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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CONFERENZA EPISCOPALE BRASILIANA

 

Signori cardinali e cari fratelli nell’episcopato: Pax vobis, alleluia!

1. Con questo semplice e suggestivo saluto, familiare a Gesù risorto (cf. Gv 20, 19. 21. 26; Lc 24, 16), e con l’augurio ivi contenuto, voglio iniziare questo messaggio diretto a voi signori e, grazie alla vostra mediazione, a tutta la Chiesa del Brasile.

In seguito agli incontri singoli e collettivi, e dopo l’incontro di un gruppo rappresentativo dell’episcopato con me e con i miei collaboratori nella Curia romana, questa affermazione di presenza vuole essere la terza tappa e il coronamento della visita “ad limina”, avvenimento ecclesiastico che, per quattordici mesi, ha marcato la vita dell’episcopato e della Chiesa in Brasile. Nei modi in cui fu realizzata, per iniziativa comune dei vescovi e mia, questa visita “ad limina” fu una prova altamente espressiva di una autentica collegialità effettiva e affettiva, armoniosamente unita con il correlativo esercizio del “ministerium Petri”. La carità fraterna che in essa regna, unita alla incessante ricerca della verità, ispira un dialogo non superficiale ma profondo e coerente, dialogo che desiderò essere, in tutti i tempi, strumento di quella comunione che dai primordi della Chiesa e in tutta la sua storia, ma in modo speciale nei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, appare come elemento essenziale nella stessa Chiesa di Gesù Cristo.

Certamente utile a ciascuno dei vescovi, e alla Conferenza Episcopale che insieme formano, la visita “ad limina” fu così realizzata e continuerà ad essere un inestimabile servizio per la Chiesa in Brasile e generalmente per le altre Chiesa e per la Chiesa universale; un servizio, sebbene indiretto, per la società brasiliana e, per estensione, per tutta la famiglia umana.

2. Sarebbe superfluo pensare che, per i suoi destinatari, per il contesto in cui iscrive, e per la sua tematica, questo messaggio, abbia un significato marcatamente ecclesiastico: conclude un atto ecclesiastico, come la visita “ad limina”; si dirige a uomini consacrati alla Chiesa, come suoi ministri e pastori; toccherà punti di considerevole interesse per la città e la missione della Chiesa.

Parte, pertanto, da una precisa percezione ecclesiologica quella del Concilio Vaticano II e, per questo motivo risponde a necessità ed ansie chiaramente sentite. E poi non furono “i Signori stessi che, nelle differenti tappe della visita “ad limina”, diedero una forte enfasi all’ecclesiologia, affermando esplicitamente che nel fondo dei problemi più seri, che affrontano come vescovi, c’è una questione ecclesiologica, e che la soluzione di questi stessi problemi passa forzatamente attraverso una giusta e ben fondata concezione della Chiesa?

Consapevole di ciò, mi sento in dovere di accentuare in tutti i nostri incontri le tracce necessarie per la chiarezza del magistero ordinario e straordinario della stessa Chiesa - particolarmente per i documenti del Vaticano II - e per il “sensum fidelium”.

La Chiesa è, prima di tutto, un mistero: questa è la prima traccia, risposta ad un destino amoroso e salvifico del Padre, prolungamento della missione del Verbo Incarnato, frutto dell’azione creatrice dello Spirito Santo. Perciò, non può essere definita e interpretata a partire da categorie puramente razionali (socio-politiche e altro), prodotto di un sapere meramente umano. Fa parte del suo mistero essere: santa, sebbene fatta di peccatori; peregrina, contemplativa nell’azione e attiva nella contemplazione; escatologica, primizia del Regno anche se non ne è la pienezza e la consumazione; mutevole nei suoi casi e immutabile nel suo essere e nella sua missione.

