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MESSA DI PENTECOSTE NEL I CENTENARIO DELLA «RERUM NOVARUM»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 19 maggio 1991

 

Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi . . . Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 21-22).

Pace a voi!

1. Con queste parole di Cristo risorto saluto oggi, nel giorno della Pentecoste, l’intera Chiesa presente in tutti i luoghi della terra. Saluto in modo particolare questa Chiesa che è in Roma, costruita sul fondamento degli apostoli Pietro e Paolo ed avente come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cf. Ef 2, 20).

Con queste parole del nostro Signore e Redentore desidero anche salutare tutti coloro che sono oggi convenuti nella Piazza di San Pietro, in occasione del centesimo anniversario dell’Enciclica Rerum novarum, pubblicata dal mio predecessore, il Papa Leone XIII.

Saluto poi tutti i presenti, nonché tutti coloro che si uniscono con noi nel giorno dell’odierna solennità, che è tra le più grandi dell’anno liturgico e conclude il tempo pasquale.

Lo Spirito di Verità
è il dono permanente della Chiesa

2. “Ricevete lo Spirito Santo”. Cristo risorto porta lo Spirito Santo agli apostoli, ed è così che lo Spirito è il Dono permanente nella Chiesa. Attraverso le generazioni e i secoli la Chiesa grida: “Scenda il tuo Spirito e rinnovi la terra” (e questo fa, in modo particolare, nell’odierna liturgia), e tale suo grido trova sempre risposta. Cristo stesso risponde! “Ricevete lo Spirito Santo”. E si verificano, al tempo stesso, le parole del Salmista sul rinnovamento della faccia della terra: “Mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 103, 30).

Questo rinnovamento in tutta la terra appare strettamente collegato con le parole che, subito dopo, furono pronunciate da Gesù nel Cenacolo: “A chi rimetterete i peccati - soggiunse - saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 23).

Nel corso della storia della Chiesa rinasce sempre di nuovo il peccato, ma sempre di nuovo lo Spirito di Verità viene dato agli apostoli per “convincere il mondo quanto al peccato” (Gv 16, 8), con annessa la superiore e soprannaturale facoltà di rimetterlo.

Leone XIII voce dello Spirito di Verità
per convincere il mondo circa il peccato sociale

3. Infatti, proprio questo accadde nel giorno di Pentecoste quando, alle persone allora riunite, che erano presenti alla festa in Gerusalemme, Simon Pietro, il capo degli apostoli, rivolse la sua parola, esortandole al pentimento per la remissione dei peccati (At 2, 38).

Cento anni fa si è ripetuta la stessa cosa in una nuova e tanto diversa fase della storia. Pietro, in persona del suo successore Leone XIII, divenne la voce dello Spirito di verità per convincere il mondo di allora circa il peccato: il grande peccato sociale e la conseguente grande minaccia all’intero ordinamento sociale, a motivo del conflitto insorto nel campo del lavoro umano e del capitale. Emanando il suo documento in merito al pericoloso conflitto, il Pontefice non offriva soltanto validi elementi ed argomenti per l’auspicata sua soluzione, ma, raccogliendo la voce dello Spirito, reagiva ai contrapposti pericoli con forte accento morale, denunciando il duplice peccato della società di allora: era, da una parte, il peccato contro la libertà personale, negata anche dal punto di vista economico; era, dall’altra, il peccato contro la giustizia sociale. Ascoltiamolo: “L’uomo . . . è padrone delle sue azioni; così, sotto la legge eterna e la provvidenza universale di Dio, egli è provvidenza a se stesso. Perciò, ha il diritto di scegliere le cose che ritiene più adatte a provvedere al presente e al futuro. Ne segue che deve avere sotto il suo dominio non solamente i prodotti della terra, ma la terra stessa” (Leonis XIII, Rerum novarum, 6). E ancora: “Quanto ai ricchi e ai padroni, essi non devono trattare l’operaio da schiavo; devono rispettare in lui la dignità della persona umana, nobilitata dal carattere cristiano . . . Quello che veramente è indegno dell’uomo è di usarlo come vile strumento di guadagno e di stimarlo solo per quel che valgono le sue energie fisiche” (Ivi, 16).

Il linguaggio delle esperienze umane sempre nuove

4. Gli Atti degli Apostoli rendono presente, in certo modo, l’evento della festa di Pentecoste a Gerusalemme. In questo evento assume un particolare significato il dono delle lingue.

Ecco, il vento che si abbatte gagliardo; e, subito dopo, ecco le lingue, “come di fuoco”, che si posano sopra ciascuno degli apostoli e su tutti coloro che sono riuniti nel Cenacolo. Poi ancora ecco, “essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2, 4).

Il testo degli Atti riferisce lo stupore provocato da un tale fenomeno: “Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?” (At 2, 7-8). E sono anche nominati distintamente i rappresentanti delle diverse nazionalità che, in quel giorno, erano presenti a Gerusalemme.

