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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
PER LA II GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

 

1. A voi, carissimi fratelli e sorelle, che portate nel corpo e nello spirito i segni della sofferenza umana, rivolgo con affetto il mio pensiero nella significativa ricorrenza della Giornata Mondiale del Malato.

Saluto in particolare voi, malati che avete la grazia della fede in Cristo, Figlio di Dio vivo, fatto uomo nel grembo della Vergine Maria. In Lui, solidale con tutti i sofferenti, crocifisso e risorto per la salvezza degli uomini, voi trovate la forza di vivere la vostra sofferenza come «dolore salvifico».

Vorrei poter incontrare ciascuno di voi, in ogni luogo della terra, per benedirvi nel nome del Signore Gesù, che passò «facendo del bene e sanando» gli infermi (At 10, 38). Vorrei poter stare accanto a voi per consolare le pene, sostenere il coraggio, alimentare la speranza, così che ciascuno sappia fare di sé un dono d'amore a Cristo per il bene della Chiesa e del mondo.

Come Maria ai piedi della Croce (cfr. Gv 19, 25), desidero sostare presso il calvario di tanti fratelli e sorelle, che in questo momento sono straziati da guerre fratricide, languono negli ospedali o sono in lutto per i loro cari, vittime della violenza. La Giornata mondiale ha quest'anno il suo più solenne momento celebrativo nel santuario mariano di Czestochowa, per implorare dalla materna intercessione della Beatissima Vergine il dono divino della pace, insieme col conforto spirituale e corporale delle persone ammalate o sofferenti, che offrono in silenzio alla Regina della pace i loro sacrifici.

2. In occasione della Giornata Mondiale del Malato desidero richiamare l'attenzione di voi infermi, degli operatori sanitari, dei cristiani e di tutte le persone di buona volontà sul tema del «dolore salvifico», cioè sul significato cristiano della sofferenza, argomento sul quale mi sono soffermato nella Lettera apostolica «Salvifici doloris», pubblicata l'11 febbraio di dieci anni fa.

Come si può parlare di dolore salvifico? La sofferenza non è forse intralcio alla felicità e motivo di allontanamento da Dio? Senza dubbio esistono tribolazioni che, dal punto di vista umano, sembrano prive di qualunque significato.

In realtà, se il Signore Gesù, Verbo incarnato, ha proclamato «Beati gli afflitti» (Mt 5, 4), è perché esiste un punto di vista più alto, quello di Dio, che tutti chiama alla vita e, se pur attraverso il dolore e la morte, al suo Regno eterno di amore e di pace.

Felice la persona che riesce a far risplendere la luce di Dio nella povertà di una vita sofferta o diminuita!

3. Per attingere questa luce sul dolore, dobbiamo anzitutto ascoltare la Parola di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura, che può definirsi anche «un grande libro sulla sofferenza» (Salvifici Doloris, 6). In essa, infatti, troviamo «un vasto elenco di situazioni variamente dolorose per l'uomo» (Ivi, 7), la multiforme esperienza del male, che suscita inevitabilmente l'interrogativo: «Perché?» (Ivi, 9).

Tale domanda ha trovato nel Libro di Giobbe la sua espressione più drammatica ed insieme una prima parziale risposta. La vicenda di quell'uomo giusto, provato in tutti i modi nonostante la sua innocenza, mostra che «non è vero che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa e abbia carattere di punizione» (Ivi, 11).

La risposta piena e definitiva a Giobbe è Cristo. «Soltanto nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (Gaudium et Spes, 22). In Cristo anche il dolore è assunto nel mistero della carità infinita, che si irradia da Dio Trinità e diventa espressione di amore e strumento di redenzione, diventa cioè dolore salvifico.

E' infatti il Padre che sceglie il dono totale del Figlio come via per restaurare l'alleanza con gli uomini resa inefficace dal peccato: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).

E' il Figlio che «s'incammina verso la propria sofferenza, consapevole della sua forza salvifica, va obbediente al Padre, ma prima di tutto è unito al Padre in questo amore, con il quale egli ha amato il mondo e l'uomo nel mondo» (Salvifici Doloris, 16).

E' lo Spirito Santo che, per bocca dei Profeti, annuncia le sofferenze che il Messia volontariamente abbraccia per gli uomini e in qualche modo al posto degli uomini: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori... Il Signore fece ricadere su di Lui l'iniquità di noi tutti» (Is 53, 4-6).

4. Ammiriamo, fratelli e sorelle, il disegno della divina Sapienza! Cristo «si è avvicinato . . . al mondo della sofferenza per il fatto di aver assunto egli stesso questa sofferenza su di sé» (Salvifici Doloris, 16): si è fatto in tutto simile a noi, eccetto che nel peccato (cfr. Eb 4,15; 1 Pt 2, 22), ha fatto propria la nostra condizione umana con tutti i suoi limiti, compresa la morte (cfr. Fil 2, 7-8), ha offerto la sua vita per noi (cfr. Gv 10, 17; 1 Gv 3, 16) perché noi vivessimo della vita nuova nello Spirito (cfr. Rm 6, 4; 8, 9-11).