Questa missione - ed è la seconda traccia da notare - è quella di evangelizzare, ciò significa trasmettere al mondo il ministero di salvezza, mediante il “dialogus salutis” instaurato con lui (cf. Ecclesiam Suam, del Papa Paolo VI). Essenzialmente religioso, perché nasce da un’iniziativa di Dio e ha come fine l’Assoluto di Dio, il “ministerium salutis” è allo stesso tempo servizio all’uomo - persona o società - alle sue necessità spirituali e temporali, ai suoi diritti fondamentali, alla sua convivenza umana e civile.

Per questa stessa ragione fa parte della missione della Chiesa preoccuparsi, in certo modo, delle questioni che riguardano l’uomo dalla nascita alla morte, come quelle sociali e socio-politiche. Condizioni per la giustizia nell’esercizio di questa parte delicata della sua missione evangelizzatrice sono, fra le altre: una nitida distinzione fra ciò che è funzione dei laici, caratterizzati da una specifica vocazione e un carisma nelle questioni temporali, e ciò che è invece la funzione dei Pastori, formatori dei laici per quanto riguarda i loro compiti; la coscienza del fatto che non spetta alla Chiesa in quanto tale, indicare soluzioni tecniche per i problemi temporali, bensì l’illuminare la ricerca di queste soluzioni alla luce della fede; l’azione nel campo socio-politico deve mantenersi in perfetta coerenza con l’insegnamento costante del magistero.

3. In questo senso, la Chiesa si trova, in Brasile come altrove, soprattutto in America Latina, di fronte a una grande sfida. Ha coscienza dei suoi limiti e carenze per affrontarla; ma non cessa di affermare che, a questo fine, conta sull’assistenza dello spirito del Padre e di Gesù Cristo. Pregate affinché non perda mai la speranza teologale.

Alcuni casi di sfida sono di ordine ecclesiastico, e ne trattai vari, con la più fraterna fiducia, nei miei discorsi ai vari gruppi di vescovi venuti “ad limina Apostolorum”, incoraggiandoli a non perderli di vista e a cercare, con decisione e pazienza, le possibili soluzioni. Mi riferisco alla scarsità di sacerdoti, religiosi e persone impegnate nell’azione pastorale, all’adeguata formazione dei futuri ministri ordinati, alla minaccia nei confronti della fede da parte di sette fondamentaliste o non cristiane, alla catechesi, ai problemi che si riversano sulla famiglia e la gioventù, al pericolo delle ecclesiologie distanti da quella che insegna il Concilio Vaticano II, ecc. Torno a incoraggiarvi, cari fratelli vescovi, con rinnovata certezza, saldo in alcune convinzioni già presenti nel mio animo da tempo, rinforzate ancor più dalla stessa “visita ad limina”:

a) la convinzione che questo popolo affidato da Dio alla cura pastorale dei vescovi è pervaso da un’autentica fame e sete di Dio, della sua Parola, dei suoi misteri sacramentali, delle verità essenziali della fede, realtà che esprime a suo modo, attraverso la sua pietà popolare; non manca neppure al suo spirito visceralmente cristiano e cattolico, un profondo senso del mistero della croce, una grande devozione all’Eucaristia, un grande amore filiale alla Madre di Gesù, un sentimento di riverenza nei confronti del successore di Pietro, qualunque sia la sua persona e il suo nome; questa è, come non mi stancai mai di osservare durante la mia peregrinazione attraverso questo Paese, la grande forza della Chiesa, fonte di confronto per coloro che la governano come pastori; questa forza diverrà ancora maggiore, se tali ricchezze fossero continuamente consolidate da una liturgia viva e ben ordinata, da una pratica sacramentale ben orientata, da un’accurata catechesi, da un’immensa attenzione alle vocazioni, che certamente devono aumentare;

b) la convinzione che, nonostante le carenze menzionate, questo popolo conserva, per grazia di Dio, i semi del Vangelo, gettati dai primordi della evangelizzazione da devoti e coraggiosi missionari; l’opera di questi apostoli non si eclissa nello stesso momento in cui la Chiesa di questo Paese prosegue nel tentativo di ottenere una propria fisionomia, di contare sulle proprie risorse e anche di estendere la mano alle Chiese più bisognose;

c) la convinzione che voi Signori e i vostri collaboratori nati nel servizio pastorale, diate agli occhi della Chiesa universale e del mondo la testimonianza di essere pastori straordinariamente vicini alla propria gente, uniti nella gioia e nel dolore, pronti ad educare nella fede e ad affrettare la propria vita cristiana; come anche a soccorrere nelle necessità e a condividere la propria afflizione insieme agli sforzi, a infondere speranza.

