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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO ITALIANO RACCOLTO
NELLA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE
PER LA RECITA DEL ROSARIO

 

La Meditazione verrà letta dal Presidente della CEI, Cardinale Camillo Ruini, ma Giovanni Paolo II comunque farà giungere il proprio saluto ai Presuli attraverso la sua viva voce pronunciando l’ultima parte della Meditazione.

Cari e venerati Vescovi italiani!

1. Entro anch’io spiritualmente nella Basilica di Santa Maria Maggiore ove siete raccolti per la recita del Rosario. Ci troviamo oggi, come gli Apostoli, nel cenacolo. Dopo il ritorno di Cristo al Padre, essi erano rimasti in preghiera insieme con Maria, la Madre di Gesù. La preghiera doveva prepararli alla Pentecoste, giorno nel quale Cristo mediante lo Spirito Santo avrebbe fatto di loro dei testimoni. “Mi sarete testimoni a Gerusalemme [ . . .] e fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8). Così fu, infatti: aperte le porte del cenacolo, gli Apostoli uscirono per annunciare Cristo in Gerusalemme, e gli Israeliti della Città Santa, come pure quanti erano giunti da paesi lontani, li udirono parlare in varie lingue. Cominciò allora a risuonare la lingua propria della Chiesa, che a partire da quel primo giorno si sarebbe udita in tutte le lingue dell’umanità.

La lingua della Chiesa doveva cominciare a risuonare proprio il giorno di Pentecoste, quando gli Apostoli manifestarono la potenza dello Spirito Santo, rendendo testimonianza a Cristo crocifisso e risorto. Essi cominciarono allora ad annunziare, con la forza dello Spirito, la remissione dei peccati nel nome di Cristo. Parlando dei colpevoli della sua morte essi ripeterono con il loro Maestro: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Confermarono così che quanti L’avevano condannato a morte non sapevano quello che facevano.

Sin dal primo giorno questa è la Chiesa Apostolica, Chiesa edificata su Pietro

2. Il giorno della Pentecoste trovarono attuazione le parole del profeta Gioele: “Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo” (Gl 3, 1). Così, da coloro che ricevettero in quella circostanza il battesimo cominciò a svilupparsi la Chiesa. Sin dal primo giorno questa è Chiesa Apostolica, Chiesa edificata su Pietro, al quale, insieme ai fratelli nel ministero apostolico, è affidato il potere di legare e di sciogliere (cf. Mt 16, 19). Ecco: in vista del grande momento della discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli si prepararono rimanendo in preghiera insieme a Maria. Noi oggi facciamo lo stesso: anche a noi è dato il potere di legare e di sciogliere nei riguardi dei nostri contemporanei. È dato anche a noi, che siamo profondamente compresi del senso della nostra personale debolezza, ma che siamo pure ben consapevoli della potenza donataci da Cristo per mezzo dello Spirito Santo.

La Madre di Cristo, che è anche Madre della Chiesa, è qui con noi in modo tutto speciale.

Santa Maria Maggiore è il primo Santuario mariano d’Occidente . . . Qui venimmo durante il Concilio . . . 

3. Santa Maria Maggiore è il primo Santuario mariano dell’Occidente. Poco dopo il Concilio di Efeso, Roma sperimentò nel luogo dove sorge la Basilica di Santa Maria Maggiore la stessa gioia dei partecipanti al Concilio: la gioia per la “Theotokos”, per la maternità della Madre di Dio; la gioia del popolo cristiano, al quale è stato rivelato in Lei l’ineffabile mistero dell’Incarnazione del Verbo eterno.

E la gioia della fede non viene meno col passare delle generazioni. La Basilica di Santa Maria Maggiore è rimasta fino ad oggi il luogo dove il pellegrinare della Chiesa incontra in modo particolare la Madre del Signore.

Qui venimmo durante il Concilio Vaticano II, quando Paolo VI riconobbe solennemente alla Madre di Dio il titolo di Madre della Chiesa. Era lo stesso giorno in cui veniva approvata la Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, il cui ultimo capitolo è intitolato: “La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa”. Sarebbe opportuno rileggere quanto il Concilio affermò in tale capitolo sul ruolo della Madre di Dio in relazione all’economia della salvezza, sul suo particolare legame con la Chiesa, sul culto che nella Chiesa ha ricevuto sin dall’inizio, per contemplare infine Maria quale segno di speranza certa e di consolazione per il Popolo di Dio in cammino.

Maria è colei che avanza nel pellegrinaggio della fede

4. Chi è per noi Maria? È colei che incessantemente avanza nel pellegrinaggio della fede, come faceva durante la sua vita terrena, mantenendosi fedelmente unita con il suo Figlio fino alla Croce, presso la quale venne a trovarsi per divino volere. Soffrì profondamente insieme al suo Unigenito, associata con spirito materno alla croce del Figlio, amorevolmente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata. Infine, dal Cristo sulla croce fu consegnata a Giovanni con le parole: “Donna, ecco tuo figlio” (cf. Lumen gentium, 58).

