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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
ALL'ARCIVESCOVO DI PRAGA

 

Al venerabile fratello
Frantiek Cardinale Tomáek,
Arcivescovo di Praga.
Venerabile e diletto fratello.

Nell’anno in cui la Chiesa celebra l’ottavo centenario della nascita del serafico Francesco d’Assisi, è opportuno ricordare che il 2 marzo prossimo venturo ricorreranno anche settecento anni dalla santa morte della beata Agnese di Boemia, la quale, come santa Chiara, camminò fedelmente nelle sue orme, avendo come lui lasciato casa, fratelli, sorelle, madre e padre per amore del Cristo e per rendere testimonianza al suo Vangelo (cf. Mc 10,29). Visse e morì a Praga, ma la fama delle sue virtù si diffuse, ancora durante la sua vita, in tutta l’Europa. Desidero pertanto anch’io, seguendo l’esempio dei miei predecessori e, in particolare del Papa Gregorio IX, suo contemporaneo, onorare questa Beata, che da secoli viene invocata dai praghesi e dal popolo ceko come patrona presso Dio, e che è allo stesso tempo anche una delle figure più nobili della vostra nazione.

La vita della beata Agnese fu straordinaria, come lo fu anche la sua personalità. Figlia del re di Boemia Premysl Otakar I, nata allo scadere della prima decade del secolo tredicesimo, Agnese era imparentata con le principali famiglie reali e principesche dell’Europa Centrale e della Danimarca.

Da parte del padre proveniva dal celebre casato dei santi Boemi Ludmilla e Venceslao; sant’Edvige di Slesia era sua prozia, mentre sant’Elisabetta di Turingia era sua cugina e santa Margherita d’Ungheria sua nipote. Potè, però, godere per poco la serenità della vita familiare.

All’età di soli tre anni fu, insieme con Anna, sua sorella maggiore, inviata presso le monache cistercensi di Trebnica presso Breslavia, dove in quel tempo viveva sant’Edvige. Fu questa sua parente ad insegnarle le verità fondamentali della fede e le prime preghiere, ed a formarla alla vita cristiana. L’esempio della santa zia s’impresse profondamente nel cuore di Agnese e l’accompagnò poi per tutta la sua vita. Quando compì sei anni, passò al monastero premostratense di Doksany, dove imparò a leggere ed a scrivere. Già in quel tempo prediligeva tanto la preghiera che la preferiva ai giochi con le compagne.

Il fidanzamento con Enrico, re di Sicilia e di Germania, figlio dell’imperatore Federico II, tolse però Agnese, ad otto anni, dalla tranquillità del monastero e la trasferì nell’ambiente mondano della corte di Vienna, dove doveva acquistare l’educazione degna di una futura imperatrice. Ma Agnese non vi si sentì a sua agio. Faceva molte elemosine, si mortificava con frequenti digiuni, e si consacrò totalmente alla Madre di Dio desiderando di conservare intatta la sua verginità. Il fidanzamento fu quindi annullato, ma con ciò la principessa boema non fu liberata da speculazioni politiche che si facevano sul suo conto alla corte reale di Praga. Lo stesso imperatore Federico II la volle sua sposa, e il progetto fu vanificato soltanto grazie allo stesso Papa Gregorio IX, il quale, dietro sua istanza, intervenne presso il fratello. La notizia di questo rifiuto, motivato dalle parole dell’Apostolo: “Quelli che usano del mondo, vivano come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,31), si diffuse comunque in tutta l’Europa suscitando grande ammirazione.

Agnese desiderava con tutto il cuore di vivere l’ideale del Vangelo e di “preoccuparsi delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito” (1Cor 7,34), sapendo bene che chi si fa vincere dall’amore dei beni terreni non è in grado di godere nel Signore (cf. S. Gregorio Magno, In Ezechielem, II, XVIII, IX, 16: CCL 142, p. 896). Avendo appreso da nobili boemi, reduci dall’Italia, di san Francesco e del nuovo Ordine di santa Chiara, si accese di desiderio di seguire anche lei in totale povertà il Cristo povero. Si disfece, quindi, di tutti i suoi gioielli, ornamenti e vesti preziose e distribuì il ricavato ai poveri, ben sapendo che le opere buone, anche provenienti da beni perituri, non periscono mai. L’esempio di sant’Edvige e di sant’Elisabetta di Turingia, “consolatrice degli indigenti”, la condusse alla fondazione a Praga di un ospedale con l’annessa confraternita dei Crocigeri della Stella Rossa (divenuti più tardi Canonici Regolari) (cf. Annuario Pontificio 1981, p. 1207), per la cura dei malati. Agnese dal canto suo entrò poi nel monastero delle Clarisse, che prima lei stessa aveva costruito a Praga sulla riva della Moldava nella borgata che fino a oggi si chiama “Na Frantisku”, san Francesco. “Come una colomba se ne volò dal diluvio del mondo corrotto nell’arca dell’Ordine sacro” (J. Kapistrn Vyskoil, Legenda blahoslavené Aneky a tyi listy svaté Kláry, Praha 1932, p. 107), accompagnata da altre cinque giovani, figlie delle principali famiglie nobili di Praga. Le raggiunsero nel monastero cinque Clarisse provenienti da Trento, mandate appositamente da santa Chiara. Questa poi le inviò da san Damiano una lettera in cui si compiaceva della fama di Agnese, “nota non soltanto a lei ma a quasi tutto il mondo” e la elogiava con entusiasmo per aver preferito lo sposalizio con Cristo a tutti gli onori del mondo, scegliendo con tutto il cuore “la santissima povertà e gli strazi corporali” per diventare sposa “dello Sposo più nobile” (Vyskoil, o. c., Ep. I, p. 139).