Su questo terreno, è più che giusto esprimere la gratitudine sincera ai numerosi vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, persone consacrate e laici impegnati che, in tutta la storia di questa Chiesa - ma mi riferisco maggiormente ai tempi più recenti - diedero prova di ammirevole zelo apostolico, di abnegazione e spirito di sacrificio, di estremo amore verso la propria gente, di incomparabile capacità di servire disinteressatamente. Che continuino numerosi, e che aumentino ancora, questi ministri, secondo il Cuore di Cristo sacerdote e buon pastore, e questi collaboratori: è la grazia maggiore che Dio possa concedere ad una Chiesa. E che, a questo fine, si affretti costantemente la formazione permanente dei ministri già ordinati; l’attenta preparazione nei seminari, dei candidati al presbiterato; il tirocinio dei diaconi permanenti; la formazione di giovani candidati e candidate alla vita consacrata, alla luce della visione proposta dalla Chiesa; la formazione umana, spirituale e apostolica dei laici disposti a servire il Vangelo.

Altri motivi di sfida sono di natura culturale, socio-politica o economica, e si rivelano particolarmente interpellanti e stimolanti nel momento storico che la nazione sta vivendo. È, parlando globalmente, la sfida al contrasto fra due Brasili: uno, altamente disinvolto, spinto, lanciato verso il progresso e all’opulenza: l’altro, che si riflette in enormi distese di povertà, di sofferenza, di analfabetismo, di emarginazione. Ora, questo contrasto, penalizza con i suoi tremendi disequilibri e disuguaglianze, grandi masse popolari condannate a ogni tipo di miseria.

Problemi gravi come questi non possono essere estranei alla Chiesa, almeno per gli aspetti etici che questi comportano, come causa o come effetto delle situazioni materiali. Ma, anche su questo terreno la Chiesa guidata dai Signori vescovi del Brasile, mostra di stare con questo popolo, specialmente con i poveri e i sofferenti, con i piccoli e con gli abbandonati, a cui essa consacra un amore, non esclusivo né escludente, ma preferenziale. Perché non esita nel difendere con coraggio la giusta e nobile causa dei diritti umani, e ad appoggiare riforme coraggiose, in vista di una migliore distribuzione dei beni, inclusi quelli della terra, in vista dell’educazione, della salute, delle case, ecc., gode inoltre della stima e della fiducia di ampi settori della società brasiliana.

Ben coscienti del fatto che non e possibile rinunciare alla propria specifica missione episcopale per assumere incarichi temporali, loro Signori lamentano d’altra parte, l’inquietante scarsezza di laici debitamente preparati per combattere questi ultimi motivi di sfida. So comunque di poter mantenere vivo l’appello che ebbi occasione di ripetere durante la visita “ad limina”, perché una priorità importante e inevitabile nella azione dei vescovi, sia quella di formare laici, sia fra voi “costruttori di una società pluralista” (cf. Documento di Puebla, IV parte, capitolo III), sia fra le masse popolari, negli ambienti operai e rurali, fra i giovani, sempre in vista di una presenza attiva negli incarichi temporali. Formare laici significa favorirli nelle acquisizioni di una vera competenza e capacità nel campo in cui devono operare; ma significa soprattutto educarli nella fede e nella conoscenza della dottrina della Chiesa in quello stesso campo.

4. È nel contesto di questa realtà umana ed ecclesiale, con le sue sfide, che loro Signori sono chiamati ad essere Pastori nel Brasile, oggi. Compito immenso. Compito provocatore e affascinante. Compito possibile, con l’aiuto di Dio.