Grazie al dono della divina maternità, la Beata Vergine è diventata, come insegnano Sant’Ambrogio ed altri Padri, figura della Chiesa nell’ordine della fede, dell’amore e della perfetta unione con Cristo. Proprio per questo la Chiesa stessa viene chiamata madre ed insieme vergine (cf. Ivi 63). Contemplando la singolare santità di Maria ed imitandone la carità, compiendo fedelmente la volontà del Padre, anche la Chiesa diventa madre, quando predicando il Vangelo ed amministrando il Battesimo genera a una vita nuova figli e figlie concepiti per opera dello Spirito Santo e da Dio generati. La Chiesa è insieme vergine, perché custodisce la fedeltà promessa allo Sposo, ed imitando Maria, con la forza dello Spirito Santo, conserva integra la fede, solida la speranza e ardente l’amore (cf. Ivi 64).

Siamo chiamati a servire . . . Il mondo attende il nostro servizio

5. Vi scrivo queste parole oggi, 13 maggio, dal Policlinico Agostino Gemelli. Permettete, cari Fratelli, che rivada con la memoria a ciò che avvenne tredici anni fa, in Piazza San Pietro. Ricordiamo tutti quell’ora pomeridiana, quando furono sparati alcuni colpi di pistola contro il Papa, nell’intento di privarlo della vita. La pallottola, che gli trapassò l’addome, si trova ora nel santuario di Fatima; la fascia, invece, forata dal proiettile, sta nel Santuario di Jasna Gora. Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante, trasportato al Policlinico Gemelli, si fermò sulla soglia della morte.

Nel settembre dello scorso anno, quando mi fu dato di contemplare il volto della Madre di Dio nel Santuario della Porta dell’Aurora a Vilnius, a Lei mi rivolsi con le parole del grande vate polacco, Adam Mickiewicz: “O Vergine Santissima, che ad Ostra Brama splendi e a Czestochowa il fulgido Santuario difendi [ . . .] Come mi hai [ . . .] dalla morte salvato! . . .”. Così dissi alla conclusione del Rosario recitato nel Santuario della Porta dell’Aurora. E la mia voce si ruppe. Sapevo che quel Santuario attendeva questa testimonianza del Papa. Con la Porta dell’Aurora, attendevano anche altri singolari Santuari: prima il Colosseo di Roma, poi la Collina delle Croci, in Lituania, e inoltre tanti altri “Colossei del nostro secolo” sull’uno e sull’altro versante di quel percorso dell’evangelizzazione che, partendo da Roma e da Costantinopoli, ha portato verso il nord il nome di Cristo Signore.

Al termine della Via Crucis, lo scorso Venerdì Santo, nel ringraziare il Patriarca di Costantinopoli per il suo bellissimo testo, dicevo: “Cari fratelli, dobbiamo incontrarci nei luoghi consacrati dal martirio a cominciare dai primi secoli fino ai nostri giorni. Non possiamo non essere uniti! Non possiamo non dire la stessa verità sulla Croce! La storia dell’umanità attende la nostra piena unità”. Così dicevo e so di essere stato ascoltato e compreso.

Tutto ciò fu come l’eco di quello sparo in Piazza San Pietro, che avrebbe dovuto privare il Papa della vita tredici anni fa. Invece il proiettile mortale si fermò e il Papa vive - vive per servire!

Questa è la confessione che intendo rinnovare oggi davanti a voi, cari Fratelli nell’episcopato. Serviamo infatti insieme! Mai dimenticherò le parole del Primate Wyszynski, il quale in occasione delle celebrazioni per il Millennio del Battesimo della Polonia, in un periodo di grandi tensioni con le autorità comuniste, diceva a Lublino: “Io qui servo! Io non comando, ma servo!”.

Noi, cari Vescovi italiani, siamo chiamati a servire! Vogliamo servire anche i nostri Fratelli nel sacerdozio, le Religiose ed i Religiosi. Tutti desideriamo servire. Così avviene in ogni angolo della terra: così è per i nostri Fratelli del Continente Africano, i quali, durante l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, hanno dimostrato una grande maturità nel servizio dei loro popoli. Così è per i nostri Fratelli del Medio Oriente, del Libano, della Terra Santa, delle due Americhe, del Lontano Oriente, delle isole dell’Oceania.

Se il Signore mi darà l’opportunità di incontrarmi nelle Filippine con i giovani di tutto il mondo, sarà proprio in questo spirito di servizio che io sarò là. Il mondo attende il nostro servizio! Lo attendono in particolare i giovani, i quali sono pronti a seguirci - meglio, a seguire Gesù Cristo - se quanto facciamo, predichiamo e soffriamo, è un autentico servizio.

