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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA XIII ASSEMBLEA PLENARIA
DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE "IUSTITIA ET PAX"

9 febbraio 1980

 

1. È con gioia che vi saluto tutti qui questa mattina, membri della commissione pontificia “Iustitia et Pax” e membri del suo segretariato, che avete partecipato alla XIII assemblea generale della commissione, che è anche la terza dopo l’approvazione definitiva dei suoi statuti.

Venuti da continenti diversi, avete consacrato questi giorni, fuori Roma, a una approfondita riflessione comune, nella quale ciascuno ha contribuito alla comprensione dei problemi all’ordine del giorno con l’apporto dell’esperienza della propria vita, quella della propria patria, della Chiesa nel proprio paese e della propria cultura.

2. Io ricordo ancora molto bene il nostro primo incontro, qualche mese dopo la mia elezione al seggio di Pietro. In questa occasione vi dissi: “Conto su di voi, conto sulla commissione pontificia “Iustitia et Pax” perché aiuti me e la Chiesa intera a ripetere agli uomini di quest’epoca... Non abbiate paura!... Aprite tutte le porte a Cristo” (“L’Osservatore Romano”, die 9 dec. 1978, p. 4).

Anche oggi voglio ripetere che conto su voi tutti, e so che desiderate dare questo aiuto a me stesso e a tutta la Chiesa.

Si tratta di una nobile missione che è prima di tutto un servizio. In effetti, questa commissione è stata fondata per questo: essere di servizio al Papa, ai Vescovi e dunque a tutta la Chiesa. Questo servizio che voi prestate alla Chiesa in seno alla curia romana e un motivo di legittima fierezza e di gioia interiore; è un motivo anche di gratitudine verso Dio di cui noi siamo tutti i servitori, e verso il Cristo “centro del cosmo e della storia” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 1), e dunque centro della nostra vita, dei nostri sforzi e del nostro lavoro.

3. Nel corso del vostro incontro a Nemi, avete discusso di più argomenti che rivestono un interesse particolare per la Chiesa e per il mondo della nostra epoca. Avete di nuovo esaminato, in maniera particolare, il tema fondamentale che è una delle ragioni d’essere della vostra commissione, lo sviluppo. Si tratta di una realtà in costante evoluzione nel corso degli ultimi dieci anni, che pone dei problemi che devono essere affrontati ogni volta in un contesto molto differente, benché questa realtà non manchi mai di riferirsi alle esigenze fondamentali che sono il bene delle persone e quello della società. So che avete affrontato questa discussione per accogliere la parola appropriata che la Chiesa potrà offrire come contributo al dibattito nel quale sono impegnati tanti persone, gruppi e società così diverse.

Per ciò che concerne lo sviluppo, voglio ricordare qui ciò che ho detto alla ventesima conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) nello scorso novembre: “Ma il perfezionamento della persona suppone... la realizzazione concreta delle condizioni sociali che costituiscono il bene comune di ciascuna comunità politica nazionale come dell’insieme della comunità internazionale. Un tale sviluppo collettivo, organico e continuo, è il presupposto indispensabile per assicurare l’esercizio concreto dei diritti dell’uomo, tanto quanto di quelli che hanno un contenuto economico che di quelli che concernono direttamente i valori spirituali. Un tale sviluppo richiede pertanto, per essere l’espressione di una vera unità umana, d’essere ottenuto facendo appello alla libera partecipazione e alla responsabilità di tutti, nell’ambito pubblico come in quello privato, a livello interno come a livello internazionale (Giovanni Paolo II, Allocutio ad FAO, die 12 nov. 1979; cf. “L’Osservatore Romano”, diebus 12-13 nov. 1979).

4. Nel momento in cui si annuncia il terzo decennio dello sviluppo proclamato dalle Nazioni Unite, nel momento in cui anche tanti popoli si vedono messi di fronte a crescenti problemi che concernono il loro avvenire economico e sociale, la Chiesa non può esimersi dal proprio dovere di essere presente, di testimoniare con la sua parola, di tendere le mani per portare aiuto. Essa lo farà, perché essa sa essere la voce evangelica che proclama sempre che la misura di tutto lo sviluppo reale è l’integrità e il rispetto della persona umana.

Questa parola della Chiesa, e la preoccupazione di tutti i cristiani, dovranno sempre essere l’espressione dell’ispirazione evangelica. Allora, la Chiesa incoraggerà le forze vive della società a mettere in opera le risorse disponibili per pervenire alla soluzione dei problemi dello sviluppo, problemi che sono divenuti di una complessità fino ad ora sconosciuta. Essa offrirà il suo contributo in funzione della sua propria missione e in accordo con essa. Il mio grande predecessore, il Papa Paolo VI, metteva in luce questa esigenza evangelica quando diceva, nell’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi”, che “l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto dei rapporti concreti e permanenti che esistono tra il Vangelo e la vita, personale e sociale, dell’uomo.

E perché, diceva, l’evangelizzazione comporta un messaggio esplicito, adattato alle diverse situazioni, costantemente attualizzato, sui diritti e i doveri di ogni persona umana... sulla vita in comune nella società, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 29).

5. Tale è la via per definire, in ciascuna tappa e nel contesto di ogni nuova situazione, il ruolo e il contributo della Chiesa nell’ambito dello sviluppo. Guidati da questa parola, noi possiamo cercare, voi ed io, di esprimere in termini chiari il messaggio evangelico per gli uomini che vivono oggi in condizioni che si sono profondamente evolute.