Ispirandosi al ricco e fecondo insegnamento del Concilio Vaticano II, più di una volta ho cercato di definire questo compito. Lo feci specialmente nel discorso che vi diressi a Fortaleza, nel momento culminante del mio indimenticabile viaggio in Brasile. Lo ripresi anche in momenti successivi, nei nove discorsi diretti ai gruppi regionali venuti in visita “ad limina”. Questo compito, che deriva da una misteriosa chiamata di Dio, risponde a una missione affidata da Dio e si appoggia sulla grazia di Dio conferita attraverso il sacramento dell’ordine. Non possono mancare, debitamente applicati alle condizioni concrete della realtà umana ed ecclesiastica brasiliana, alcuni aspetti essenziali.

Dio nostro Padre e Gesù Cristo nostro Signore sperano, spera la Chiesa brasiliana con il suo presbiterato, i suoi religiosi e religiose e le persone consacrate, i suoi laici di tutte le condizioni, spera, in certa misura, tutto il popolo brasiliano che ciascuno dei suoi vescovi sia: convinto e convincente proclamatore della parola di Dio e, perciò stesso, educatore nella fede, servo e maestro della verità rivelata; specialmente della verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo; edificatore della comunità ecclesiastica e alla stesso tempo segnale e principio visibile della continua comunione che deve essere l’anima di questa comunità, soprattutto in mezzo a fermenti di divisione e pericolo di rottura; conflitti e minacce di lacerazione; esempio di vera unità con i suoi fratelli sacerdoti e con i suoi fedeli nell’ambito della Chiesa particolare; con i suoi fratelli vescovi nell’ambito della Conferenza episcopale e nella Chiesa universale; con il successore dell’apostolo Pietro e il suo ministero e servizio della cattolicità; “perfector” dei suoi sacerdoti e persone consacrate, per il suo insegnamento e per la testimonianza della loro vita, e dispensatore dei misteri di santificazione, attraverso i sacramenti, per tutti i fedeli senza discriminazioni; pastore e guida del popolo a lui affidato, attraverso le strade della vita e tra le realtà di questo mondo, verso la salvezza; padre spirituale per tutti, specialmente per i più bisognosi di un indirizzo e di aiuto, di difesa e di protezione.

5. Ho davanti agli occhi queste imprescindibili esigenze del vostro servizio episcopale, voi vi siete sforzati, soprattutto negli ultimi anni, per trovare le risposte giuste alla sfiducia di cui sopra si è detto, sempre presenti, anche queste al vostro spirito. La Santa Sede non cessa di seguirvi in questi sforzi, come fa con tutta la Chiesa. Manifestazione e prova di attenzione con cui vengono condivisi questi sforzi, sono i numerosi documenti pubblicati ultimamente, fra cui le due recenti Istruzioni emanate dalla Congregazione per la dottrina della fede, con la mia esplicita approvazione: una, su alcuni aspetti della teologia della liberazione (Libertatis Nuntius, del 6 agosto 1984); l’altra, sulla libertà cristiana e la libertà (Libertatis Conscientia, del 22 marzo 1986). Queste ultime, dirette alla Chiesa universale, rivestono per il Brasile una innegabile rilevanza pastorale.

Nella misura in cui si impegna nel trovare quelle risposte giuste - colme di comprensione per una ricca esperienza della Chiesa in questo Paese, tanto efficaci e costruttive quanto possibile e allo stesso tempo consoni e coerenti con gli insegnamenti del Vangelo, della Tradizione viva e del perenne magistero della Chiesa - siamo convinti, noi e loro Signori, che la teologia della liberazione è non solo opportuna, ma utile e necessaria. Essa deve costituire una nuova tappa - in stretta connessione con le precedenti - di quella riflessione teologica iniziata con la Tradizione apostolica e continuata con i grandi Padri e Dottori, con il magistero ordinario e straordinario e, nell’epoca più recente, con il ricco patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, espressa in documenti che vanno dalla Rerum Novarum alla Laborem Exercens.