Accade talvolta che sotto il peso di un dolore acuto e insopportabile qualcuno muova un rimprovero a Dio accusandolo di ingiustizia; ma il lamento muore sulle labbra di chi contempla il Crocifisso che soffre «volontariamente» e «innocentemente» (Salvifici Doloris, 18). Non si può rimproverare un Dio solidale con le sofferenze umane!

5. Perfetta rivelazione del valore salvifico del dolore è la passione del Signore: «Nella croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza è stata redenta» (ivi, 19) «Cristo ha aperto la sua sofferenza all'uomo» e l'uomo ritrova in lui le proprie sofferenze «arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato» (Ivi, 20).

La ragione, che già coglie la distinzione esistente tra il dolore e il male, illuminata dalla fede comprende che ogni sofferenza può diventare, per grazia, prolungamento del mistero della Redenzione, la quale, pur essendo completa in Cristo, «rimane costantemente aperta ad ogni amore che si esprime nell'umana sofferenza» (Ivi, 24).

Tutte le tribolazioni della vita possono divenire segni e premesse della gloria futura. «Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo - esorta la prima Lettera di Pietro - rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» (1 Pt 4, 13).

6. Voi sapete per esperienza, cari malati, che nella vostra situazione più che di parole c'è bisogno di esempi. Sì, tutti abbiamo bisogno di modelli che ci spronino a camminare sulla via della santificazione del dolore.

Nella Memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, guardiamo a Maria come ad icona vivente del Vangelo della sofferenza.

Ripercorrete con la mente gli episodi della sua vita. Troverete Maria nella povertà della casa di Nazareth, nell'umiliazione della stalla di Betlemme, nelle ristrettezze della fuga in terra d'Egitto, nella fatica del lavoro umile e benedetto con Gesù e con Giuseppe.

Soprattutto dopo la profezia di Simeone, che preannunciava la partecipazione della Madre alla sofferenza del Figlio (Lc 2, 34), Maria sperimentò a livello profondo un misterioso presagio di dolore. Insieme col Figlio, anch'essa cominciò ad avviarsi verso la Croce. «Fu sul Calvario che la sofferenza della Beata Vergine Maria, accanto a quella di Gesù, raggiunse un vertice già difficilmente immaginabile nella sua altezza dal punto di vista umano, ma certo misterioso e soprannaturalmente fecondo ai fini dell'universale salvezza» (Salvifici Doloris, 25).

La Madre di Gesù fu preservata dal peccato, ma non dalla sofferenza. Perciò il popolo cristiano si identifica con la figura della Vergine Addolorata, scorgendo nel dolore i propri dolori. Contemplandola, ogni fedele viene introdotto più intimamente nel mistero di Cristo e del suo dolore salvifico.

Cerchiamo di entrare in comunione col Cuore immacolato della Madre di Gesù, in cui si è ripercosso in modo unico e incomparabile il dolore del Figlio per la salvezza del mondo. Accogliamo Maria, costituita da Cristo morente Madre spirituale dei suoi discepoli, e affidiamoci a Lei, per essere fedeli a Dio nell'itinerario dal Battesimo alla gloria.

7. Mi rivolgo ora a voi, operatori sanitari, medici, infermieri e infermiere, cappellani e sorelle religiose, personale tecnico e amministrativo, assistenti sociali e volontari.

Come il Buon Samaritano siete accanto e al servizio dei malati e dei sofferenti, rispettando in loro, anzitutto e sempre, la dignità di persone e, con gli occhi della fede, riconoscendo la presenza di Gesù sofferente. Guardatevi dall'indifferenza che può derivare dall'abitudine; rinnovate quotidianamente l'impegno di essere fratelli e sorelle per tutti, senza discriminazione alcuna; al contributo insostituibile della vostra professionalità, unita alla idoneità delle strutture, aggiungete il «cuore», che solo è in grado di umanizzarle (Salvifici Doloris, 29).

8. Faccio, infine, appello a voi, responsabili delle Nazioni, perché consideriate la sanità quale problema prioritario a livello mondiale.

E' tra le finalità della Giornata Mondiale del Malato condurre un'opera di vasta sensibilizzazione sui gravi e inderogabili problemi attinenti alla sanità e alla salute. Circa due terzi dell'umanità mancano ancora dell'essenziale assistenza sanitaria, mentre le risorse impiegate in questo settore sono troppo spesso insufficienti. Il programma dell'Organizzazione Mondiale della Sanità - «Salute per tutti entro l'anno Duemila» - che potrebbe sembrare un miraggio, stimoli invece una gara di fattiva solidarietà. Gli straordinari progressi della scienza e della tecnica e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa contribuiscono a rendere sempre più consistente questa speranza.

9. Carissimi malati, sostenuti dalla fede affrontate il male in tutte le sue forme senza scoraggiarvi e senza cedere al pessimismo. Cogliete la possibilità aperta da Cristo di trasformare la vostra situazione in espressione di grazia e di amore. Allora anche il vostro dolore diventerà salvifico e contribuirà a completare i patimenti di Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1, 24).

A voi tutti, agli operatori sanitari, a quanti si dedicano al servizio di chi soffre auguro grazia e pace, salvezza e salute, forza di vita, assiduo impegno e speranza indefettibile. Insieme con la materna assistenza della Vergine Santa, Salus infirmorum, vi accompagni e vi conforti sempre la mia affettuosa Benedizione.

Dal Vaticano, 8 Dicembre 1993.



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