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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
ALL'UNIONE INTERNAZIONALE DELLE SUPERIORE GENERALI

 

Carissime sorelle,
responsabili generali di congregazioni religiose,
insieme alle loro assistenti e segretarie.

Come in occasione delle vostre precedenti assemblee, sarei molto lieto di incontrarvi nel corso delle vostre giornate di lavoro che conducono al centro della cristianità le rappresentanti delle religiose di tutto il mondo, e ripetervi, oltre alla fede della Chiesa nella vita consacrata, la sua riconoscenza per ciò che siete, per i valori che rappresentate agli occhi dei cristiani e davanti al mondo, la sua fiducia nella vostra collaborazione preziosa e insostituibile al servizio dello sviluppo del regno di Cristo e della diffusione del Vangelo.

Il pellegrinaggio apostolico nei Paesi Bassi, in Lussemburgo e Belgio, mi trattiene fuori Roma proprio nei giorni della vostra assise. Ho voluto tuttavia indirizzare, a voi che svolgete in modo del tutto particolare la missione di guidare le vostre sorelle diffuse in tutto il mondo, un messaggio che vi manifesti il mio profondissimo interesse per i vostri lavori, vi porti i miei incoraggiamenti calorosi per gli sforzi compiuti al fine di approfondire e di sviluppare sempre più i valori fondamentali della vostra consacrazione al Signore in seno alla Chiesa, per il servizio spirituale e materiale ai vostri fratelli.

Mi è gradito, innanzitutto, rallegrarmi con voi in quest’anno in cui celebrate il XX anniversario della fondazione della vostra Unione. Fu infatti l’8 dicembre 1965, giorno della conclusione del Concilio, che il cardinale prefetto della Congregazione per i religiosi firmò il decreto di istituzione dell’Unione internazionale delle superiore generali, considerato allora come “il primo frutto del decreto Perfectae caritatis” e realizzato al fine di aiutare le religiose nell’applicazione delle decisioni conciliari, particolarmente quelle della Lumen gentium e della Perfectae caritatis.

La celebrazione di questo giubileo mi dà l’occasione di ringraziare coloro che da vent’anni, con dedizione, intelligenza e competenza, si sono sforzati di aiutare gli istituti ad assicurare più pienamente le loro finalità, a salvaguardare il loro carattere e il loro spirito riconosciuti dalla Chiesa, secondo la richiesta stessa del decreto Perfectae caritatis (Perfectae caritatis, 23); mi dà inoltre l’occasione di ringraziarli per aver facilitato la collaborazione tra la Santa Sede e i diversi istituti grazie ai rapporti diretti dell’Unione internazionale delle superiore generali con tutti gli istituti.

Avete scelto come tema dei vostri lavori: “La formazione alla vita religiosa nella cultura contemporanea”. Di per sé, questo titolo è una testimonianza della vostra fede nella vita religiosa che rimane sempre di attualità. Infatti, come ricorda la Lumen gentium, oggi come ieri, “la professione dei consigli evangelici appare come un segno, il quale può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana” (Lumen gentium, 44). La ricerca costante di Dio, di un amore senza riserve per Cristo, di una dedizione assoluta alla diffusione del suo regno - testimonianze privilegiate, fin dalle origini, della vita religiosa autentica - costituisce un segno concreto senza il quale “la carità di tutta la Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il “sale” della fede di diluirsi in un mondo in via di secolarizzazione” (Paolo VI, Evangelica testificatio, 3).

Per rendere questa testimonianza che il mondo attende da essa, la vita religiosa deve tuttavia conservare la sua specificità, che è quella di essere “segno di contraddizione” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad religiosos et religiosas habita, 5, 2 febbraio 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1 [1984] 222), non contro l’uomo, ma contro l’inumano della società contemporanea, non contro l’universo moderno, ma per salvarlo.

I religiosi devono infatti mostrare in modo creativo che la vita religiosa ha un significato di per se stessa. La Chiesa ha innanzitutto bisogno della presenza dei religiosi in quanto tali; la preghiera non limita l’apostolato: la ben intesa contemplazione conduce all’apostolato e rende fruttuosa l’azione intrapresa.

È dunque della più grande importanza che, nel prendere contatto con la vita religiosa, i candidati scoprano comunità in cui si prega veramente, dove il Signore è veramente il padrone di casa, dove si ama fraternamente, dove si vive una povertà volontaria, fatta di distacco dai beni materiali e dove si sopportano gioiosamente alcune privazioni connesse a questo stato, dove i religiosi sono coscienti della loro identità, la vivono realmente e non esitano a manifestarla, anche esteriormente, dove si ha la sollecitudine di collaborare alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

Senza alcun dubbio, lo scopo primario della formazione religiosa è di permettere ai giovani di prendere coscienza della loro identità. Da sola, questa presa di coscienza permetterà loro un inserimento nel mondo che non sia una diluizione della loro personalità. Quali che siano le difficoltà incontrate, i responsabili della formazione hanno il grave dovere di aiutare le giovani a presentare al mondo, con la loro vita, l’alto ideale della vita consacrata. Certamente, la realtà concreta può richiedere degli adattamenti secondo i tempi e i luoghi e la Chiesa auspica la ricerca dei mezzi e dei metodi più adatti alla formazione delle giovani di oggi alle condizioni delle diverse culture in cui esercitano il loro apostolato. In questa valida sollecitudine all’adattamento, conviene tuttavia in primo luogo salvaguardare sempre il primato del Vangelo e dar prova di meditata valutazione al fine di evitare di imporre ai popoli di alcune regioni dei modelli di pensiero e di azione che siano loro estranei. In questo adattamento alle culture, la ricerca sarà sempre accompagnata da una riflessione teologica illuminata dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione e dal magistero, per conoscere per quali vie la fede può accettare i costumi, le norme culturali e le abitudini dei diversi popoli.

D’altra parte, se bisogna preparare le giovani a opere e iniziative nuove, più adatte alle realtà attuali e alle situazioni delle regioni in cui sono mandate, non bisogna mai dimenticare che le scuole, gli ospedali, i centri di assistenza esistenti da molto tempo per il servizio ai fratelli, conservano tutta la loro attualità.

La Chiesa, che conosce i diversi problemi incontrati dagli operai del Vangelo, a seconda dei tempi e dei luoghi, segue la realtà che porta in sé i segni della Provvidenza divina. Essa si sforza di aiutare i responsabili della formazione religiosa nel loro arduo compito che, per essere efficace, deve sempre svilupparsi nella Chiesa, con essa e per essa. Le disposizioni del Codice di diritto canonico, esplicitando le richieste del Concilio, costituiscono un aiuto indispensabile nell’opera fondamentale e così importante della formazione delle religiose.

In questo periodo pasquale in cui la Chiesa celebra il Cristo risorto, dopo aver partecipato alle sue sofferenze, vi raccomando di porre “i vostri cuori in lui, pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15).

Affidandovi tutte alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, nel vostro impegno di accompagnare gli apostoli al Cenacolo per la preparazione immediata al loro apostolato, chiedo a lei per voi la gioiosa generosità necessaria a far conoscere suo Figlio ai vostri fratelli. E benedico di tutto cuore voi e le famiglie religiose di cui avete la nobile e grave responsabilità.

Dal Vaticano, 7 maggio 1985.

GIOVANNI PAOLO II

 

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