Penso che, in questo campo, la Chiesa brasiliana possa svolgere un ruolo importante e delicato allo stesso tempo: quello di creare lo spazio e le condizioni perché si sviluppi, in perfetta sintonia con la feconda dottrina contenuta nelle due citate Istruzioni, una riflessione teologica pienamente aderente al costante insegnamento della Chiesa in materia sociale e, allo stesso tempo, atta a ispirare una prassi efficace in favore della giustizia sociale e dell’equità, della salvaguardia dei diritti umani, della costruzione di una società umana basata sulla fraternità e sulla concordia, sulla verità e carità. In questo modo si potrebbe sfatare la pretesa fatalità dei sistemi - incapaci l’uno e l’altro di assicurare la liberazione indicata da Gesù Cristo -: il capitalismo sfrenato e il collettivismo del capitalismo di Stato (cf. Libertatis Conscientia, 10. 13). Tale ruolo, se compiuto, sarà certamente un servizio che la Chiesa può prestare alla nazione e al quasi-continente latinoamericano, come anche a molte altre parti del mondo dove la stessa sfida si presenta con analoga gravità.

Per svolgere questo ruolo è più che necessaria un’azione saggia e coraggiosa dei pastori, e cioè dei vescovi. Dio vi aiuti a vegliare incessantemente affinché quella corretta e necessaria teologia della liberazione si sviluppi in Brasile e in America Latina, in modo omogeneo e non eterogeneo riguardo la teologia di tutti i tempi, in piena fedeltà alla dottrina della Chiesa, attenta a un amore preferenziale non escludente né esclusivo nei confronti dei poveri.

6. A questo punto è indispensabile tener presente l’importante riflessione della istruzione Libertatis Conscientia (Libertatis Conscientia, 23 e 71) sulle due dimensioni costitutive della libertà nella sua concezione cristiana: sia a livello della riflessione, sia nella sua prassi, la liberazione è, prima di tutto, soteriologica (un aspetto della salvezza realizzata da Gesù Cristo, Figlio di Dio) e poi etico-sociale (o etico-politica). Ridurre una dimensione all’altra - sopprimendo praticamente ambedue - o anteporre la seconda alla prima, significa sovvertire e snaturare la vera liberazione cristiana.

È un dovere dei pastori, pertanto, annunciare a tutti gli uomini, senza ambiguità, il mistero della liberazione che è racchiuso nella croce e nella risurrezione di Cristo. La Chiesa di Gesù, in questi giorni come in tutti i tempi, in Brasile come in qualsiasi parte del mondo, conosce una sola saggezza e una sola potenza: quella della croce che porta alla risurrezione (cf. 1 Cor 2, 1-5; Gal 6, 14). I poveri di questa nazione, che ha nei Signori i propri Pastori, i poveri di questo continente, sono i primi a sentire l’urgente necessità di questo Vangelo della liberazione radicale e integrale. Negarlo significherebbe defraudarli e disilluderli.

D’altra parte, i vescovi - e con questi tutta la Chiesa del Brasile - si mostrano pronti a intraprendere nel proprio settore e secondo la linea del proprio carisma, tutto quello che ne deriva, come conseguenza della liberazione soteriologica. È, del resto, ciò che la Chiesa, dai suoi albori, ha sempre cercato di fare per mezzo dei suoi santi, i suoi maestri e i suoi pastori e per mezzo dei suoi fedeli impegnati nelle realtà temporali.

Permettetemi, fratelli nell’episcopato, che, con piena fiducia, vi inviti a un incarico meno visibile ma di alta rilevanza, e inoltre profondamente connesso con la nostra funzione episcopale: quella di educare per la liberazione, educando per la libertà (cf. Libertatis Conscientia, 80. 81. 94). Educare per la libertà significa infondere i criteri senza i quali questa libertà diventerebbe una chimera, se non una pericolosa contraffazione. Significa aiutare a riconquistare la libertà perduta e a curare la libertà, quando è adulterata o corrotta. Educatori nella fede, come ci chiama il Concilio Vaticano II, il nostro compito consisterà anche nell’educare alla libertà.

