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VISITA ALLA PARROCCHIA DEI SANTI MARTIRI
MARTINO E ANTONIO ABATE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 19 novembre 1995

 

1. “È stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb 9, 27).

La liturgia di questa domenica riveste un carattere “escatologico”, parla cioè delle “ultime realtà” che riguardano la morte di ogni essere umano e la fine del mondo. Parla in modo particolare del giudizio. Il Salmo responsoriale ci ha fatto ripetere nel ritornello: “Vieni, Signore, a giudicare il mondo”, ed invita la creazione a lodare Dio perché Egli “viene a giudicare la terra. Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine” (Sal 97, 9).

È significativo che l’avvento del Signore non abbia qui niente di terrificante, ma che piuttosto venga posta in rilievo la gioia che pervade tutta la natura: il mare freme, i fiumi battono le mani e le montagne esultano di letizia (cf. Sal 97, 8). Anche gli uomini vengono esortati ad entrare in questo clima di gioia: “Cantate inni al Signore con l’arpa, con l’arpa e con suono melodioso; con la tromba e al suono del corno acclamate davanti al re, il Signore” (Sal 97, 5-6).

L’avvento definitivo di Dio è Cristo, vangelo di salvezza, in cui si compie l’attesa escatologica dell’umanità. Il mondo e l’uomo, che in esso vive, non sono più condannati alla morte. L’essere umano non è destinato più a ritornare per sempre a quella polvere dalla quale è sorto, ma a presentarsi davanti al volto di Dio e ad entrare nell’eterna comunione con Lui, partecipando così al suo Regno ed alla sua vita.

2. Perché questo si compia, è però necessario superare la soglia del giudizio di Dio, a cui verrà sottoposta l’intera vita condotta dall’uomo sulla terra.

Il profeta Malachia ha espresso questa verità con parole concise nella prima Lettura: “Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà... Per voi, invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia” (Ml 3, 19-20). I due elementi, il fuoco e la luce, si fondono qui con l’annuncio del giudizio finale. Il fuoco brucia e purifica. La luce illumina e rende felici nella visione beatifica di Dio. Ma il giudizio per ogni singolo individuo avviene al termine del suo pellegrinaggio terreno. Per lui morire è in un certo senso anche sperimentare la fine del mondo.

Ecco allora che l’odierna domenica, penultima dell’anno liturgico, ci stimola a meditare sui “novissimi”, le “ultime realtà”: la morte, il giudizio, il premio celeste, il purgatorio e l’inferno. Si potrebbe quasi dire che essa costituisce come il seguito della Solennità di tutti i Santi e della Commemorazione dei fedeli defunti, che abbiamo celebrato all’inizio del mese di novembre.

3. Anche il brano del Vangelo tratto da Luca ha un carattere escatologico. In esso, però, non è preponderante il tema della fine del mondo, ma l’annuncio della distruzione di Gerusalemme. “Verranno giorni – dice Gesù – in cui di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra che non venga distrutta” (Lc 21, 6). Chi ascoltava queste parole aveva visto con i propri occhi la magnificenza del tempio di Gerusalemme. Il Signore, pertanto, annunciava eventi relativamente vicini nel tempo. È noto, infatti, che la distruzione di Gerusalemme e del tempio ebbero luogo nel settanta dopo Cristo.

Alla domanda: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” (Lc 21, 7), Cristo dà una risposta che direttamente riguarda la distruzione di Gerusalemme, ma potrebbe anche riferirsi alla fine del mondo. Preannuncia guerre e rivolgimenti, ammonendo contro i falsi messia: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo” (Lc 21, 10-11).

Simili eventi accompagnarono la caduta di Israele e la distruzione di Gerusalemme ad opera dei Romani, ma si può dire che si sono realizzati anche in altre epoche della storia. Non ha forse visto il nostro secolo molte guerre e rivoluzioni? La storia dell’uomo e quella dell’umanità portano il segno del loro destino escatologico. L’orientamento del tempo verso le “ultime realtà” ci rende consapevoli di non avere sulla terra una stabile dimora. Siamo infatti in attesa di un eterno destino, costituito da quel mondo futuro, l’eone redento, in cui abitano stabilmente la giustizia e la pace.

4. Le parole di Cristo si riferiscono indubbiamente pure alla comunità dei primi discepoli: essi dovranno attraversare prove difficili, saranno consegnati alle sinagoghe e saranno messi in prigione, trascinati davanti a re ed a governanti a causa del suo nome (cf. Lc 21, 12). E subito aggiunge: “Questo vi darà occasione di rendere testimonianza” (Lc 21, 13). Cristo, che dirà: “Mi sarete testimoni... fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8), sottolinea qui che non si tratterà di una testimonianza facile, ma tanto più difficile per il fatto che quanti professano pubblicamente la loro fede potranno sperimentare la persecuzione da parte dei loro cari. “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Lc 21, 16-17). Noi, oggi, ascoltiamo ancora una volta queste gravi parole che hanno preparato gli Apostoli e tutta la Chiesa ad affrontare varie prove, non soltanto quelle incontrate dai cristiani dei primi secoli ma anche quelle del nostro secolo.

