacia dell’evangelizzazione. Certo, il Vangelo di Dio ha una sua efficacia oggettiva, che deriva dall’essere non parola umana ma parola di Dio. Ma Dio stesso, assumendo degli uomini liberi e responsabili come collaboratori nella opera di salvezza, ha voluto far dipendere anche da loro l’efficacia più o meno grande di questa stessa opera di salvezza.

Un secondo legame si riconnette al primo: la forza soprannaturale dell’opera evangelizzatrice sta nel dono dello Spirito, sta nella santità-santificazione. Quante volte sentiamo tutta la nostra povertà, inadeguatezza, impotenza di fronte alla straordinaria missione che il Signore ci affida. L’esperienza del giovane Geremia diventa la nostra esperienza: “Risposi: Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare perché sono giovane” (Ger 1, 6). Ma il dono dello Spirito che ci santifica fa udire anche a noi le confortanti parole del Signore rivolte al suo profeta. “Ma il Signore mi disse: «Non dire: Sono giovane, ma va’ da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti»” (Ger 1, 7-8).

Qui ha il suo fondamento la nostra fiducia, qui poggia il nostro ottimismo. Nulla potrà incrinarlo, perché nulla è più forte di Dio. Se nella fede ci aggrappiamo a lui, egli farà udire anche al nostro cuore quanto disse all’apostolo Paolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9).

Un terzo legame emerge a questo punto, ed è il più profondo: questa stessa santificazione si fa evangelizzazione. Proprio la santità-santificazione diventa annuncio di Cristo, anzi dono di Cristo. Sì, perché Vangelo non è primariamente la serie di “verità” che Gesù ha proclamato, ma è lui stesso in persona, lui via, verità e vita. Solo chi possiede Cristo, perché lo desidera, lo ama, sta in intima e permanente e progressiva comunione di vita con lui, diviene “testimone” e quindi “evangelizzatore” credibile.

7. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione; e mi ha mandato per . . . predicare un anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2; Lc 4, 18-19.). L’“anno di grazia del Signore” deve ritmare il tempo del cuore di ciascuno di noi: solo così potrà ritmare la storia di questa nostra umanità all’aprirsi del terzo millennio dell’era cristiana.

 

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