In tal modo sorse tra le due donne di Dio una delle più belle amicizie. Anche se non fu loro dato incontrarsi su questa terra, e nonostante la grande diversità della loro vita, esse si trovarono unite nel medesimo amore a Cristo e nel medesimo desiderio di santità.

Il monastero delle Clarisse di Praga divenne, grazie all’esempio di Agnese, un focolaio che diede origine ad altri monasteri dello stesso Ordine in Boemia, in Polonia ed in altri paesi.

Agnese, da parte sua, rinunciò anche al suo diritto sull’ospedale da lei fondato, il quale avrebbe dovuto fornire alle Clarisse il cibo necessario, affermando “di preferire a soffrire indigenza e miseria piuttosto che declinare dalla povertà di Cristo” (Vyskoil, o. c., p. 109).

La carità che ardeva nel suo cuore non le permise, tuttavia, di chiudersi in una sterile solitudine, ma la spinse a mettersi al servizio di tutti. Assisteva suore malate, curava lebbrosi ed afflitti da malattie contagiose, lavava i loro indumenti e li rattoppava di notte, dando prova che l’edificio della sua vita spirituale poggiava sul solido fondamento dell’umiltà. In tal modo divenne la madre degli indigenti, conquistandosi nel cuore dei poveri e degli umili di Praga un posto che le è rimasto riservato per secoli.

La sua carità fu nutrita dalla preghiera incentrata sulla passione di Cristo. Il Cristo sofferente fu per lei infatti la espressione del supremo amore e la sua Croce le dava conforto specialmente negli ultimi anni della sua vita, quando con una pazienza eroica, senza mai lagnarsi, sopportava disgrazie, ingiustizie, indigenza e malattie, seguendo Cristo fino all’estremo. Amava la solitudine come occasione di dedicarsi alla preghiera e contemplazione, durante la quale cadeva spesso in estasi.

Non parlava troppo con le consorelle, ma quando le capitava, le sue parole erano infuocate dall’amore a Cristo e dal desiderio del paradiso, tanto che a stento nascondeva le lacrime.

Custodiva come una preziosa eredità di Francesco e di Chiara la venerazione dell’Eucaristia, e fu suo merito se essa penetrò anche in altri monasteri dell’Ordine, culminando più tardi nel desiderio della comunione quotidiana.

La sofferenza accompagnava Agnese continuamente. Spesso si ammalava. Quando una volta, convinta che la fine era vicina, volle ricevere il Viatico, una voce interiore l’assicurò che sarebbe stata preceduta all’eternità da tutti i membri della sua famiglia. Ed infatti, durante la sua lunga vita, vide morire suo padre, diversi parenti, suoi fratelli e sorelle, e tra questi lo stesso re Venceslao, che era riuscita a riconciliare con il figlio ribelle Premysl Otakar nel suo stesso monastero, dove fu testimone del loro bacio di pace, e quasi tutti i loro figli. Per bere il calice del dolore fino in fondo, il 26 agosto 1278, durante l’ufficio vespertino, ebbe la visione della tragica morte del suo nipote re Premysl Otakar II, caduto quel giorno nella battaglia di Moravske Pole.

Anche Chiara, la sua sorella prediletta, morì molti anni prima di lei nel 1253, l’anno di morte di suo padre. L’amicizia tra Agnese e Chiara durò due decenni e si rafforzò purificandosi, in modo che la Santa italiana amava la Beata boema come se fosse ad un tempo sua madre e figlia. Prima di morire si congedò da lei con una lettera commovente, in cui la chiamò “metà della sua anima” (Vyskoil, o. c., Ep. IV, p. 147).

La vita di Agnese si spense come una candela votiva in circostanze particolarmente tristi. Dopo la morte di Premysl Otakar II la Boemia fu occupata da eserciti stranieri, vi regnò disordine e violenza, si moriva di fame e di peste, e davanti alla porta delle Clarisse che avevano le dispense vuote, si ammassavano moribondi affamati in cerca di aiuto. In mezzo a questi orrori Agnese, venerata ormai come santa, chiuse la sua esistenza terrena il 2 marzo 1282. La sua dipartita fu rasserenata dall’affetto delle suore e dei Frati Minori che l’assistevano, e dal suo ardente desiderio di raggiungere lo Sposo celeste. Prima di morire esortava ancora le suore ad amarlo fedelmente ed a seguirlo nell’umiltà e povertà, rimanendo – dietro l’esempio dei santi Francesco e Chiara – sempre sottomessi al suo Vicario ed alla Sede di Roma.