5. Allo stesso tempo, però, Cristo non presenta ai discepoli unicamente la prospettiva delle difficoltà e delle prove. Se parla di una difficile testimonianza, aggiunge immediatamente: “Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere” (Lc 21, 14-15). Molte volte si è adempiuta questa promessa! In virtù delle parole di Cristo, la Chiesa è diventata “segno di contraddizione” (Lc 1, 34), che va avanti nella storia e guida i credenti su tale cammino.

In molte epoche e in molti luoghi i cristiani sono stati oggetto di odio, di persecuzioni e di sterminio; hanno sperimentato però la consolante promessa del Redentore: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21, 18-19). Non si tratta certo di salvare la vita fisica. Basta leggere gli Acta Martyrum per convincersi che ai grandi testimoni di Cristo e ai confessori della fede non è stata risparmiata la vita terrena. Andavano incontro alla morte con grande coraggio, consapevoli che accettando di morire per Cristo in realtà si avvicinavano alla pienezza di quella vita divina da Cristo comunicata all’uomo nel mistero pasquale.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia dei Santi Martino e Antonio Abate! Oggi il Papa è venuto in mezzo a voi per confermare la vostra fede nel Signore della vita. La vostra Parrocchia si trova in una zona di Roma che è diventata, in poco più di cinquant’anni, da piccola comunità contadina, un’affollata borgata di periferia. Erano, allora, poco più di cinquecento i contadini immigrati da varie regioni d’Italia: oggi siete una Comunità di quindicimila persone appartenenti ad oltre tremila nuclei familiari. Non è difficile per me immaginare quanti problemi vi assillino ogni giorno. L’occupazione, innanzitutto, che costituisce un bene primario per una degna esistenza. Poi l’alloggio, i servizi fondamentali, come i trasporti, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la cultura, il tempo libero. Mi sono ben note le vostre attese e preoccupazioni ed auspico che possano essere risolti i problemi del vostro quartiere grazie all’attenzione degli Amministratori ed alla solidale collaborazione da parte di tutti.

Come poi non gioire con voi per la realizzazione dell’antico desiderio di un nuovo complesso parrocchiale, quale luogo di aggregazione spirituale, sociale e culturale? Ora voi potete contare su spazi più ampi ed una aumentata capacità di accoglienza. Ringrazio con voi il Signore perché la chiesa di Gesù Divin Salvatore è ormai una realtà, mentre si sta provvedendo alla sistemazione dell’annesso complesso sportivo.

Esprimo vivo compiacimento per il completamento di queste importanti opere, delle quali si sono fatti promotori i Padri Salvatoriani, l’Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di nuove chiese in Roma, ma che non avrebbe raggiunto tali risultati senza il vostro contributo attivo e concreto.

Carissimi fedeli, siete, dunque, in grado di poter dar vita ora alle molte attività pastorali che, con non lieve sacrificio, avete iniziato negli anni scorsi, sotto la guida dei vostri sacerdoti, specialmente per venire incontro alle necessità dei giovani, grazie a Dio, molto numerosi nella vostra Comunità.

Vi saluto tutti con affetto. Saluto il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro parroco, Padre Agostino Maiolini, ed i sacerdoti suoi collaboratori. Saluto le Suore Dorotee, che affiancano e sostengono da sempre le svariate iniziative della Parrocchia e quanti, a vario titolo, lavorano in Parrocchia, imprimendo ad essa una coraggiosa spinta apostolica e missionaria.

7. Carissimi, tra le Letture di questa domenica, impregnate di temi escatologici, si trova un brano della seconda Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, che in qualche modo bilancia la prospettiva delle “ultime realtà” con significative indicazioni sul tema della temporalità. A coloro che attendevano come imminente la prossima venuta di Cristo – la Parusia – e proprio per questo trascuravano la necessaria sollecitudine per gli impegni quotidiani e per il lavoro, san Paolo scrive: “Alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione... Quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi” (2 Ts 3, 11. 10).

Certamente Paolo tiene lo sguardo fisso verso la venuta di Cristo; allo stesso tempo, però, è consapevole che l’attesa escatologica non può offuscare i doveri quotidiani. Anzi, la fatica d’ogni giorno costituisce per il credente un modo per prepararsi alla venuta di Cristo. È la lezione che la Costituzione conciliare Gaudium et Spes ha riproposto con grande efficacia: “L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (n. 39).

Ci aiuti il Signore a preparare, giorno dopo giorno, con gioia e con coraggio la venuta del suo Regno glorioso.

Amen!

 

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