A distanza di circa duemila anni, si potrebbe allargare ed ampliare di molto questo racconto, e bisognerebbe quindi nominare le tante e ben più numerose altre lingue in cui, nel corso dei secoli e nel variare delle epoche, gli apostoli hanno parlato e parlano del Vangelo di Cristo. Ma non soltanto di questo. Essi hanno anche parlato e parlano col linguaggio delle esperienze umane sempre nuove, dei problemi e dei bisogni umani commisurati agli individui, alle comunità, alle nazioni e all’intera famiglia umana. E non è forse vero che Leone XIII parlò proprio con un tale nuovo ed adeguato linguaggio nella sua difficile epoca, quando cento anni fa pubblicò l’Enciclica Rerum novarum?

L’insegnamento sociale della Chiesa
sviluppo organico della Verità del Vangelo

5. Questo suo linguaggio ha costituito l’inizio di un nuovo insegnamento della Chiesa. Con esso hanno parlato anche i successori di Papa Leone nella sede romana; hanno parlato singoli Vescovi ed interi episcopati. Ha parlato il Concilio del nostro secolo: il Vaticano II.

In questo linguaggio, in questo moderno Magistero della Chiesa, in questo specifico insegnamento che è la cosiddetta dottrina sociale, si esprime e si compie un aspetto della missione che gli apostoli ricevettero da Gesù Cristo nel Cenacolo: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20, 21).

In realtà, il nuovo linguaggio, cioè, in concreto, l’insegnamento sociale della Chiesa non è che uno sviluppo organico della verità stessa del Vangelo. Esso è “il Vangelo sociale” dei nostri tempi, così come l’epoca storica degli apostoli ebbe il Vangelo sociale della Chiesa primitiva, e lo ebbe l’epoca dei Padri, in seguito quella di San Tommaso d’Aquino e dei grandi Dottori del Medioevo. Infine l’ha avuto il secolo XIX, pieno di grandi novità e di cambiamenti, di iniziative e di problemi che hanno tutti concorso a preparare il terreno per l’Enciclica Rerum novarum.

Lo Spirito rinnova la faccia della terra

6. “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, il quale opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12, 4-7).

Sì! Lo Spirito rinnova la faccia della terra, indicando le vie del bene, del bene comune, del bene che unisce persone, popoli e l’intera società umana.

Non è forse tale l’eloquenza dell’Enciclica di Leone XIII? Non è forse tale il fondamentale orientamento dell’intero Magistero della Chiesa nel presente secolo?

Non è vero forse che a questo rispondono le numerose “diversità di ministeri” nell’ambito della giustizia sociale e le molteplici “operazioni”, il cui comune denominatore, per così dire, ha dato origine al significativo binomio postconciliare “Iustitia et Pax”?

Per tutto questo - servizi, iniziative e realizzazioni - desideriamo oggi ringraziare. Ringraziare gli uomini - tante, tante persone sparse per tutta la terra, e specialmente i nostri fratelli e sorelle nella comunità della Chiesa cattolica e tutti quanti i cristiani. Ma non soltanto essi! Ci sono, infatti, tanti uomini delle diverse religioni non-cristiane, e tanti uomini anche non credenti che devono essere compresi ed inclusi in questo ringraziamento che è doveroso nella circostanza del centenario della Rerum Novarum.

E ringraziando gli uomini, noi vogliamo e dobbiamo sempre ringraziare Dio, che “opera tutto in tutti”. Ringraziamo lo Spirito Santo, che ci rivela ciò che è “per l’utilità comune” e ci suggerisce ciò che serve a costruire un mondo migliore, più umano, più simile al disegno di Dio, del quale l’uomo fin dall’inizio è immagine e somiglianza.

La «Centesimus Annus»:
un ringraziamento, un grido, una supplica

7. Il nostro odierno ringraziamento non cessa di essere un grido, una supplica. Un tale grido vuol essere anche la recente mia Enciclica, nella quale ho cercato di individuare e di esprimere “le cose nuove” secondo le esigenze e le attese di questo XX secolo dell’era cristiana, che sta ormai per finire: secolo conclusivo del secondo Millennio.

Ma questo grido lo leviamo tutti, come riuniti di nuovo nel Cenacolo di Gerusalemme, insieme “con Maria, la Madre di Gesù” (At 1, 14). Lo leviamo insieme con Lei, come supplica fiduciosa all’eterno e rinnovatore Spirito di Dio:

Vieni! / Vieni, Santo Spirito, / riempi i cuori dei tuoi fedeli / e accendi in essi il fuoco del tuo amore. / Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa. / Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato. / Dona ai tuoi fedeli, / che solo in te confidano, / i tuoi santi doni. Amen!

 

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