Così, in quel tempo tanto triste, i Boemi, vessati ed abbandonati, che scongiuravano il loro patrono nazionale san Venceslao di “non lasciar perire né loro né i posteri” (“Inno a san Venceslao”), potevano aprire il loro cuore anche ad Agnese, figlia della stessa famiglia reale, la quale dalla tribolazione di quei giorni era passata all’eternità per poter aiutarli presso il trono del suo Sposo divino. E così avvenne anche più tardi. I suoi connazionali, memori della sua bontà e misericordia dimostrata durante la vita terrena, cercavano da lei rifugio ed aiuto, dando origine ad un culto che il mio predecessore Pio IX confermò ed approvò nel 1874.

Ed ora, mio venerabile e diletto fratello, che cosa dice la vostra Beata a voi che vivete nella sua terra nel tempo di oggi? Innanzitutto, essa rimane il modello della donna perfetta (cf. Pr 31,10), la quale sa realizzare la sua femminilità in un servizio generoso e disinteressato che, nel suo caso, abbracciava tutta la nazione, dalla famiglia reale fino ai più umili ed emarginati. In lei la verginità consacrata, rendendo libero il suo cuore, lo accese maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini (cf. Perfectae Caritatis cit. in Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 16), testimoniando “che il Regno di Dio e la sua giustizia sono quella perla preziosa che va preferita ad ogni altro valore sia pure grande, e va anzi cercato come l’unico valore definitivo” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 16). Fondatrice dell’Ordine dei Crocigeri della Stella Rossa, finora esistente, e del primo Monastero delle Clarisse in terra boema, Agnese dimostra anche il valore dell’istituto religioso, in cui fratelli e sorelle, “sull’esempio della Chiesa primitiva in cui la moltitudine dei credenti era d’un cuor solo e di un’anima sola (cf. At 4,32), conducono la vita in comune perseverando nell’orazione e nella comunione dello stesso spirito” (cf. At 2,42; Perfectae Caritatis, 15). Da vera figlia di san Francesco, Agnese seppe “usare saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni” (“Oratio” in Dominica XVII Temporis Ordinarii), sfamando i poveri, curando gli ammalati, assistendo gli anziani, spronando gli affranti e divenendo in tal modo capace di portare pace e riconciliazione e di donare conforto e nuova speranza.

Orbene, venerabile fratello, non si ha bisogno di questo servizio generoso e disinteressato anche nei nostri giorni? Anche dove non vi fossero affamati nel senso materiale, quanti si sentono soli ed abbandonati, tristi e disperati, senza il calore di un sincero affetto e senza la luce di un ideale che non inganna. Non hanno bisogno di incontrare nella loro vita un’Agnese che porti loro pace e gioia, sorriso e speranza?

Il segreto della beata Agnese fu la sua unione con lo Sposo Divino, la sua preghiera. Preghiera che aveva imparato ancora piccola da sant’Edvige, preghiera che diventò respiro della sua anima e sorgente inesauribile dell’immensa forza dimostrata durante tante prove della sua vita. Quale esempio per i sacerdoti e i religiosi, per gli educatori, per le famiglie. Non si è cristiani senza Cristo, ma non si può avere Cristo se non lo si cerca in preghiera costante ed assidua. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

La beata Agnese, avendo scelto il Vangelo, ne ha vissuto anche le beatitudini. Le beatitudini dei poveri, degli afflitti, dei miti, di quelli che hanno fame e sete della giustizia, le beatitudini dei misericordiosi, degli operatori di pace, dei perseguitati (cf. Mt 5,3-10). La sua vita e specialmente i suoi ultimi anni non furono facili. Ma lei, essendo pura di cuore, riusciva a vedere Dio dietro tutte le vicende umane e rimaneva forte e fiduciosa, sapendo che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).

Agnese non fu un episodio marginale della vostra storia. Essa rappresenta piuttosto uno degli ultimi e più bei fiori della dinastia dei premislidi, entrati nella storia con san Venceslao e la sua nonna santa Ludmilla, battezzata da san Metodio. Si tratta delle radici della vostra cultura nazionale, si tratta della vostra identità spirituale. Custodite gelosamente questa eredità, tramandatela intatta ai vostri figli! E la beata Agnese vi assista dal cielo, come ha assistito tante generazioni prima di voi durante la movimentata storia della vostra patria.

Trattandosi poi di un’apostola del francescanesimo nella vostra terra, mi è caro, diletto e venerabile fratello, di usare le parole del Poverello di Assisi: “Il Signore vi benedica e vi custodisca, vi mostri la sua Faccia ed abbia misericordia di voi. Volga a voi il suo sguardo e vi dia pace”. Di cuore invio a te, agli eccellentissimi fratelli nell’Episcopato, ai sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli di Cecoslovacchia la mia particolare benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 2 febbraio 1982, anno quarto del Mio Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

 

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