Uno dei fattori determinanti, nel nuovo contesto dello sviluppo, è l’interazione tra i problemi dello sviluppo e le minacce contro la pace, che prendono nel tempo presente forme nuove e molto reali. Ho avuto l’occasione di ricordare davanti all’assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il 2 ottobre scorso, la regola costante della storia dell’uomo che indica la stretta relazione esistente tra i diritti dell’uomo, lo sviluppo e la pace: “Questa regola è fondata sul rapporto tra i valori spirituali e i valori materiali o economici. In questo rapporto, il primato appartiene ai valori spirituali a motivo della natura stessa di questi valori e anche per motivi che concernono il bene dell’uomo. Il primato dei valori dello spirito definisce il significato dei beni terreni e materiali così come la maniera di servirsene, e si trova per il fatto stesso alla base della giusta pace.

Questo primato dei valori spirituali, d’altra parte, contribuisce a far sì che lo sviluppo materiale, lo sviluppo tecnico e lo sviluppo della civiltà siano al servizio di ciò che costituisce l’uomo, di ciò che gli permette di accedere pienamente alla verità, allo sviluppo morale, alla possibilità di fruire totalmente dei beni della cultura di cui noi siamo eredi, e alla moltiplicazione di questi beni con la nostra creatività” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Nationum Unitarum legatos, 14, die 2 oct. 1979: AAS 71 [1979] 1153-1154).

6. Nel mio messaggio per la giornata mondiale della pace, ho parlato delle minacce che trovano la loro origine in tutte le forme di “non-verità”. La pace è minacciata quando “regna l’incertezza, il dubbio e il sospetto” (Giovanni Paolo II, Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1980 celebrandum: de veritate pacis robore, 4: AAS 71 [1979] 1575). L’incertezza e la menzogna creano un clima che colpisce gli sforzi volti a realizzare, nella pace e nella fraternità, il pieno sviluppo dei popoli, delle persone, e delle società. Un tale clima è presente nel nostro tempo in numerosi ambiti della vita collettiva e rischia di colpire il pensiero e l’azione di coloro che si sforzano di assicurare a ogni uomo e donna un avvenire migliore. Le nazioni hanno dunque il dovere di rivedere senza posa le loro posizioni al fine di impegnarsi in un movimento che conduca “da una situazione meno umana a una situazione più umana, nella vita nazionale come nella vita internazionale” (Giovanni Paolo II, Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1980 celebrandum: de veritate pacis robore, 8: AAS 71 [1979] 1577). Questo esige di essere capaci di rinunciare agli slogans e alle espressioni stereotipe per cercare e affermare la verità, che è la forza della pace. Questo significa anche essere pronti a porre, alla base e al cuore di ogni preoccupazione politica, sociale o economica l’ideale della dignità della persona umana: “Ogni essere umano possiede una dignità che, benché la persona esista sempre in un contesto sociale e storico concreto, non potrà mai essere diminuita, offesa o distrutta, ma che, al contrario, dovrà essere rispettata e protetta, se si vuole realmente costruire la pace” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Nationum Unitarum legatos, 12, die 2 oct. 1979: AAS 71 [1979] 1152).

7. Le rovine della “non-verità” si manifestano in modo particolare nell’attualità con le minacce di guerra che persistono o che compaiono di nuovo; ma esse sono visibili anche in ben altri ambiti, quali quelli della giustizia, dello sviluppo e dei diritti dell’uomo. Come ho già detto nella mia enciclica “Redemptor Hominis” (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15), l’uomo moderno sembra minacciato dalle sue proprie creazioni e rischia di perdere il vero senso della realtà e il vero significato delle cose, alienandosi nelle proprie produzioni perché non riporta costantemente tutte le cose a una visione centrata sulla dignità, l’inviolabilità e il carattere sacro della vita umana e di ogni essere umano.

È qui che si manifesta l’importanza del vostro compito e del vostro lavoro in quanto membri della commissione pontificia “Iustitia et Pax” È compito vostro cercare di presentare, nelle relazioni sociali, agli uomini del nostro tempo, l’ideale dell’amore. Questo amore sociale deve costituire il contrappeso all’egoismo, allo sfruttamento, alla violenza; deve essere la luce di un mondo la cui visione rischia continuamente di essere oscurata da minacce di guerra, dallo sfruttamento economico o sociale, dalla violazione dei diritti umani; deve condurre alla solidarietà attiva con tutti coloro che vogliono promuovere la giustizia e la pace nel mondo. Questo amore sociale deve rafforzare il rispetto per la persona e salvaguardare valori autentici dei popoli e delle nazioni come delle loro culture. Per noi, il principio di questo amore sociale, della sollecitudine della Chiesa per l’uomo, si trova in Gesù Cristo stesso, come ne testimoniano i vangeli.

A tutti, a voi, cari Cardinali, che siete un segno infaticabile dell’amore di Cristo per tutti i popoli, a voi, cari fratelli nell’episcopato, e a voi tutti, membri della commissione pontificia “Iustitia et Pax” e del segretariato, do di gran cuore la mia benedizione, assicurandovi che io raccomando il vostro lavoro al Signore: a lui domando di benedire e di far fruttificare i vostri generosi sforzi.

 



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