7. Consegno ora questo messaggio nelle mani del mio stimato fratello cardinale Bernardin Gantin, prefetto della Congregazione che, nella Curia romana, si dedica con esemplare disponibilità ad assistere tutti i vescovi nel loro ministero nelle Chiese, e a collaborare con il Vescovo di Roma nella sua funzione di “confermare i fratelli”. Invitato dai vescovi ad animare un giorno il ritiro spirituale, nel quadro dell’assemblea Generale di questa Conferenza episcopale, egli avrà la bontà di comunicarvi, a viva voce e con il calore della sua presenza, con quali sentimenti di sincero affetto e fraternità fu scritto questo messaggio; quegli stessi sentimenti che, da parte mia, ispirarono e animarono gli intensi incontri durante la visita “ad limina”.

Rievocando ancora nel mio animo quegli incontri, in modo speciale quelli dal 13 al 15 marzo con alcuni di lor Signori, nasce in me spontaneo il desiderio di avere con voi una nuova e più profonda forma di collegialità: dopo questa visita “ad limina” il Papa e i suoi collaboratori certamente conoscono meglio queste realtà che sono la Chiesa brasiliana e il suo episcopato. Sperano di essersi ancor più uniti.

Desidero rimanere in costante contatto con lor Signori e partecipare, “in vinculo fraternitatis”, a tutti gli importanti e ardui incarichi della vostra attività pastorale; in contatto specialmente quando questi compiti peseranno un po’ di più sulle vostre spalle. Prego, a mia volta, che preghiate per me, specialmente nell’Eucaristia, affinché il nome del “servus servorum Dei”, attribuito da san Gregorio Magno alla missione pontificale, sia in me una verità.

Nella persona dello stesso cardinale Gantin, voglio restare unito a voi, ai piedi di Nostra Signora. Rimaniamo tutti uniti intorno alla Madre del sommo sacerdote Gesù Cristo, a immagine degli apostoli, dei quali siamo i successori, vicini a Maria nell’attesa del dono dello Spirito della verità e della carità. Che questo Spirito vi renda vigili pastori delle amate comunità ecclesiastiche del Brasile, e ministri di salvezza per tutta la comunità umana brasiliana.

Al termine di questo messaggio e a conclusione della memorabile visita “ad limina”, mi resta, cari fratelli vescovi, l’impartire, e lo faccio con gioia, la benedizione apostolica, dispensatrice delle benedizioni divine che imploro sulle vostre persone e sul vostro ministero episcopale. Vogliate, a vostra volta, comunicarla a tutta la Chiesa del Brasile, destinataria insieme a voi di questo messaggio: ai sacerdoti, cooperatori dell’ordine episcopale; ai diaconi permanenti, numerosi, impegnati, attivi in varie vostre diocesi; ai seminaristi nel momento decisivo del loro itinerario verso il presbiterato; a tutte le persone consacrate, sia che si dedichino alla preghiera, al silenzio e alla penitenza, o al servizio di coloro che soffrono e dei poveri o ancora a una multiforme opera di evangelizzazione; ai laici impegnati nei movimenti e nelle associazioni, nelle comunità ecclesiastiche di base, nei ministeri straordinari e nei più svariati servizi alla Chiesa; ai laici impegnati, come figli della Chiesa e in nome della loro fede, negli incarichi temporali; ai laici che, per qualche motivo, sono poco impegnati, affinché si sentano stimolati a prendere il proprio posto nella Chiesa e nel mondo; a chi si è allontanato perché ritorni alla pratica della sua vita cristiana e cattolica; a coloro che dubitano e cercano la strada, affinché non manchi loro la luce e la forza; ai giovani e ai fanciulli, così numerosi nel vostro Paese e tanto meritevoli di attenzione, perché sono la speranza nel futuro di questa nazione e della Chiesa, e perché affrontano tanti problemi e minacce; a tutti infine, specialmente ai poveri, a coloro che soffrono e piangono, affinché Dio sia tutto in tutti.

Dal Vaticano, 9 aprile 1986.

IOANNES PAULUS PP. II

 

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