La Chiesa che è in terra italiana è la Chiesa del grande cammino

6. Cari Fratelli, nel corso di questa Assemblea voi state riflettendo insieme come servire nel modo migliore la Chiesa in Italia nell’attuale tappa della sua storia. Come dobbiamo “legare e sciogliere” le intricate questioni dell’uomo contemporaneo? Come convincere quest’uomo della potenza e dello splendore della verità, l’unica che libera (cf. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor)? Come iniziarlo all’amore che è più forte della morte (cf. Ct 8, 6), e che costituisce il fondamento della famiglia umana? Come valorizzare la grazia di quest’anno, nel quale la famiglia paradossalmente è divenuta oggetto non soltanto di particolare interesse, ma anche di pericolosa minaccia? Come rafforzare, nella prospettiva del terzo millennio, il fondamento su cui è edificata la Chiesa del Popolo di Dio?

Ecco, cari Fratelli, alcuni degli interrogativi, che vi siete posti durante i lavori della vostra Assemblea e che, nel pellegrinaggio della fede, recate ora ai piedi di Maria. Sono molto numerosi questi interrogativi. Ognuno di noi li affronta tutti i giorni. Ma qui portiamo anche l’ardore della fede del Popolo di Dio, la testimonianza delle Chiese affidate alle nostre cure pastorali. Portiamo le speranze e le attese della gente che ha posto in noi la sua fiducia. Veniamo qui carichi di tutto ciò.

La Chiesa, che è in terra italiana, come in tutto il mondo, è la Chiesa del grande cammino. Camminiamo insieme a Maria, pellegrini nei tanti Santuari mariani che si trovano sul suolo italiano, in particolare con i giovani.

Al termine di quest’anno, l’anno della grande preghiera per l’Italia, ci troveremo a Loreto. Lì incontreremo la Madre di Dio peregrinante e da Lei attingeremo forza per l’ulteriore percorso che ci attende nei restanti anni di questo millennio, che ormai volge al suo termine.

La Chiesa peregrinante con Maria è diventata nei nostri tempi soprattutto la Chiesa dei giovani. In loro è riposta la nostra speranza. Vogliamo essere testimoni e portavoce di questa speranza nei confronti dell’Italia e del mondo intero. Desideriamo servire nel migliore dei modi le attese dell’umanità, come ha fatto e tuttora fa Lei - la Madre di Dio.

Ripetiamo pertanto insieme la più antica preghiera mariana: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci sempre da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta. Nostra Signora, nostra Avvocata, nostra Mediatrice, nostra Consolatrice. Riconciliaci con il tuo Figlio, raccomandaci al tuo Figlio, ripresentaci al tuo Figlio”.

Quest’ultima parte della Meditazione viene pronunciata dal Papa e le sue parole vengono diffuse via radio nella Basilica.

7. Cari Fratelli! Non potendo essere presente di persona fra voi, voglio almeno farvi giungere la mia voce al termine del messaggio che vi invio per iscritto. Con stima ed affetto, tutti vi saluto, voi e le vostre Comunità diocesane, ripetendo le parole di Cristo risorto: “Pace a voi!” (Gv 20, 19).

Insieme a voi mi inginocchio spiritualmente dinanzi alla sacra icona della Madonna, “Salus Populi Romani”, che proprio cinquant’anni or sono il mio venerato predecessore Pio XII invocò quale speciale protettrice della Città, minacciata dagli orrori della guerra (cf. Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VI, 1944, p. 29).

Questo tempio, il primo Santuario mariano dell’Occidente, ha accolto, sin dall’inizio, folle di pellegrini osannanti alla “Theotokos”, folle di fedeli pieni di gioia per la maternità della Madre di Dio. La gioia della fede non è mai venuta meno nel corso dei secoli e delle generazioni. La Basilica di Santa Maria Maggiore è rimasta fino ad oggi il luogo dove il pellegrinare della Chiesa incontra in modo particolare la Madre del Signore. Cari Fratelli, mi è difficile concludere questa comune meditazione nella Basilica di Santa Maria Maggiore, senza esprimere a voi tutti profonda gratitudine e commozione. Sono commosso per tutto ciò che, nelle ultime settimane, mi è stato dato di sperimentare da parte della Chiesa di Roma e dell’intera Italia; da parte vostra, cari Fratelli, come pure da parte di numerose persone e comunità: tanta benevolenza, premura e segni di spirituale solidarietà. Non mi rimane che domandare nella preghiera, alla Madre Santissima di inserire questa mia attuale prova nella grande preghiera della Chiesa in Italia e per l’Italia, come mio modesto contributo alla causa che serviamo insieme.

Di cuore tutti vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Dal Policlinico «Gemelli», il 13 maggio 1994.

GIOVANNI PAOLO II



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